dumbo <_cmass_at_tin.it> wrote:
> a riguardo c'� un famoso articolo di Wigner
> " The unreasonable effectiveness of mathematics in the
> natural sciences" Communications in Pure and Applied
> Mathematics _13_ , 1 , (1960).
> Gi� il fatto che Wigner se ne occupi dimostra che
> non � un problema banale o stupido. Del resto anche Einstein
> trovava misteriosa la comprensibilit� del mondo.
Non metto in dubbio n� l'uno n� l'altro (di Wigner non ho letto nulla;
di Einstein l'unica cosa che critico � una certa ingenuit� politica...
ma nessuno � perfetto - e ce ne fossero tanti di "imperfetti" del
genere!). Quello a cui penso quando sorgono questi problemi � che ci si
trovi di fronte ad un equivoco analogo a quello in cui si incorre quando
si discute di evoluzione: � tutto "troppo" coerente, va tutto "troppo" a
posto per non essere indotti a pensare (in buonafede) che, dietro a
tutto, non possa esservi un "progettista" o, nel caso della matematica,
un "sistema" immanenti. L'idea che tutto possa essere un frutto del caso
� troppo controintuitiva per essere accettata senza altri argomenti a
sostegno (argomenti che esistono ma che spesso non sono per niente meno
controintuivi della tesi che devono sostenere, come ad esempio il fatto
che, soprattutto in presenza di un qualche meccanismo di "memoria" del
sistema, l'evoluzione delle sue interazioni CASUALI con l'ambiente pu�
fornire sul lungo termine un risultato TUTT'ALTRO che casuale).
> > In realt� la soluzione dell' "inspiegabilit�" sta nel fatto che non
> > esiste alcuna matematica disgiunta dai loro creatori:
>
> eppure tra i matematici � diffusa la sensazione che le entit�
> matematiche abbiano una esistenza indipendente dalla mente
> che le crea (e se si accetta questo punto di vista � meglio
> dire "che le scopre").
Non lo metto in dubbio. Ma credo che anche qui si guardi il problema col
"cannochiale a rovescio". Ci torno su tra poco.
> Cos� per esempio la pensa Penrose, vedi cosa dice
> nella Mente Nuova dell' Imperatore, specialmente
> riguardo all'insieme di Mandelbrot. Dice che davanti
> a un frattale del genere si ha l'impressione di trovarsi
> davanti a una montagna oggettivamentre esistente, non a
> un prodotto della mente umana. Goedel era addirittura
> un platonico convinto.
L'esempio del frattale credo possa aiutare a chiarire alcune cose. Le
equazioni dei frattali (da quel che ne ricordo; a me i frattali non
hanno mai fatto sentire tutto il "caldo" che han fatto sentire a tanti
altri: sar� di "marmo" ma...) sono solitamente piuttosto semplici ma
includono SEMPRE la ricorsivit�, ovvero l'equazione usa l'ultimo
risultato ottenuto per calcolarne uno nuovo in un processo che,
sagomando opportunamente l'equazione che "trasforma" i risultati, �
virtualmente senza fine; l'unico limite posto allo sviluppo della sua
storia � la memoria dell'elaboratore.
Il punto chiave per comprendere l'effetto sorprendente che possono
esercitare i frattali � che essi, raccolto in un unico quadro "statico"
la successione di tutti i risultati ottenuti "dinamicamente", forniscono
un qualcosa (una "somma dello storie") che il nostro cervello di per s�
NON E' in grado di elaborare oltre una certa profondit�. Lo fosse, lo
studio della matematica non comporterebbe alcuna fatica. Da qui
l'impressione che il prodotto delle elaborazioni della mente abbiano una
"esistenza propria" al di fuori di essa quando ad avere "esistenza
propria" sono solo le loro conseguenze.
E' la stessa impressione di "alienit�" che si incontra quando, da esseri
tridimensionali quali siamo, cerchiamo di FIGURARCI "cosa possa essere"
un oggetto quadridimensionale: di questi spesso non si pu� far altro che
"accontentarsi" di avere la percezione pi� chiara possibile di come
"appaiono" o "agiscono" sul nostro mondo tridimensionale lasciando
perdere il resto. Dei primi si pu� quasi dire lo stesso: mancando la
possibilit� di percepire come tale la "quadrimensionalit�" dello
sviluppo nel tempo di un frattale (o l'evoluzione di qualsiasi altra
cosa che si sviluppi lungo una dimensione che non pu� essere percepita
insieme alle altre dalla nostra mente) si finisce per avere
l'impressione che esso abbia una vita "propria" o "strana" quando in
effetti processo di "produzione" di una storia e storia sono, in un
certo senso, una sola entit�.
Ritornando coi piedi a terra (si fa per dire...) vi �, pi� in generale,
anche il fatto che l'incapacit� di valutare all'estremo, oltre limiti
piuttosto striminziti, TUTTE le conseguenze che possono sortire da un
"generatore di eventi" (equazioni, assiomi, postulati... quello che
volete) e regole di evoluzione di tali eventi, comporta anche
l'incapacit� di valutare tutti i possibili "usi alternativi" che il
prodotto di determinate condizioni iniziali pu� comportare qualora cambi
l' "ambiente" in cui tali condizioni "vivono". Un esempio per chiarire
le idee: i pollici opponibili comportano notevoli vantaggi nella
capacit� prensili delle nostre mani e questo era sicuramente chiaro
anche agli ominidi di due milioni di anni fa ma altrettanto sicuramente
neppure nella pi� sfrenata fantasia del pi� creativo di loro gli sar�
mai passato per la testa che con essi si potessero fare dei nodi finch�
NON NE HA DOVUTO FARE UNO. Poi una volta che si era imparato a fare i
nodi si � scoperto via via DOVE, QUANDO e PERCHE' farli... ma prima di
arrivare ad utilizzare quei famosi pollici opponibili PER ALLACCIARSI LE
SCARPE si sono dovute "trovare", "scoprire" nel tempo tutti i passaggi
intermedi: avvolgersi i piedi con pezzi di cuoio, poi fare sandali, poi
fare scarpe, poi fare scarpe con le stringhe... Tutte cose che hanno
avuto una loro lunga sequenza di sviluppo che sicuramente il primo
ominide coi pollici opponibili neppure si sognava. Eppure la
potenzialit� di allacciarsi le scarpe era gi� in suo possesso. E, ci
scommetto, se gli si fosse dato un paio di scarpe con le stringhe,
avrebbe imparato in quattro e quattr'otto come allacciarsi le scarpe!
In senso lato (e con rispetto parlando) credo che lo stesso concetto si
possa trovare anche per gli usi alternativi che determinate conoscenze e
costruzioni matematiche trovano col passare del tempo. Sono solo le
"potenzialit�" di ci� che si ha o si sa gi� che vengono rivelate, non le
cose in quanto tali. Queste, inclusa la nostra capacit� di fare
matematica, credo che siano un mero prodotto dell'evoluzione: l'universo
si � presentato con un certo aspetto e con certe regole da seguire per
viverci in maniera ragionevole; chi si � evoluto in conformit� a tali
regole (compreso il "2+2=4") � sopravvissuto e si � evoluto, gli altri
si sono estinti... Volendo dirla in un altro modo: non � l'universo che
� matematico, lo � il rapporto che abbiamo con esso - Per parafrasare
Churchill: un rapporto orribile ma non ne conosco di migliori... ;-).
Sull'evoluzione di tale rapporto credo che il minimo che si possa dire �
che sia stato "interattivo". Come del resto lo � stato qualunque aspetto
del rapporto "natura-cultura" con cui la nostra specie ha sempre dovuto
fare i conti da quando, con l'organizzarsi in "societ�" (dai
cacciatori-raccoglitori fino ai pi� sofisticati rincoglionitori odierni)
ha prodotto non solo "memoria di esperienze" ma anche "memoria di
riflessioni" e poi di conoscenze, riflessioni sulle conoscenze,
astrazioni, riflessioni sulle astrazioni... la psichiatria non � nata
per puro capriccio! ;-).
> > il mondo, l'universo, i fenomeni naturali ecc. esistono indipendentemente
> > da tutti i nostri punti di vista e modi di osservarlo,
> > compresi quelli matematici.
>
> il punto � che tra gli infiniti modi matematici, che abbiamo
> a disposizione per descrivere l'universo, ne funziona uno solo.
> Perch� proprio quello? Forse perch� � quello il modo
> in cui la realt� oggettiva � costruita? Secondo me s�.
Messa cos� il tutto si riduce al problema "evolutivo" uovo-gallina: chi
riproduce chi? Chi costruisce chi? O per dirla meglio: chi � venuto
prima di chi?
> >Se il mondo ci appare matematico � affar
> > nostro non suo: probabilmente ci appare tale non perch�
> > "�" tale ma pi� banalmente perch� gli "occhiali" con cui lo
> > guardiamo sono costruiti "su misura" per vederlo in quel
> > modo. Tali occhiali sono costruiti in base alle nostre
> > capacit� e sulla base delle nostre esigenze. Nient'altro.
>
> Per le capacit� siamo d'accordo, ma per le esigenze no:
> gran parte della matematica � stata costruita senza
> esigenze, solo per amore del sapere, per curiosit�,
> per ragioni estetiche, per gioco. Le applicazioni pratiche
> sono venute molto tempo dopo. Poi succede anche questo:
> tu inventi una formula per divertirti o per spiegare
> un solo fenomeno e poi ti accorgi che spiega tanti altri fenomeni
> che nemmeno sospettavi, e predice l' esistenza di cose che
> neppure immaginavi e che poi si trovano. E' difficile pensare
> di aver fatto un gioco mentale interno e niente di pi�, � pi� facile
> pensare che hai trovato una legge vera, che non � solo
> dentro di te ma � anche dentro la natura.
> Sei sicuro di poter liquidare il problema con una risposta
> "kantiana" del tipo " vediamo il mondo verde perch� abbiamo
> gli occhiali verdi" ?
"Sicuro" mi guardo bene dall'esserlo su qualsiasi cosa (se fossi un
"sicuro" non avrei neanche perso un secondo a pensare a questioni del
genere!). Anche qui credo che alla fine della fiera il problema sia
riducibile ad un altro: se siamo un prodotto della "natura" la nostra
"cultura" (anche matematica) � o non � un prodotto di natura? E' o non �
un derivato della natura? Prima di rispondermi lasciami rifugiarmi nel
bunker con il gatto e il prosciutto... ;-)
>
> Ciao,
> Corrado
Ciao!
Piercarlo
Received on Thu Dec 11 2003 - 23:13:40 CET
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