"Elio Fabri" <mc8827_at_mclink.it> wrote in message
news:cgo4bt$2fig$4_at_newsreader1.mclink.it...
> Bruno dice:
> > Il riferimento stesso e' un enorme regolo e se e' in accelerazione
> > perche' immerso in un campo gravitazionale (anche uniforme, se poi il
> > campo non e' nemmeno uniforme le cose si complicano ulteriormente)
> > allora non puo' essere all'equilibrio. Il riferimento e' in continua
> > fase di "contrazione". Visti da un riferimento inerziale "fermo" i
> > regoli del riferimento in caduta libera appaiono, oltre che contratti,
> > anche "da contrarre ancora di piu'". Se e' A(t) la legge oraria
> > dell'estremo A di un regolo fisso nel riferimento in caduta libera,
> > allora la legge oraria dell'estremo B dovra' essere
> > B(t)=A(t)+gamma(t)*L (L=lunghezza di riposo del regolo), cioe' se
> > l'estremo A e' localmente in moto uniformemente accelerato allora non
> > puo' esserlo anche B.
> Per cominciare, mi pare che tu confonda due cose diverse: quello che
> succede a un'asta accelerata in uno spazio-tempo piatto, e quello che
> succede nella caduta libera come nel mio esempio.
Beh si', diciamo che ho mescolato le due cose, ma perche' a me pare che
anche qua ci sarebbero due effetti da tenere ben distinti: un problema e'
cosa succede ad un regolo quando viene accelerato (e quello che succede si
ha sia che il regolo venga accelerato da un campo uniforme sia che venga
accelerato da un campo gravitazionale non uniforme, esempio un campo
centrale che va come 1/r^2) altra cosa sono, mi pare, le forze di marea che
si hanno solo se il regolo viene accelerato in un campo non uniforme.
L'effetto delle forze di marea e' certamente strettamente correlato alla
rigidita' del regolo (se gli oceani fossero ghiacchiati, se fossero cioe'
molto piu' rigidi dei normali oceani liquidi, allora le maree sulla Terra
sarebbero enormemente meno marcate, sarebbero pressoche' inapprezzabili).
Quello che intendevo dire con il mio precedente post e' che deve anche
esserci un altro effetto dovuto alla semplice accelerazione e per metterlo
in risalto conviene affrontare il problema del regolo in caduta in un campo
gravitazionale uniforme.
Io immagino una situazione del genere:
piano infinitamente esteso, uniformemente denso, densita' superficiale di
massa sigma. Il campo ha ovunque intensita' 2*pigreco*G*sigma (G=costante di
gravitazione universale), direzione ortogonale al piano.
Detto S il riferimento solidale al piano che genera il campo, sincronizzati
tutti gli orologi in S, assegnata (mediante l'utilizzo di regoli che erano
fermi rispetto ad S mentre venivano utilizzati) una tripla di numeri ad ogni
punto di S, possiamo descrivere il moto di un regolo che cade nel nostro
campo uniforme.
Ora se l'estremo A seguisse esattamente la legge oraria di un moto
uniformemente accelerato (il moto iperbolico che dicevi), allora l'estremo B
non puo' seguire anche esso un moto uniformemente accelerato.
La nostra asta in caduta e' un buon regolo e come tale non deve
"deformarsi", cioe' quando S lo vede andare alla velocita' v deve anche
vederlo lungo L/gamma. Ma il punto e' che non esiste la velocita' dell'asta,
in ogni istante e' definita la velocita' di ciascun punto dell'asta e le
velocita' dei diversi punti sono diverse fra loro.
Supponiamo di "privilegiare" l'estremo A considerando la sua velocita' come
rappresentativa della velocita' dell'asta nel suo complesso. Se in un dato
istante e' vA la velocita' di A, la nostra scelta di privilegiare A ci porta
a dire che la lunghezza dell'asta, in quell'istante, deve essere L/gamma (e
gamma lo otteniamo da vA), il che ci porta anche a dire che la posizione
dell'estremo B dovra' essere xB=xA+L/gamma. A questo punto, derivando
rispetto al tempo a destra e sinistra si ottiene banalmente che non puo'
essere vB=vA, cioe' nel riferimento solidale con l'estremo A del regolo si
vede l'estremo B in moto. Il che equivale a dire che non esiste un
riferimento, in moto a velocita' costante rispetto ad S, nel quale si vede
il regolo in quiete: in ogni riferimento il regolo appare in fase di
contrazione.
A me non pare che se ne possa uscire immaginando la forza accelerante l'asta
distribuita lungo la stessa. In ogni caso vA deve essere diversa da vB se
c'e' accelerazione e se e' vero che ad una variazione di velocita' deve
anche corrispondere una opportuna variazione di lunghezza.
La maniera che io proponevo per uscire dall'empasse (cioe' per capire come
puo' avvenire una variazione di velocita' un un regolo) era quella di
immaginare qualcosa di analogo alle onde di compressione: da una parte
l'estremo A e i punti ad esso vicini che hanno gia' assunto la velocita'
finale, dall'altra parte l'estremo B e i punti ad esso vicini che hanno
ancora la velocita' iniziale, in mezzo "l'onda" che viaggia da A verso B
(eventualmente rimbalzando fra gli estremi affinche' l'asta "capisca" quale
debba essere la "corretta" velocita' finale) il cui "compito" e' proprio
quello di "informare" il� regolo che deve passare da vin a vfin.
> Nel primo caso, se l'accelerazione e' costante (moto iperbolico)
> l'asta non si accorge di niente.
In questo post ho sostanzialmente ripetuto, entrando in maggior dettaglio,
quanto detto nel post precedente proprio perche', come immagino si sia ben
capito, a me pare che non sia vero che l'asta non si accorge di niente.
Mi consola il fatto che dici che la questione non e' banale e che in passato
sono state anche dette cose sbagliate. Se tu fossi cosi' gentile da
indicarmi qualche riferimento in cui sia riportata quella che chiami
soluzione "pacifica" del problema, e se anche potessi indicarmi brevemente
dove sarebbero i miei errori nelle cose dette sopra, te ne sarei enormemente
grato.
> Elio Fabri
P.S.: per l'asta orizzontale che cade nel campo coulombiano io ottengo
GMmd/(2r^3) (con d<<r), e' corretto?
Ciao.
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
Received on Sun Aug 29 2004 - 02:37:24 CEST