Josef K. ha scritto:
...
> ><<Supponiamo di sapere che due pezzi di materia A e B (di rame e
> >alluminio) hanno masse uguali e confrontiamo nella stessa maniera un
> >terzo corpo, per esempio un pezzo d'oro, con il corpo di rame,
> >assicurandoci che la sua massa � uguale a quella del rame. Se
> >eseguiamo l'esperimento con il corpo di alluminio e quello di oro, non
> >c'� alcun motivo logico per cui queste masse debbano essere uguali;
> >tuttavia l'esperimento dimostra che esse lo sono. Cos�
> >dall'esperimento troviamo una nuova legge che potrebbe essere
> >enunciata come segue: se due masse sono ugali ad una terza allora sono
> >uguali fra loro( questo enunciato non deriva automaticamente da un
> >enunciato simile relativo a quantit� matematiche).>>
> Non capisco in particolare l'ultima affermazione.
La citazione � estratta dal paragrafo 10-2 (Conservazione della quantit�
di moto) del primo volume delle "Lezioni".
> Quando diciamo che due cose sono uguali usiamo la relazione di
> uguaglianza che dal punto di vista logico � transitiva.
In precedenza Feynman illustra un metodo empirico per stabilire
"l'uguaglianza" di masse costituite da materiali diversi.
E' all'interno dello specifico metodo operativo che egli ha definito (che
possiamo ammettere possa essere viziato anche una conoscenza teorica
grossolana e/o incompleta del fenomeno in esame) che vanno lette le sue
considerazioni.
In ogni caso nel prosieguo Feynman specifica chiaramente che la propriet�
transitiva esistente tra grandezze matematiche non ci d� alcuna garanzia
(a priori) sul risultato finale dell'esperimento empirico applicato alla
coppia inedita di metalli oro-alluminio.
> Cio�, la cosa che non mi � chiara � come, nel momento in cui diciamo
> che A e B sono uguali, ad es., sia possibile non usare automaticamente
> le propriet� logiche della relazione di uguaglianza.
...
Il punto � che nell'esempio fi Feynman A e B sono uguali per via di una
definizione che riposa sull'applicazione di un metodo empirico di misura e
non in quanto quantit� matematiche (in pratica numeri). Per questo motivo
quindi la propriet� transitiva valida tra quantit� matematiche non � (a
priori) applicabile al nostro caso.
Devo dire poi che non concordo affatto sull'idea implicita da cui nasce il
tuo stupore, ovvero la concezione che la logica classica sia la logica che
regola tutti i fenomeni del mondo fisico.
Quest'idea � stata pesantemente ridimensionata gi� a partire dal 1936,
quando Birchoff e von Neumann introdussero il concetto di logica
quantistica. La logica quantistica (ovvero la struttura logica sottostante
la descrizione dei fenomeni quantistici) � infatti *differente* da quella
classica.
Non so molto sull'argomento, ma ricordo un articolo in cui si illustrava
il differente ruolo che i connettivi logici *e* e *o* svolgono in logica
classica e in logica quantistica.
L'autore partiva analizando la seguente frase nell'ambito della logica
classica:
"Se la nonna � morta *e* --> *o* l'ha uccisa Tizio
--> *o* l'ha uccisa Caio
allora, necessariamente:
"la nonna � morta *e* l'ha uccisa Tizio"
*o*
"la nonna � morta *e* l'ha uccisa Caio.
Traducendo in linguaggio matematico: i connettivi logici *e* e *o* in
logica (proposizionale) classica godono della propriet� distributiva.
Ebbene applicando il formalismo logico alla descrizione di alcuni
esperimenti quantistici (fotone con le due fenditure ed esperimenti
analoghi) si vede che in logica quantistica la propriet� distributiva dei
connettivi logici *e* e *o* non � pi� valida.
Saluti,
Aleph
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Received on Tue Apr 12 2005 - 10:40:50 CEST