Stiamo scivolando rapidamente OT. ma credo che una riflessione su questo
argomento possa risultare utile a tutti coloro che hanno a che fare con spazi a
piu' di tre dimensioni (ed anche, come fa notare Fabri, con rappresentazioni
bidimensionali di strutture 3D).
Elio Fabri ha scritto (scusa il ribaltamento dell'ordine):
> La prima difficolta' a discutere su queste cose e' che e' problematico
> capire che cosa intende ciascuno di noi con le stesse parole.
...
> A Tommaso direi invece che mi sembra che intenda qualcosa di piuttosto
> diverso; ma qui vale la riserva che ho fatto in premessa...
Ovviamente nel dare la mia risposta mi sono lasciato guidare dalla "mia
visione"della nostra visione (scusate il bisticcio).
Che mi pare, pero', sia condivisa, dallo stesso OP Aleph, che (penso non a caso)
si e' lasciato sfuggire un
>> il senso della
>> vista funziona ed e' plasmato in uno spazio tridimensionale.
quando evidentemente il nostro senso della vista puo arrivare al piu' a darci
una percezione bidimensionale (e probabimente non ci arriva nemmeno! Vedi sotto,
al punto [*])
Ma noi con tutta evidenza "vediamo" in 3D: apprezziamo la differenza fra la
visione stereoscopica e quella monoculare (almeno fino a quando non muoviamo la
testa), ci mettiamo gli occhialini polarizzati per vedere un film "3D", non
confondiamo un poster trompe-l'oeil con una finestra. E quindi, con tutta
evidenza, non usiamo la parola "vedere" nel puro senso di "percepire un'immagine
retinica".
Per percepire la profondita' dobbiamo integrare un'immagine retinica con
informazioni di provenienza diversa. Quelle che usiamo normalmente sono
sostanzialmente quattro:
- una seconda immagine retinica, proveniente da un secondo occhio (o, per chi
ne e' privo, da una diversa posizione dell'unico occhio in momenti successivi),
che ci fa discriminare la diversa distanza di oggetti compresi
approssimativamente fra 25 cm e qualche centinaio di metri, e lo "spessore" di
oggetti distanti fino a una trentina;
- la convergenza degli occhi necessari per portare la visione foveale di
entrambi su uno stesso oggetto (o, per i monocolo, il movimento oculare che
compensa lo spostamento della testa), importante per distanze inferiori ai 50 cm;
- l'accomodamento, che misurando lo sforzo necessario alla messa a fuoco dei
dettagli di un oggetto permette (almeno nei soggetti giovani) di stimarne la
distanza con approssimazione dell'ordine del 30 - 50%, da 10 cm all'infinito;
- l'esperienza prospettica. Che ci dice, ad esempio, che di due oggetti che
sappiamo circa delle stesse dimensioni, quello che ci appare piu' piccolo e'
piu' lontano; o, viceversa, guardando il mare da un'altura, che di due navi la
piu' lontana e' quella piu' vicina all'orizzonte, anche se appare piu' grande;
perche' sappiamo che il mare e' orizzontale e ad un livello inferiore al nostro,
ed un movimento verso l'alto dell'occhio per passare da una nave all'altra
corrisponde ad un allungamento della base del triangolo.
L'importanza dell'accomodamento e della convergenza viene spesso sottovalutata.
Eppure tutti conosciamo il senso di rilassamento che proviamo "guardando nel
vuoto" o "guardando lontano" (che e' reale: sono proprio i muscoli ciliari che
pennono completamente rilassarsi, focalizzando all'infinito); o il senso di
"attenzione" che proviamo, anche guidando, quando spostiamo lo sguardo dalla
strada in lontananza per esaminare qualcosa di piu' vicino, che ci costringe a
contrarre i muscolo ciliari; o il senso di fastidio che proviamo quando vediamo
un pugno (o anche un dito, o un insetto) agitato a meno di 20 cm davanti agli
occhi, e lo sforzo di accomodamento e di convergenza necessario per seguirli ci
dice che e' stato invaso il nostro spazio prossemico piu' intimo.
La resa dei film "3d" restituisce la visione binoculare e la convergenza, ma non
l'accomodamento. L'altra settimana ho viso una dimostrazione interessante e mi
sono molto stupito nel vedere un gabbiano in 3D, a 30 cm davanti ai miei occhi,
*perfettamente nitido*, mentre il dito con cui istintivamente cercavo di
toccarlo era invece sfuocato (sono parecchio presbite).
Il risultato di queste integrazioni e' una mappa mentale dello spazio che ci
circonda, fatta di punti cospicui, di oggetti notevoli di cui riusciamo a
stimare l'ordine di grandezza delle dimensioni, e di percorsi (direzione e
distanza) necessari per raggiungere uno di essi dal punto in cui ci troviamo, e
poi l'uno dall'altro. E' *questa mappa* che chiamiamo "visione". Capacita'
selezionata evidentemente per permetterci di praticare efficacemente la raccolta
e la caccia. E memorizzabile: un luogo familiare, come la nostra stanza,
possiamo "vederlo" ad occhi chiusi.
- o -
Quando guardiamo un'immagine bidimensionale, un quadro, una foto, un poster,
l'unica informazione sulla distanza originale degli oggetti riprodotti ci viene
da pochi "trucchi del mestiere", come ad esempio l'effetto della foschia che
sfuma gli oggetti sempre piu' in lontananza, ma sopratutto dalla prospettiva.
Questo e' alla base di numerose illusioni ottiche. La visione binoculare non
aggiunge informazioni, la convergenza e' la stessa per qualunque punto
dell'immagine, l'accomodamento anche, e, se la profondita' di campo con cui e'
stata scattata la foto non era enorme, alcune zone risultano sfuocate e *non*
possono essere rimesse a fuoco. Questa mancanza di informazoni da integrare ci
fa rapidamente abbandonare la ricerca della profondita', e la mappa mentale che
ci creiamo dell'immagine e' bidimensionale.
[*] Parlo volutamente di mappa mentale e non di "immagine" bidimensionale.
Dicendo che la nostra percezione visiva "non arriva nemmeno ad essere
bidimensionale" non intendo dire ovviamente che si limiti ad una dimensione. Ma
che essa non sia nemmeno paragonabile all'informazione completa contenuta,
p.es., in un'immagine jpeg. Mi spiego.
Ero rimasto molto colpito, a sui tempo, degli studi sui movimenti saccadici
pibblicati da un amico purtroppo scomparso (Paolo Inchingolo). Avevo appofondito
un po', consultando anche testi di Fisiologia e Psicologia, e a quanto ho capito
(e ho verificato, per quanto possibile, con un minimo di introspezione) quello
che noi "vediamo" (a livello percettivo) non sono affatto immagini, ma elementi
grafici (linee a diversa inclinazione e -forse- curvatura, macchie intense
circolari o ellittiche, punti di forte contrasto in rapido movimento) che
vengono riconosciuti come tali, per sintesi degli stimoli provenienti dai
recettore, da interneuroni presenti gia' nella retina, a monte del nervo ottico.
I movimenti saccadici portano a turno l'immagine virtuale di questi elementi
"interessanti" (ed utili per la sopravvivenza) sulla fovea, dove la maggior
densita' di coni e bastoncelli permette il riconoscimento di altri elementi
grafici di dimensioni inferiori nelle loro vicinanze: i "dettagli".
I muscoli estrinseci, responsabili dei movimenti oculari, sono strettamente
correlati (e probabilmente *definiscono*) i nostri concetti spaziali alto-basso,
destra-sinistra, che a loro volta sono correlati con le relative intenzioni di
moto (letteralmente: tensioni muscolari propriocepite dei muscoli motori che
realizzerebbero, se attivati da uno stimolo sopra soglia, gli spostamenti). Da
qui una mappa 2D che contiene solo questi due possibili spostamenti (e loro
combinazioni lineari) fra gli elementi "interessanti". E, nelle vicinanze di
questi elementi, mappe piu' dettagliate, "a scala minore".
Quando l'informazione non e' sufficiente, cerchiamo maggiori dettagli, facendo
si' che l'immagine virtuale sulla retina risulti ingrandita. Ci avviciniamo.
(Oggi, possiamo ricorrere anche a lenti, cannocchiali e telescopi.)
Il risultato e' comunque una mappa mentale, fatta di elementi geometrici isolati
in alcune zone e circondati da elementi di dettaglio in altre piu' "calde", e
dalle loro relazioni spaziali. Una descrizione a grandi linee dell'immagine
mentale della Gioconda comincerebbe con "globo scuro in campo chiaro - 10 cm a E
globo chiaro seguito da ellisse scura orizzontale - 15 cm a SSO linea scura
orizzontale convessa..." (se guardate il volto della Gioconda fissando lo
sguardo sulla massa dei capelli a destra vedrete esattamente questo. Molto
simile alle faccine degli smiles :-), o alla facie que viditur in orbis
lunae...). Una descrizione piu' dettagliata esporrebbe particolari piu'
minuscoli, ma non ovunque: solo nelle vicinanze delle zone piu' "calde" e
interessanti. E questi a loro volta potrebbero dimostrarsi interessanti ed
essere indagati piu' da vicino, in un processo "frattale".
La "nostra visione" e' fatta cioe', per quanto ne so, non di immagini ma da
grafi, composti da oggetti interessanti collegati da relazioni di vicinanza o
"cammini". Per questo ha dimensione superiore ad uno ma inferiore a due.
Questi grafi poi possono essere "immersi" in uno degli spazi 2D o 3D di cui
abbiamo esperienza, in cui acquistano "relazioni spaziali" desumibili dai
cammini, che acquistano in questa immersione proprieta' vettoriali: ma non tutte
queste relazioni spaziali ci sono immediatamente presenti alla mente. Ad
esempio, io sfido chiunque a visitare per la prima volta una casa e poi
rispondere alla domanda "cosa c'e' dietro a questa parete"? senza ripercorrere
mentalmente il cammino che lo porterebbe nella stanza accanto.
- o -
Raffigurarsi mentalmente lo spazio tempo e' abbastanza banale: basta pensare ad
una realta' tridimensionale che cambia nel tempo, ed esplorarla sia nelle tre
dimensioni spaziali che facendo scorrere avanti e indietro, avanti veloce e
indietro veloce, un'immaginaria moviola. La difficolta' di utilizzare questa
raffigurazione nella fisica relativistica sta nel fatto che cosi' si assegna uno
stato privilegiato (comunque diverso dagli altri) all'asse temporale del sistema
di riferimento solidale con noi, e visualizzare le trasformazioni di Lorentz
diventa quasi impossibile, Nella RS (ma anche nella RG a simmetria sferica) ci
e' necessario (e ci basta) mettere sullo stesso piano ("spaziale" nella
raffigurazione) l'asse temporale ed *una* coordinata spaziale (in RS, quello
della direzione del moto; in RG, la cosa e' complicata da varie possibili
trasformazioni). E le associamo alle due coordinate spaziali dell'esperienza
quotidiana che ci sono piu' familiari. Una e' la "sinistra-destra". L'altra e',
a seconda di come guardiamo un diagramma, "alto-basso" (se il diagramma e' sulla
lavagna) o "avanti-indietro" (se osserviamo un foglio sul tavolo). Una seconda
coordinata spaziale ci mette gia' in difficolta', perche' ci costringe a mettere
in gioco intenzioni muscolari che normalmente disattiviamo in questi esami
(l'avanzamento, se guardiamo la lavagna; l'innalzamento, se guardiamo ad una
mappa orizzontale che associamo naturalmente allo spazo che possiamo percorrere
sulla superficie terrestre - pensando ai *nostri* spostamenti, la direzione
"alto-basso" ha ovviamente uno stato diverso dalle altre: a salire si fa fatica,
e non sempre e' possibile). In ogni caso, punti *esterni* al piano della lavagna
o del foglio di carta non possono essere *memorizzati* sul supporto con un
semplice segno di gesso o matita. Pero', con un certo sforzo (sopratutto di
memorizzazione) possono essere "visti" nello spazio anti-retrostante o
sovra-sottostante.
Per "spostarsi" lungo la terza dimensione spaziale (quarta del grafico)
dobbiamo fare ancora piu' fatica, perche' non abbiamo piu' a disposizione
intenzioni muscolari che ci facciano percepire lo spostamento necessario. Il
trucco che puo' permettercelo (almeno, quello che uso io) e' di pensare a un
"ascensore" che, spostandosi a comando ma in un modo che non sapremmo riprodurre
con i muscoli, ci trasporta su un diverso "piano" (ovviamente sezione 3D).
Oppure ad una piattaforma girevole, che girando anch'essa a comando e con un
movimento che non sapremmo riprodurre con i nostri muscoli, porta all'interno,
della sezione tridimensionale che sappiamo esplorare autonomamente, un asse che
prima ne usciva.
Ovviamente, il movimento dell'ascensore e della piattaforma cambiano l'aspetto
della sezione 3D in cui sappiamo muoverci con in nostri muscoli, e per
raffigurarci il nuovo aspetto non possiamo far altro che *calcolarlo* in base
alla teoria ed alla conseguante"mappa" (non visuale, ma relazionale) dei punti
notevoli del grafico. Ma una lunga consuetudine, ed una mappa ben introiettata,
rendono il calcolo sempre piu' veloce ed automatico, *fino a darci
l'impressione di "intuire"* gli effetti degli spostamenti dell'ascensore o della
piattaforma.
Penso sia questo che intendevi dicendo:
> Quanto a me, ricordo di aver asserito, non so piu' se in questo NG o
> in un altro, che ritengo di avere una certa capacita' di vedere in 4
> dimensioni. Non nel senso di Tommaso (se l'ho capito) ma come
> intuizione diretta, anche se mal definita e non ben controllabile.
Per esempio, le iperboli dei punti equisistanti dall'origine nello spazio di
Minkowski, nello spaziotempo 3D diventano due iperboloidi di rotazione, a
curvatura positiva nel cono di luce per l'origine e negativa al di fuori, e
nello spazio 4D un insieme continuo di superfici sferiche che si espandono lungo
l'asse dei tempi tendendo asintoticamente (dall'interno e dall'esterno) alla
sfera, in espansione anch'essa ma lineare, del fronte d'onda luminosa emesso o
assorbite all'evento origine. Tu ne vedi la curvatura?
Una volta acquisita la tecnica, ascensori e piattaforme se ne possono comandare
mentalmente quanti se ne vuole, e visualizzare due ellissoidi d'errore in uno
spazio a 96 parametri, uno contenuto nell'altro o che si intersecano, diventa
fattibile. (Ovviamente le simmetrie aiutano tantissimo, e anche gli autovettori
e autovalori che danno direzione e lunghezza degli assi :-)
> La seconda e' che ci possono essere sensazioni o intuizioni (non
> saprei neppure quale sia la parola giusta) che non si sanno rendere in
> parole, direi quasi per definizione: perche' se esistesse un
> linguaggio comune, vorrebbe dire che si tratta di esperienze comuni,
> il che non e' per ipotesi.
Forse proprio la traduzione in linguaggio naturale dei meccanismi della visione
per mezzo della vista, lei si' comune a gran parte degli esseri umani (e
comprensibilissima anche a un non vedente, che usa sensi diversi per crearsi le
stesse mappe spaziali!) puo' dare questo linguaggio comune con cui poi poter
esporre esperienze non proprio comuni, ma neanche rarissime. Mi pare che lo
studio interdisciplinare (ottica, fisiologia e psicologia) di questi meccanismi
abbia fatto passi da gigante negli ultimi vent'anni, e stia ancora progredendo
velocissimo.
> Aggiungerei che sono invece sicuro che esiste nella specie umana una
> chiara differenza in senso opposto: non tutti riescono ugualmente bene
> a "vedere" oggetti tridimensionali dalle loro rappresentazioni
> bidimensionali.
> E viceversa: non tutti sono capaci di rappresentare adeguatamente su
> un disegno oggetti 3D di cui hanno esperienza o che gli vengono
> descritti.
Queste pero' mi sembano piuttosto carenze didattiche, di cui queste persone
hanno sofferto (se vivono nella nostra societa'; altrimenti, potrebbe trattarsi
di differenze culturali). La raffigurazione bidimensionale degli oggetti 3D e'
convenzionale, e le convenzioni possono essere molto diverse in culture diverse.
La stessa assonometria richiede una convenzione circa la direzione, uscente o
entrante nel foglio, degli assi a 45� (e infatti se guardate senza pregiudizi la
rappresentazione assonometrica di un cubo, i vertici piu' vicino e piu' lontano
sembrano scambiarsi i ruoli, a seconda della convenzione che di volta in volta
vi appare piu' plausibile); la rappresentazione prospettica ha meno di un
millennio, e, anche se negli ultimi cent'anni *la rappresentazione fotografica*
ce l'ha fatta apparire naturale, non lo e' affatto. Va imparata.
ciao
--
TRu-TS
Received on Fri Apr 24 2009 - 23:52:31 CEST