Re: Principio di Heisenberg
Intervengo riportando la discussione all'origine, e prendendola dal
lato storico-filosofico-didattico.
Esiste un libro di Heisenberg del 1930, che nella traduzione italiana
credo esista ancora nel catalogo Bollati-Boringhieri: "I principi
fisici della teoria dei quanti".
Li' si puo' rintracciare l'origine e la motivazione storica del
"principio d'indeterminazione" nella forma in cui viene propagato
nella divulgazione e anche nell'insegnamento secondario a tutt'oggi.
(Non sto suggerendo a Luca e agli altri di leggersi quel libro; al
massimo il primo capitolo. Dopo non ci capirebbero praticamente
niente.)
L'ho citato per ricordare che quelle idee risalgono a quasi 80 anni fa
e alla particolare visione filosofica di Heisenberg. Ma sono comunque
una descrizione estremamente semplicistica e riduttiva delle idee di
H. (il quale la fisica la sapeva...) e il tema e' stato oggetto di
ampie discussioni da allora in poi: discussioni che non sono affatto
concluse.
Forse il nocciolo del problema e' il significato da dare al verbo
"esistere" nell'ambito della fisica. E' un verbo assai pericoloso, e
infatti i fisici lo usano molto raramente, e spesso in un senso
gergale, quando parlano tra addetti ai lavori che capiscono che cosa
intendono.
Trasferito a persone "esterne", diventa la piu' grande fonte di
equivoci, quanlche volta alimentata deliberatamente, per lasciar
passare insieme col contenuto scientifico anche un'interpretazione
filosofica quanto meno opinabile.
Che cosa puo' mai voler dire che la posizione di una particella esiste?
"Zio!" ha scritto:
> In effetti non so se ha senso distinguere le due cose: io mi sono
> sentito rispondere che in fisica quantistica tutto cio' che non �
> misurabile non esiste.
Risposta largamente criticabile, che attribuirei a un operazionismo
d'accatto, tipico di certi fisici sperimentali (e speriamo che
qualcuno non si risenta: ma ho scritto "certi" ;-) )
Prima di tutto perche' "in fisica quantistica"? Invece nel resto della
fisica (quale sarebbe?) si puo' dare senso anche a cio' che non e'
misurabile? Facciamo figli e figliastri?
Secondo: dunque per es. una funzione d'onda non esiste?
Qui l'interlocutore che mi sto inventando risponderebbe: "no, non
esiste: e' solo uno strumento matematico per derivare previsioni su
entita' misurabili".
Al che io replicherei: "benissimo, se e' cosi' per te 'esistere' ed
'essere misurabile' sono sinonimi, ed e' solo questione di
definizioni, sulle quali non si discute.
Non si tratta dunque ne' di una scoperta avente contenuto fisico, ne'
di una posizione filosofica: soltanto parole...
Infatti anche nella meccanica newtoniana ci sono entita' non
misurabili: si dice che il tempo e la posizione di una particella
vanno descritti con numeri reali (la meccanica non puo' fare a meno
dei numeri reali) ma nessuno ha mai misurato un numero reale, ne mai
potra', a causa delle incertezze di misura.
Se si volesse costruire la meccanica con le sole entita' misurabili,
ossia con intervalli o giu' di li', dubito che se ne verrebbe a
capo...
Pertanto gia' Newton (e anche gia' Galileo, senza saperlo) fa la
scelta di lavorare con enti matematici che non hanno un corrispettivo
osservabile; cio che conta e' che dalla teoria cosi' costruita si
possano ricavare previsioni per misure eseguibili.
Dunque non e' qui la differenza tra fisica classica e quantistica.
Mi direte: certo, la vera differenza e' che certe grandezze non sono
misurabili _insieme_ con precisione infinita: oppure non esistono? o
non sono definite?
Ora torniamo a Heisenberg. Il secondo capitolo comincia con la
*dimostrazione* delle "relazioni d'indeterminazione".
Faccio notare due cose:
a) che si tratta di una dimostrazione, quindi di un teorema, non di un
principio;
b) che H. parla di "relazioni", appunto perche' non le considera un
principio.
A dire il vero il termine tedesco e' "Unsicherheit", che vuol dire
"incertezza", non "indeterminazione". E anche in inglese vengono
sempre chiamate col termine "uncertainty".
Sfumature? Non e' detto...
Ma se si tratta di dimostrazione, vuol dire che si parte da qualcosa
d'altro!
Infatti: si parte da una ben precisa teoria, che si chiama "meccanica
quantistica", e che non puo' essere descritta a parole... Tanto meno
con quella che molto opportunamente Valter ha definito "favoletta".
Altra parentesi: ragazzi, e' sicuro che voi sappiate che cos'e' una
teoria in fisica? Non posso mettermi a spiegarlo, ma se siete
all'ultimo anno di liceo (o oltre) di teorie con tutti i crismi
dovreste averne incontrate almeno due: la gia' citata neccanica
newtoniana, e poi l'elettromagnetismo maxwelliano.
Solo che dubito che i vostri prof vi abbiano fatto riflettere sul
significato della parola "teoria" e su come si sostanzia negli esempi
che ho detto...
E purtroppo mettersi a parlare della m.q. se non si hanno prima le
idee decentemente chiare *da un punto di vista epistemologico*, non
solo di contenuto, su queste teorie, significa fare solo chiacchiere,
non fisica.
Una teoria fisica e' una struttura complessa, a base matematica, nella
quale esistono una quantita' di concetti primitivi oppure definiti.
Esempi: massa. posizione. carica, campo elettrico, energia,
velocita'...
Ma anche elettrone, atomo, fotone, funzione d'onda, ecc.
*Alcuni* di questi enti debbono avere un corrispettivo osservabile (ma
non necessariamente tutti). Secondo una bella metafora di Hempel,
questi sono i fili che pendono dalla rete della teoria e pescano nel
mare della realta'.
E' l'esistenza degli enti osservabili che fa della teoria una teoria
fisica, ovviamente...
Ora la domanda: in quella determinata teoria che si chiama meccanica
quantistica, posizione e velocita' di una particella esistono (nel
senso che "ci sono" nella teoria questi concetti)?
Risposta: certamente si'.
Altra domanda: sono concetti osservabili?
Risposta: si'.
Ma allora, dov'e' il problema?
Per rispondere, occorre introdurre un altro concetto base: quello di
"determinismo" della teoria e quello associato di "stato".
Una teoria si dice "deterministica" quando la conoscenza dello stato
di un sistema fisico (isolato) a un dato istante permette l'esatta
previsione dello stato a qualsiasi altro istante.
Il sistema in questione puo' essere un atomo, il sistema solare, o
anche il campo e.m. presente in una cavita': la cosa che sono sicuro
sconcertera' piu' d'uno e' che in questo preciso senso la m.q. *e'
deterministica*, proprio come la m. classica (e l'elettromagn. di
Maxwell).
Ma e' chiaro che l'affermazione che ho appena fatta non acquista
significato se non quando sappiamo che cos'e' e come si determina lo
stato in ciascuna teoria...
In m. classica la risposta e' semplice: se il sistema consiste di n
particelle, lo stato del sistema e' noto se e solo se sono note a
quell'istante tutte le posizioni e tutte le velocita' delle
particelle.
E' implicito in quest'asserzione il fatto che e' possibile la
simultanea determinazione di tutte queste grandezze.
In m.q. la differenza sta proprio qui: nella definizione di stato.
Purtroppo la definizione quantistica di stato va oltre quello che
posso permettermi senza entrare in tutto l'armamentario matematico...
Mi limito quindi a qualche esempio.
1) Se si conosce esattamente la posizione di una particella, il suo
stato e' determinato.
2) Idem se si conosce esattamente la sua velocita'.
3) Quello che si chiama lo "stato fondamentale di un elettrone"
nell'atomo d'idrogeno e' determinato dall'esatta conoscenza della sue
energia (cinetica piu' potenziale) ma in questo stato ne' posizione
ne' velocita' dell'elettrone hanno valori determinati.
Ci sono infinite altre possibilita', e inoltre lo stato quantistico
possiede un'altra proprieta', espressa dal _principio di
sovrapposizione_, che ora non posso spiegare, ma e' essenziale per es.
per capire gli esperimenti tipo doppia fenditura.
Se dico che dati due stati se ne puo' costruire un terzo (anzi
infiniti altri) che sono appunto una "sovrapposizione" dei primi due,
non ho spiegato niente, ma preferisco non insistere.
Ma gli esempi 1) 2) 3) mostrano appunto la novita' degli stati
quantistici: in m. classica se si conosce la posizione ma non la
velocita' di una particella, non si puo' prevedere dove sara' dopo
un certo tempo, e quindi il suo stato futuro non e' determinato.
Invece in m.q. nel caso 1) lo stato e' noto poniamo al tempo t0, ed e'
anche noto lo stato a qualsiasi altro istante t1.
Pero' questo stato successivo e' diverso (in questo esempio) da quello
iniziale, perche' la posizione della particella *non e' piu'
esattamente determinata*.
Notate bene: lo _stato_ e' determinato, ma e' uno stato "strano" in
cui non e' determinata con precisione la posizione.
Ed ecco una conseguenza (non ovvia): se provo a misurare la posizione
al tempo t1 trovero' si' un risultato, ma questo risultato *non e'
prevedibile con certezza*.
Voglio dire che se ripeto piu' volte un esperimento in cui parto con
lo stato iniziale 1) al tempo t0, la misura di posizione al tempo t1
mi dara' risultati diversi da una prova all'altra.
Questo e' in sostanza il famoso "indeterminismo" della m.q.
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Se siete stati capaci di arrivare fin qui, il peggio e' fatto...
Toriano al libro di Heisenberg, e al cap. 2.
Che cosa c'e' dopo la dimostrazine delle relazioni d'indeterminazione?
C'e' l'analisi di una serie di esperimenti ideali, nei quali si
dimostra che in effetti non e' possibile misurare *nello stesso
esperimento* posizione e velcoita' di una particella, con una
precisione migliore di quella prevista dalle dette relazioni.
A che cosa serve, e che cosa significa quest'analisi?
Serve allo scopo di provare che la teoria (e quindi il teorema che ne
segue) non e' in contrasto coi fatti sperimentali, anzi.
Serve a smantellare una serie di possibili obiezioni:
"Ma come, tu dici che posizione e velocita' non possono avere insieme
valori ben precisi? E se io facessi queste misure..."
E H. mostra che quelle misure non funzionano: che sbattono contro
qualche limitazione fisica *intrinseca*, derivante dellr proprieta'
delle particelle, della luce, ecc.
Per es. se proviamo a misurare la posizione di un elettrone mandandoci
sopra della radiazione e.m. (quello che si fa con un microscopio per
un batterio, poniamo) scopriamo che l'interazione tra la radiazione e
l'elettrone altera in modo imprevedibile la velocita' di questo, e
tanto peggio quanto piu' precisa si vuol fare la misura di posizione.
Non si tratta solo dell'ovvia osservazione che una misura
necessariamente influisce sull'oggetto misurato: questo era gia' noto
ma non aveva mai dato fastidio, perche' si riteneva che questa
influenza potesse essere ridotta piccola a piacere.
Ma l'interazione avviene per "quanti" (fotoni) la cui quantita' di
moto e' inversamente prop. alla lunghezza d'onda (questo non l'aveva
scoperto Heisenberg, bensi' Einstein, alcuni anni prima).
Se si vuole fare una misura precisa di posizione occorre lavorare con
lunghezza d'onda piccola, quindi con q. di moto grande del fotone.
E allora la "botta" che l'elettrone ricevera' (in direzione
imprevedibile) sara' grande, ecc.
E' questo il famoso "microscopio di Heisenberg".
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Mi accorgo ora che ho scritto tanto e poi tanto, che non ho piu' fiato
per discutere pure la posizione epistemologica di H., cui avevo alluso
all'inizio.
Le considerazioni didattiche invece c'erano, sia pure in forma
implicita.
In sostanza si riducono a questo: una presentazione della m.q. fatta
in base alla "favoletta" e' indecentemente insufficiente.
Primo, perche' una comprensione del significato della rel. di H. (come
avete visto) e' ben piu' complessa.
Secondo, perche' la m.q. non si riduce a quello, in nessun senso.
Non ci si riduce perche' e' una *teoria* e va presentata come tale,
oppure e' meglio tacere.
Non ci si riduce perche' come ogni teoria che si rispetti si basa su
dei *fatti* che bisogna conoscere, e permette di *spiegare* altri
fatti e di fare *previsioni*, delle quali e' pure obbligatorio
parlare.
Altrimenti si sta facendo qualsiasi cosa (intrattenimento, storielle,
cattiva filosofia ...) insomma tutto, ma non fisica.
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Elio Fabri
Dip. di Fisica - Univ. di Pisa
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Received on Thu Jun 30 2005 - 21:26:36 CEST
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