Re: La misura della forza

From: Carlo Pierini <pierinic1950_at_gmail.com>
Date: Mon, 5 Aug 2019 09:58:52 -0700 (PDT)

Il giorno lunedì 5 agosto 2019 11:30:03 UTC+2, Furio Petrossi ha scritto:
 

> Il discorso sulla effettiva misura di una grandezza, si è già detto, è complicato, perché ciò che rende uno strumento autorizzato a misurare è in un certo senso la teoria che ci sta dietro.

 CARLO




Non potrebbe essere altrimenti. La misura, infatti, non è altro che matematica applicata alla fisica, cioè, è pensiero soggettivo (metafisica) applicato a grandezze oggettive (fisica). Come diceva Spinoza, la conoscenza non è una somma di dati oggettivi, una raccolta di “fatti”, ma è un accordo creativo tra l’<<ordo et connexio idearum >> e l’<<ordo et connexio rerum >>, cioè, tra l’ordine delle idee e l’ordine delle cose. E le teorie rappresentano l’irrinunciabile ordine delle idee da accordare con l’altrettanto irrinunciabile ordine di relazione tra le cose.


In altre parole, la scienza è una complementarità di opposti soggetto-oggetto nella quale la componente *soggettiva* (la logica, le teorie, i paradigmi interpretativi, le tecniche di misura, ecc.) ha la stessa dignità epistemica della componente *oggettiva* (i fenomeni, le interazioni tra grandezze fisiche, ecc.). Come scrisse H. Poincaré:


<<La scienza è fatta di dati come una casa di pietre. Ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una casa>>. [H. Poincaré: La scienza e l'ipotesi]



Questo significa che la Scienza è attendibile *non* in quanto <<conoscenza oggettiva>> (il termine “conoscenza” esclude la pura oggettività), ma in quanto *rigorosa complementarità tra pensiero e cosa, tra teorie e fenomeni, tra soggetto e oggetto, tra metafisica e fisica*. E la matematica non è altro che metafisica.


Mentre lo scienziato moderno tende - erroneamente - a identificare “soggettività” con “arbitrarietà” e, quindi, a considerare la componente soggettiva del sapere come un problema imbarazzante, come un grave limite della scienza (tu l'hai chiamato "complicazione"), i filosofi dell’antichità erano invece liberi da questo pregiudizio:


<<L’incontro del simile col simile, l’omogeneità, sono i concetti di cui Platone si serve per spiegare i processi conoscitivi: conoscere significa rendere simile il pensante al pensato. (...)

Tommaso, pur sanzionando esplicitamente il principio che ogni conoscenza avviene per assimilationem o per unionem della cosa conosciuta e del soggetto conoscente, afferma che “l’oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso” (...)

Cusano dice esplicitamente che l’intelletto non intende se non si assimila all’oggetto; e Ficino dice che la conoscenza è l’unione spirituale con qualche forma spirituale”. (...)
Campanella afferma: “Noi conosciamo ciò che è, perché ci rendiamo simili ad esso”. (...)

Shelling affermava: “Nello stesso fatto del sapere, l’oggetto e il soggetto sono così uniti che non si può dire a quale dei due tocchi la priorità”. (...)

Il concetto del conoscere come processo di unificazione di soggetto e oggetto nell’idea domina da un capo all’altro la filosofia di Hegel”. (...)

Secondo Wittgenstein “ci dev’essere qualcosa di identico nell’immagine conoscitiva e nell’oggetto raffigurato, affinché quella possa essere l’immagine di questo>>. [N. ABBAGNANO: Dizionario di Filosofia - da p. 157 a p. 164]
Received on Mon Aug 05 2019 - 18:58:52 CEST

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