"argo" <brandobellazzini_at_supereva.it> ha scritto nel messaggio
news:1187089982.229014.224500_at_22g2000hsm.googlegroups.com...
> On 14 Ago, 10:54, "Bruno Cocciaro" <b.cocci..._at_comeg.it> wrote:
> Non e' una convenzione dire questo e' un orologio e questo no?
Si', lo e'. Ma per fare fisica dobbiamo decidere di dare un certo
significato alle parole.
Poi sara' anche vero che non siamo in grado di dare significato operativo a
tutte le parole che utilizziamo. Ad esempio, per quanto riguarda la parola
"regolo" non siamo in grado, per quanto ne so, di darne una definizione
operativa (tipo "eseguiamo le seguenti operazioni, quello che otteniamo lo
chiamiamo regolo"). Ne parla Einstein (almeno a me pare che stia toccando
proprio questo tema) in "Geometria ed esperienza"
http://matsci.unipv.it/persons/antoci/re/Einstein21.pdf dicendo:
"E' chiaro anche che i corpi rigidi e l'orologio non giocano nell'edificio
concettuale della fisica il ruolo di elementi irriducibili, ma solo il ruolo
di immagini composte, che nella costruzione della fisica teorica non possono
giocare alcun ruolo indipendente. E' tuttavia mio convincimento che questi
elementi concettuali allo stadio attuale di sviluppo della fisica teorica
possono essere introdotti solo come concetti indipendenti; siamo infatti
troppo lontani da una conoscenza dei fondamenti teorici della fisica
atomica, da poter dare costruzioni teoriche esatte di quelle immagini."
Per quanto riguarda il regolo dobbiamo accontentarci di dire che lo sappiamo
"usare" (e lo usiamo per misurare le distanze-cioe', per convenzione,
stabiliamo di dare alla parola "distanza" quel significato operativo) anche
se non sappiamo specificare per bene cosa sia.
Per quanto riguarda l'orologio, posto il concetto di regolo, stabiliamo, per
convenzione, di chiamare orologio il contatore di rimbalzi nell'orologio a
luce.
Dati due eventi che avvengono nel punto in cui si trova un orologio, il
numero di rimbalzi avvenuti a partire dall'evento iniziale fino all'evento
finale *non dipende* dalla nostra volonta'. Dipende dagli eventi, non da
noi.
Invece quello che chiamiamo Dt, cioe' tfin-tin, dove tin e' l'istante
segnato dall'orologio fisso nel punto in cui avveniva l'evento iniziale e
tfin e' l'istante segnato dall'orologio fisso nel punto in cui avviene
l'evento finale, *dipende da noi*, dipende da come abbiamo scelto di
sincronizzare gli orologi.
E' questa la differenza fra cio' che io chiamo intervallo di tempo,
intendendo la differenza degli istanti segnati da *un* orologio, e cio' che
tu chiami intervallo di tempo, intendendo la differenza di istanti segnati
da due orologi distinti.
In un caso il numero Taufin-Tauin dipende esclusivamente dagli eventi, che
hanno deciso inizio e fine del conteggio, e *non dipende* in alcun modo
dalle nostre scelte (l'unica nostra scelta consiste nel dare un nome a quel
numero, decidiamo di chiamarlo "intervallo di tempo" invece che XXX, ma
potremmo anche chiamarlo XXX e la fisica non ne risentirebbe affatto),
nell'altro caso il numero tfin-tin dipende *in maniera determinante* dalle
nostre scelte. Questo e' il motivo per il quale tfin-tin non puo' essere
detto "misura".
Tu puoi dire (e in effetti dici, se ben capisco):
"Cosi' come tu decidi di dare il nome di "intervallo di tempo" al numero di
rimbalzi della luce su un regolo, io decido di dare quel nome a Dx/c+il
numero di rimbalzi della luce su un regolo" dove Dx e' la distanza fra i
punti in cui avvengono i due eventi. Il primo lo associ all'istante tin, il
secondo all'istante tfin=tin+Dx/c+DTT, dove DTT e' l'intervallo di tempo
misurato dall'orologio fisso nel punto in cui avviene il secondo evento, a
partire dalla ricezione di F fino al verificarsi del secondo evento; F e' un
fascio di luce partito dal punto in cui si verifica il primo evento nel
momento in cui si stava verificando il primo evento.
La differenza tfin-tin=Dx/c+DTT tu la chiami misura di intervallo di tempo
(e aggiungi anche che questa definizione ha il "vantaggio" di ordinare gli
eventi secondo la relazione di causa-effetto).
Io sostengo che questa non e' "una" misura, ma e' in realta' la somma di due
misure (oltretutto di due enti diversi: una misura di distanza+una misura di
intervallo di tempo, effettuate rispettivamente con regolo ed orologio).
Tu dici "questioni di definizioni" e sostieni che la tua definizione ha il
"vantaggio" suddetto.
Io ti dico che certo, siamo liberi di definire tutto cio' che vogliamo nella
maniera che preferiamo. Possiamo dare il nome di intervallo di tempo ad una
qualsiasi procedura operativa (ad esempio potremmo darla a quella legata
alla relazione Dx/c+(3/2)*DTT o a Dx/c+K*DTT con K numero qualsiasi) ma il
punto *centrale* e' nel *significato fisico* che vogliamo dare alla
procedura operativa che decidiamo di chiamare "misura di intervallo di
tempo"(e siccome Anderson e al mostrano che *tutte* le Dx/c+K*DTT danno
luogo allo stesso significato fisico, cioe' sono equivalenti per quanto
riguarda una qualsiasi misura, si fa un po' fatica a dare il nome di misura
solo alla scelta K=1).
Tu dici che la scelta Dx/c+DTT si mostra "a posteriori" superiore alle altre
in quanto ha il vantaggio di cui si parlava sopra: scegliendo Dx/c+DTT come
intervallo di tempo gli eventi risultano ordinati nel senso che la causa e'
sempre associata ad un istante minore di quello associato all'effetto.
Siamo al punto centrale.
Io sostengo che, scegliendo Dx/c+DTT, *e' possibile* che una causa possa
essere associata ad un istante maggiore di quello associato all'effetto. Il
"vantaggio" di cui sopra e' in realta' un grande svantaggio. L'ordinamento
di cui parli ha luogo solamente per eventi legati causalmente da segnali
luminosi o subluminali. Per segnali superluminali tale ordinamento si perde.
Il grande svantaggio sta nel fatto che, abituati a vedere sempre solo
segnali luminosi o subluminali, ci siamo abituati ad attribuire un
significato fisico all'ordinamento temporale dato dalla Dx/c+DTT, cioe' ci
siamo abituati a vedere ordinamento temporale dato dalla Dx/c+DTT e
ordinamento causa-effetto come coincidenti (cioe' tale abitudine ha frenato
la discesa del tempo dall'olimpo dell' a priori). Ma questa "coincidenza"
non ci e' stata dettata dalla natura, la stiamo semplicemente assumendo.
E' *esattamente come* se
abituati a vedere sempre solo aerei lenti,
ci fossimo abituati ad attribuire un significato fisico all'ordinamento
temporale dato dai fusi orari, cioe' per noi "partenza" diverrebbe
equivalente a "evento verificatosi nell'aereoporto che segna l'istante
minore fra i due" e arrivo equivalente a "evento verificatosi
nell'aereoporto che segna l'istante maggiore dei due". Tale significato e'
ovvio che non e' scritto nella natura ma e' strettamente legato alla nostra
maniera scelta per sincronizzare (i fusi orari) e al fatto che consideriamo
solo aerei lenti (nel tuo caso, scegliamo Dx/c+DTT e consideriamo solo
segnali "lenti").
Poi potremmo anche aggiungere che "a posteriori" la sincronizzazione a fusi
orari si mostra "vantaggiosa" perche' nessuno ha mai visto un aereo partire
alle 3 e arrivare alle 2 e che saremmo disposti a rivedere la nostra
sincronizzazione solo a seguito di una eventuale prova sperimentale a
supporto di aerei che viaggiano "indietro nel tempo" (cioe' che partono alle
3 e arrivano alle 2).
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Ma questa giustificazione "a posteriori" e' una *rimozione del problema*
(e' la "pecca" di cui parlo nel thread "Figuriamoci quando la definizione
operativa nemmeno c'e'"), e' un voler scaricare su altri cio' che spetta a
chi vorrebbe sostenere che la sincronizzazione a fusi orari e'
"vantaggiosa".
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Chi sostiene che la sincronizzazine a fusi orari e' vantaggiosa (ritenendo
giustificato "a posteriori" tale vantaggio), da' significato fisico alla
differenza orario letto all'aereoporto di arrivo-orario letto all'aereoporto
di partenza, e sulla base di tale presunto significato fisico (assunto prima
e poi ritenuto giustificato "a posteriori") sostiene la impossibilita' di
aerei che partano alle 3 per poi arrivare alle 2. Basa tale "impossibilita'"
sulla *assunzione* che la differenza orario letto all'aereoporto A-orario
letto all'aereoporto B sia legata alla relazione causale fra partenza e
arrivo di aerei fra gli aereoporti A e B.
Se uno dice:
"Guarda che un aereo veloce potrebbe anche partire alle 3 e arrivare alle
2";
si risponde semplicemente:
"No, questo e' impossibile perche' violerebbe il principio di
causa-effetto".
E se si chiede:
"In cosa consisterebbe tale violazione?"
si risponde (rimuovendo il problema e tentando di scaricare
sull'interlocutore cio' che non spetta certo a lui di dimostrare):
"Semplice, una causa non puo' avvenire prima dell'effetto. Se tu dici che
questo "prima" da me usato dipende dal fatto che gli orologi ho scelto di
sincronizzarli in un certo modo ti rispondo che la fisica si basa sempre su
assunzioni. La scelta di sincronizzare in quel modo, a posteriori, si e'
mostrata sempre vantaggiosa. Se tu la ritieni sbagliata mostrameli questi
aerei che vanno indietro nel tempo. Quando me li farai vedere mettero' in
discussione la mia descrizione"
Cioe' prima si sostiene la impossibilita' di aerei "veloci" e se si chiede
su cosa si basa tale impossibilita' si risponde che si basa sul fatto
nessuno ha mai visto aerei veloci.
Se ho ben capito il significato della parola, a me pare che miglior esempio
di tautologia non si potrebbe dare.
Traducendo in termini di segnali superluminali si avrebbe quanto segue.
Il tachione Tach e il fotone F partono contemporaneamente da xin.
"Guarda che Tach potrebbe anche arrivare in xfin con un anticipo maggiore di
(xfin-xin)/c rispetto a F"
"No, questo e' impossibile perche' violerebbe il principio di
causa-effetto".
"In cosa consisterebbe tale violazione?"
"Semplice, una causa non puo' avvenire prima dell'effetto. Se tu dici che
questo "prima" da me usato dipende dal fatto che gli orologi ho scelto di
sincronizzarli in un certo modo ti rispondo che la fisica si basa sempre su
assunzioni. La scelta di sincronizzare in quel modo, a posteriori, si e'
mostrata sempre vantaggiosa. Se tu la ritieni sbagliata mostrameli questi
tachioni che vanno indietro nel tempo. Quando me li farai vedere mettero' in
discussione la mia descrizione".
Il colmo di tutto cio' e' che, dopo questi "salti mortali" tesi a sostenere
l'impossibilita' di segnali superluminali, di fronte ad evidenze
sperimentali di correlazioni fra eventi "contemporanei", invece di
sviluppare la spiegazione che sembrerebbe piu' ovvia (cioe' invece di dire
"Ah, eccoli questi tachioni che viaggiano "indietro nel tempo", quelli che
dicevamo ci avrebbero costretto a rivedere la nostra descrizione") si
risponde con altri salti mortali assimilabili alla telepatia. Cioe' quella
parte di tempo che abbiamo lasciato nell'olimpo dell' a priori, ci sta
talmente radicato che, per poterlo lasciare li' (cioe' per poter continuare
a dire che segnali che viaggiano "indietro nel tempo" sono impossibili
perche' violerebbero la causalita'), accettiamo anche la telepatia.
La risposta che da' Tolman nel 1917 alla domanda
"In cosa consisterebbe tale violazione?"
e' piu' sottile. Tolman non rimuove il problema e non tenta di scaricare
sull'interlocutore cio' che spetta a lui di dimostrare.
La risposta di Tolman si supera ipotizzando un riferimento privilgiato per i
segnali superluminali.
> No, si puo ' stabilire che il punto zero dell'orologio
> e' quando la sostanza e' decaduta del 30%. Ogni punto ha cosi' il suo
> punto zero senza dovere sincronizzare con altri segnali.
Ma senza una sincronizzazione, cioe' senza sapere, ad esempio, quale istante
trovera' su xfin un segnale luminoso S partito da xin nel momento in cui
l'orologio fisso in xin segnava l'istante tin, gli istanti letti sui diversi
orologi non saranno di alcuna utilita' nella descrizione di eventi che si
verificano in luoghi diversi dello spazio.
> E perche' non chiamare ''vera'' frequenza quella osservata
> nel sistema in cui la sorgente e' fissa e definire
> che la frequenza si misura solo in quel sistema?
Non chiamo vera frequenza quella osservata nel riferimento dove la sorgente
e' fissa.
Chiamo vera frequenza quella osservata nel riferimento dove l' *orologio* e'
fisso. L'orologio misura l'intervallo di tempo fra due massimi successivi e
tale misura, tramite il suo inverso, da' la frequenza dell'onda associata al
riferimento in cui l'orologio e' fisso. Ad ogni modo, anche questa e' una
definizione: si sceglie per convenzione di dare il nome di "misura di
frequenza" a quella procedura operativa.
E' vero che per misurare la frequenza di un'onda, associata ad un certo
riferimento, dobbiamo usare uno strumento di misura, un orologio, *fermo*
nel riferimento in questione. Questa e' una cosa che mi pare sempre vera per
ogni tipo di misura: lo strumento di misura, durante la misura, deve essere
fermo nel riferimento nel quale avviene la misura. Ad esempio la cosa e'
certamente vera per quanto riguarda i regoli e le corrispondenti misure di
distanza.
> Mi sembra proprio che sia la stessa cosa. Ci si mette d'accordo su
> cosa si misura e come, ivi comprese sincronizzazioni ritardi e
> quant'altro: tutto questo definisce
> lo strumento e quindi la grandezza in questione.
> Poi si procede a leggere lo strumento (nel suo insieme). Dove e' la
> differenza?
La differenza, come dicevo sopra, e' che l'ente definito da te e', dal punto
di vista predittivo, equivalente ad infiniti altri che associerebbero alla
"misura" valori numerici diversi (il che porrebbe in un irrisolvibile
imbarazzo nella scelta della "misura" giusta che dovrebbe dare il valore
numerico "giusto").
Cioe' una qualsiasi legge fisica (con le conseguenti verifiche sperimentali)
potrebbe essere descritta assumento una qualsiasi Dx/c+K*DTT con K valore
qualsiasi.
> Qui che proprio non sono d'accordo.
> Perche mai i tuoi orologi dovrebbero essere piu'
> fedeli alla natura di altri?
Come dicevo sopra possiamo anche decidere di definire cio' che vogliamo
nella maniera che vogliamo. Il problema e' nell'interpretazione che andiamo
a dare degli enti che definiamo. I "miei" orologi sono migliori perche'
prevengono dall'errore di attribuire un significato agli istanti letti sugli
orologi basando quel significato su una tautologia.
> Certamente, fa parte della definizione di orologio.
> E con questa definizione non sono stati osservati (sperimentalmente)
> violazioni del legame causa-effetto con l'ordinamento temporale prima-
> dopo.
Ma senza "aprire gli occhi" non potremo mai vedere queste violazioni.
Ritengo che nessuno abbia mai dimostrato che le correlazioni EPR non possano
essere dovute alla "violazione" di cui parli sopra. La dimostrazione
sperimentale, in assoluto, mi parrebbe impossibile (cioe' ipotizzando
tachioni sufficientemente veloci potremmo comunque interpretare quelle
correlazioni come dovute a tachioni che viaggiano "indietro nel tempo",
cioe' che violano il "legame" di cui parli sopra).
> Se assumi lo stesso significato a propri e assoluto del ''tempo''
> (cioe' definisci il tempo quello che segna l'orologio tout court) non
> puoi che concludere
> che il 2) e' un fatto altrettanto quanto l'1). E' avvenuto due ore
> prima
> perche' cosi' dice l'orologio.
No. Il tempo e' cio' che misura un orologio essendo sottinteso che, durante
la misura, l'orologio viene lasciato stare. Se arriva Giorgio e sposta
l'orologio settandolo al valore che decide lui, allora la misura e' stata
disturbata e il valore che da' e' ovviamente non attendibile.
Stessa cosa accadrebbe in una misura di distanza se, mentre si sta
effettuando la misura, il regolo viene spostato.
> Dipende, come enunci le proprieta' dei tachioni, cioe' dipende dalle
> relazioni tra le grandezze che li riguardano, insomma dalle loro leggi
> fisiche.
> Se queste leggi sono riferimento-dipendente avrai una violazione del
> principio di relativita'.
No. Le leggi fisiche che regolano i fenomeni sonori sono
riferimento-dipendenti. Questo fatto non significa che quei fenomeni violano
il principio di relativita'.
Il principio continua a valere. Semplicemente e' vero che quel principio non
e' applicabile ai fenomeni sonori a meno che non si trascini l'"etere" del
suono, cioe' a meno che non ci si metta "sotto coverta".
Stessa cosa per i tachioni: se non siamo in grado di metterci "sotto
coverta", cioe' se non siamo in grado di trascinare l'etere dei tachioni,
allora non possiamo applicare il principio di relativita' ai fenomeni
tachionici.
> Per un po' di giorni da domani non potro'
> leggere la posta quindi mi rifaccio vivo magari piu' avanti.
> Ciao.
Ciao, e buone vacanze.
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
Received on Wed Aug 15 2007 - 13:32:56 CEST