"Valter Moretti" <vmoretti2_at_hotmail.com> wrote in message
news:1132072291.762383.216180_at_g47g2000cwa.googlegroups.com...
> Ciao, mi dispiace ma sono impegnatissimo.
> Il mio punto di vista � il seguente. Spero che quanto scrivo
> sia comprensibile.
> E' sicuramente vero che la nozione di sincronizzazione a
> distanza di Einstein ha una parte convenzionale, ma non
> si puo' dire che sia un fatto ovvio che essa "funzioni".
> Per funzionare una nozione di sincronizzazzione tra orologi
> in quiete relativa a distanza deve:
> 1) permanere nel tempo una volta imposta (spostando
> l'origine del tempo di uno dei due orologi e non "toccando
> pi� l'orologio")
> 2) essere riflessiva (ovvio), simmetrica e transitiva.
> 3) deve implicare il fatto sperimentale che la velocit�
> della luce su percorsi chiusi valga costantemente c
> (indipendentemente da...tutto)
Ripeto in parole mie cosi' che tu possa controllare se stiamo parlando delle
stesse cose sostanzialmente negli stessi termini.
Un orologio e' un oggetto che, a seguito di processi fisici che non ha
interesse qua analizzare, incrementa di una unita' il proprio conteggio
(diciamo che l'orologio "conta" i secondi) ogni volta che un segnale
luminoso, partito dal punto O in cui si trova l'orologio, torna al punto di
partenza dopo aver eseguito 300.000.000 viaggi di andata e ritorno, dove la
fine dell'andata (e inizio del ritorno) si ha in un punto A posto a 0.5
metri di distanza dal punto O. L'orologio si considera tale se "funziona"
(cioe' se incrementa il proprio conteggio di una unita' ogni volta che ...)
quale che sia l'orientamento dell'orologio stesso rispetto al segmento OA.
Ad esempio gli "orologi" a suono non funzionano in tutti i riferimenti
inerziali, quindi non possono dirsi orologi. Funzionano solo nel riferimento
in quiete rispetto all'aria. In riferimenti non in quiete rispetto all'aria
l'"orologio" a suono ha un funzionamento dipendente dalla orientazione. La
specificita' della luce, rispetto ad esempio al suono, e' che essa permette
la costruzione di orologi, cioe' esistono tanti processi fisici alla base di
orologi funzionanti se confrontati con i viaggi di andata e ritorno della
luce.
Nel punto O piazzo un orologio, Oo, e nel punto X1 ne piazzo un altro, Ox1.
Quando Oo segna l'istante t, da O parte un segnale luminoso e quando tale
segnale arriva in X1 decidiamo *convenzionalmente* di settare Ox1
all'istante t+d/c, dove d=distanza O - X1, c=300.000.000 m/s.
Deve valere la 1) vista sopra, cioe':
una volta eseguita la sincronizzazione, abbiamo che un segnale luminoso,
partito da O quando Oo segna l'istante t1>t, arrivera' in X1 quando Ox1
segna l'istante t1+d/c.
Questa mi pare una affermazione di carattere fisico, cioe' non e' alla
sincronizzazione che va richiesta una cosa del genere, va chiesta alla
natura. E noi ipotizziamo che la natura funzioni in maniera tale da rendere
vero quanto detto (il segnale arrivera' in X1 quando Ox1 segna l'istante
t1+d/c).
Deve valere la 2) vista sopra, cioe':
riflessiva (ovvio): l'istante segnato da O e' uguale all'istante segnato da
O;
simmetrica: se Ox1 e' sincronizzato ad O allora O e' sincronizzato a Ox1.
Questa immagino significhi la seguente cosa: una volta eseguita la
sincronizzazione, abbiamo che un segnale luminoso, partito da X1 quando Ox1
segna l'istante t2>t+d/c, arrivera' in O quando Oo segna l'istante t2+d/c.
Questa mi pare che non si debba chiedere alla natura, si potrebbe dimostrare
sulla base di quanto detto (mi pare). Ad ogni modo assumiamo che la natura
funzioni come detto.
transitiva: se Ox1 e' sincronizzato ad O e O e' sincronizzato a Ox2 allora
Ox1 e' sincronizzato a Ox2. Questa significa la seguente cosa: abbiamo
sincronizzato ad O, nella maniera detta sopra (cioe' secondo la relazione
standard), sia l'orologio fisso in X1, Ox1, che l'orologio fisso in X2, Ox2.
A questo punto Ox1 e Ox2 devono risultare sincronizzati fra di loro, cioe'
un segnale luminoso, partito da X1 quando Ox1 segna l'istante t2>t+d/c,
arrivera' in X2 quando Ox2 segna l'istante t2+d'/c, con d'=distanza X1 - X2.
Anche questa e' una cosa che va chiesta alla natura ed e' in sostanza (posta
la definizione di orologio e posta quella che potremmo chiamare "uniformita'
dello spazio" (che va verificata sperimentalmente), cioe' posto che nella
definizione di orologio avremmo anche potuto scegliere un solo viaggio di
andata e ritorno con A posto a 150.000.000 m di distanza da O, oppure due
viaggi di andata e ritorno con A posto a 75.000.000 m di distanza da O,
oppure ...) equivalente al punto 3). Ipotizziamo che sia sperimentalmente
provata anche la proprieta' transitiva cosi' come la 3).
> Si vede sperimentalmente che la nozione Einsteniana,
> che � definita dalla richiesta che la velocit� della luce
> su percorsi aperti valga sempre c indipendentemente
> dalla sorgente, dalla direzione e dal riferimento (inerziale),
> soddisfa (1) e (2).
> E' ovvio che essa implichi (3).
> Inoltre, assumendo la nozione Einsteinana per la
> sincronizzazione a distanza, (2) puo' essere teoricamente
> provato da (3) (con un po' di fatica si dovrebbe provare
> anche che (3) => (1)).
> In ogni caso tutto ci� non toglie che possano esistere
> *altre* nozioni di sincronizzazzione che soddisfano le
> richieste (1), (2) e (3) di sopra, e si dimostra che ne
> esistono.
> Non sono pero' sicuro che siano compatibili anche
> con il principio di Relativit�, ma non mi addentro.
Ecco, questo e' un punto centrale.
"Possono anche esistere" e infatti esistono con certezza infinite altre
sincronizzazioni in tutto equivalenti alla standard (in tutto, cioe' anche
per quanto riguarda il principio di relativita'). Questa poi altro non e'
che la tesi principale (praticamente l'unica) che viene difesa, da
Reichenbach in poi, da tutti i sostenitori della convenzionalita' della
simultaneita'. Come ho avuto modo di dire piu' volte qui in passato, a mio
modo di vedere Anderson e Stedman (1977) chiudono il discorso, in favore
della convenzionalita', senza alcuna possibilita' di appello (il discorso si
potrebbe forse considerare gia' chiuso con Winnie (1970), non ho letto
Edwards (1963) ne' Stedman (1973)). Discorso che pero' e' continuato, e
continua ancora oggi perche' evidentemente qualcuno (esempio C. Will, o
anche Ohanian) ritiene che non sia chiuso.
Ad esempio le 1), 2) e 3) viste sopra continuano a valere anche se la
sincronizzazione avviene settando Ox1 (nel momento in cui arriva il segnale
partito da O quando Oo segnava t) all'istante t+d/c+X1vett*Dvett dove X1vett
e' il raggio vettore O-X1, Dvett e' un vettore qualsiasi (e' il vettore di
sincronizzazione) e * e' l'usuale prodotto scalare..
> Riguardo alla struttura causale ecco come la vedo.
>
> Scegliamo la nozione Einsteinana di sincronizzazzione
> a distanza, otteniamo la teoria della relativit� speciale
> in forma standard, ricordandoci per� che c'� qualcosa di
> "convenzionale". A questo punto, dal punto di
> vista matematico possiamo dare la solita definizione
> di coppie di eventi p e q * causalmente connessi *
> (c'e' una curva di tipo causale futuro da p a q)
> e *spazialmente separati* (non c'e' una curva di tipo
> causale futuro da p a q e nemmeno da q a p )
> viene fuori la struttura del cono di luce futuro con
> vertice p.
Cioe', dopo aver sincronizzato secondo la relazione standard, abbiamo che
ogni punto del nostro riferimento e' associato, oltre che alle sue tre
coordinate spaziali, anche ad un orologio che segnera' dei valori. Se
avviene qualcosa nel punto (x1,y1,z1) quando l'orologio che e' fisso in quel
punto segna l'istante t1 allora associo a quel "qualcosa avvenuto" la
quaterna di numeri (t1,x1,y1,z1) e tale quaterna la chiamo evento E1. Se
avviene qualcosa di altro nel punto (x2,y2,z2) quando l'orologio che e'
fisso in (x2,y2,z2) segna l'istante t2 allora associo a quel "qualcosa di
altro avvenuto" la quaterna di numeri (t2,x2,y2,z2) e tale quaterna la
chiamo evento E2.
Dico che "qualcosa avvenuto" e "qualcosa di altro avvenuto" sono causalmente
connessi (o connettibili) se [c*(t2-t1)]^2>(x2-x1)^2+(y2-y1)^2+(z2-z1)^2.
Dico invece che sono spazialmente separati se
[c*(t2-t1)]^2<(x2-x1)^2+(y2-y1)^2+(z2-z1)^2.
> Non vogliamo dare necessariamente significato fisico
> a tale struttura. La prendiamo per il momento come
> mera struttura matematica.
Perfetto. Non vogliamo necessariamente affermare che "qualcosa" potrebbe
essere causa di "qualcosa di altro" solo se i due eventi sono causalmente
connessi.
> Se p e q sono eventi spazialmente separati ha senso
> che qualcosa che accade in p sia causa di qualcosa
> che accade in q?
> La risposta immediata, nello schema Einsteniano, �:
> NO.
Questo e' cio' che afferma Einstein nel 1907 (posto che sia corretto quello
che ci ho capito io dalla traduzione effettuata online) e poi Pauli ripete
nel 1921. Come dicevo nel post in cui riportavo il passo in tedesco di
Einstein, a mio modo di vedere, tanto lui che Pauli sbagliano nel dare tale
risposta (scivolano). Alla domanda secca che tu poni sopra va risposto che
due eventi sono spazialmente separati o meno a seconda della
sincronizzazione scelta (se con "spazialmnte separati" intendiamo che sia
soddisfatta la relazione vista sopra). Basta scegliere una sincronizzazione
diversa (un Dvett diverso) e due eventi che *apparivano* spazialmente
separati, diventano (appaiono) causalmente connessi. Ma la fisica (l'essere
o meno un evento causa dell'altro) non puo' certo dipendere dalle nostre
scelte. Se p e' causa di q lo e' quale che sia la sincronizzazione che
decido di
utilizzare per descrivere gli eventi. Stesso discorso qualora p non fosse
causa di q.
Il che e' anche come dire che associare il nome di "spazialmente separati" a
due eventi per il semplice fatto che
[c*(t2-t1)]^2<(x2-x1)^2+(y2-y1)^2+(z2-z1)^2
e' decisamente inopportuno (ok, noi l'abbiamo fatto senza voler dare
necessariamente un significato fisico alle parole "spazialmente separati",
ma a mio avviso e' inopportuno comunque) in quanto a sinistra della
disequazione compare una grandezza convenzionale, cioe' non il risultato di
una misura (compare un numero che dipende, in maniera determinante, dalle
scelte da noi effettuate durante la sincronizzazione), mentre a destra c'e'
una grandezza fisica, cioe' il risultato di una misura: la distanza fra due
punti al quadrato.
Non e' una questione di schema adottato. Un ente convenzionale che potrebbe
assumere, cambiando convenzione, un qualsiasi valore, potrebbe ovviamente
assumere un valore maggiore o minore di una qualsiasi grandezza fisica,
quindi la relazione suddetta non puo' essere associata ad alcuna conclusione
avente significato fisico. Quindi *non* si puo' rispondere "NO" alla domanda
posta sopra. Rispondendo "no" si da' a (t2-t1) un valore oggettivo che non
ha (si ripiazza il tempo nell'olimpo dell' a priori, almeno relativamente
alla questione in oggetto).
> Questo perch�, nel caso in esame
>
> TEOREMA: esistono 3 riferimenti inerziali
> in cui rispettivamente:
>
> p precede q temporalmente,
>
> p � contemporaneo a q,
>
> p segue temporalmente q.
D'accordo, pero', secondo il mio parere, l'uso delle forme verbali "precede
temporalmente", "e' contemporaneo", "segue temporalmente" e' troppo
impegnativo. Io direi:
esistono 3 riferimenti inerziali in cui rispettivamente:
l'orologio fisso nel punto in cui avviene l'evento p segna (nel momento in
cui avviene p) un istante minore di quello segnato dall'orologio fisso nel
punto in cui avviene l'evento q (nel momento in cui avviene q),
l'orologio fisso nel punto in cui avviene l'evento p segna (nel momento in
cui avviene p) lo stesso istante segnato dall'orologio fisso nel punto in
cui avviene l'evento q (nel momento in cui avviene q),
l'orologio fisso nel punto in cui avviene l'evento p segna (nel momento in
cui avviene p) un istante maggiore di quello segnato dall'orologio fisso nel
punto in cui avviene l'evento q (nel momento in cui avviene q).
Ovvio che l'importante e' capirsi, poi si possono usare tutti i verbi che
si vogliono, ma io dietro all'uso di parole come "precede temporalmente" o
"segue temporalmente" ci vedo fortissimo il rischio, per chi non ha ancora
pienamente compreso la convenzionalita' della simultaneita', di lasciare un
pezzo di tempo nell'olimpo dell' a priori.
> Mentre noi ci aspettiamo che:
> la causa preceda temporalmente gli effetti
> (indipendentemente dal
> riferimento).
> Tuttavia uno puo' obbiettare che in realt�
> la difficolt� segue dalla nozione Einsteinana di
> sincronizzazzione a distanza e, in linea di principio,
> potrebbero esistere altre nozioni che non portano
> all'ostruzione trovata cercando di definire cause-effetti
> tra coppie di eventi spazialmente separati.
Infatti, si puo' obiettare. E l'obiezione non e' che "potrebbero esistere in
linea di principio", ma che esistono certamente oppurtune scelte di Dvett
tali che, in tutti i riferimenti, p "precede temporalmente" q e altre
opportune scelte per le quali, in tutti i riferimenti, p "segue
temporalmente" q.
> Vediamo di capire se � vero. Intanto notiamo che:
Mi sta venendo un malloppone enorme. Credo sia meglio spezzarlo.
Mando in un successivo post i miei commenti sul seguito, che poi e' proprio
il punto in cui analizzi la sostanza del paradosso. E per rendere
paradossale l'effetto introduci punti che non sono presenti ne' in Pauli
(1921) ne' in Einstein (1907) cioe' introduci una *catena di eventi*. Con
una semplice coppia di eventi, come in Einstein e in Pauli, non si ha alcun
paradosso (o almeno non si ha dalla semplice osservazione che l'istante
segnato da un dato orologio e' maggiore o minore dell'istante segnato da un
altro).
Il seguito e' proprio il punto interessante per capire se gli esperimenti
alla Aspect hanno qualcosa a che vedere con tutto cio' o meno. Che poi e' il
punto che gradirei capire per bene.
> Ciao, Valter
Ciao.
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
Received on Wed Nov 16 2005 - 21:55:39 CET