Nell'articolo <fwVqb.716$ZH3.207_at_tornado.fastwebnet.it>
unit ha scritto:
> Poi c'� un passaggio a probabilit�
> classiche, ma queste sono dipendenti dalla situazione
> pre-misura e quindi si fanno carico degli effetti quantistici.
> Quindi
> indipendentemente da come si arrivi a queste probabilit� classiche
> (per magia o per decoerenza) ci si ritrova con degli effetti
> quantistici.
Mettiamola cos�:
Quando facciamo l'esperimento con un solo foro alla volta, la figura che
producono gli elettroni � una figura "a campana", centrata pi� o meno dietro
al foro.
Se poi facciamo l'esperimento con due fori, in modo tale da poter stabilire
da quale foro � passato l'elettrone, noi vediamo che la figura prodotta
dagli elettroni � la "sovrapposizione" delle due "campane".
Quindi abbiamo due belle "campane" e nessuna "interferenza".
Ora, noi oggi siamo convinti che la probabilit� con cui l'elettrone colpisce
lo schermo del rivelatore sia espressa da <x,t|x,t>, dove |x,t> � una
funzione complessa soluzione della equazioni di Sch. eccetera eccetera.
Voglio dire che noi siamo convinti che *in ogni caso* sono "in azione" le
leggi della MQ. Da questo punto di vista dobbiamo dire che � vero che non
c'� "interferenza", tuttavia abbiamo ancora dei fenomeni "ondulatori",
perch� quella "campana" che osserviamo nel caso dei singoli fori non � altro
che un fenomeno di "diffrazione" (lo spiega anche Elio Fabri, meglio di me,
in un suo post nel thread "diffrazione da elettroni").
Insomma, uno potrebbe dire che sempre di "meccanica ondulatoria" si tratta,
perch� abbiamo due "diffrazioni", le quali -� vero- in questo caso non
producono interferenza, tuttavia sempre diffrazioni sono.
E va bene.
Supponiamo per� di continuare a fare degli esperimenti e, per una
serie di circostanze sfortunate (o dovremmo dire fortunate? :-) ) di non
osservare mai una "interferenza" fra quelle due "campane". Potremmo aver
fatto i due fori troppo vicini, o avere una "figura" troppo sfocata, oppure
continuare a tenere "la luce accesa", oppure potremmo lasciare in prossimit�
dei fori un circuito che risente del passaggio degli elettroni e che (anche
se non viene utilizzato e/o osservato) potrebbe consentirci di stabilire in
quale foro � passato l'elettrone, eccetera, eccetera, eccetera.
Ebbene, in quel caso non ci verrebbe mai in mente una cosa
cos� "strana" come il fatto che la nostra "campana" sia "in realt�" una
"figura di diffrazione". Preferiremmo restare nell'ambito del modello
"classico" ed affermare che: a) il fatto che gli elettroni non finiscano
tutti nello stesso punto (dietro il foro) � dovuto agli urti con i bordi del
foro, che li deviano; b) il fatto che non tutti gi elettroni vengano deviati
pu� essere attribuito ad alcune differenze microscopiche nello stato
iniziale, quello in cui vengono emessi. Come vedi tutto potrebbe restare
all'interno di un modello "classico" e la componente "aleatoria" potrebbe
essere attribuita alla "ignoranza di dettagli microscopici".
Possiamo anche supporre di venire a contatto con una civilt� che ha gi� (o
meglio: appena) scoperto la "quantizzazione della radiazione" (ovvero ha gi�
la nozione di "elettrone" e di "fotone") ma -per "sfortuna"- momentaneamente
ha osservato solo delle "campane" e mai delle "interferenze". Ecco, una
simile civilt� potrebbe continuare tranquillamente ad adottare un modello
"classico" della radiazione in perfetta sintonia con tutte le evidenze
sperimentali.
Certo, tu andresti l� a dirgli: <<Quardate che la vostra fisica non � la
"vera" fisica, perch� "in verit�" quella "campana" che voi ritenete prodotta
da differenze microscopiche e urti con i bordi del foro � una "figura di
diffrazione", e la "vera" fisica � "ondulatoria".>>
Costoro potrebbero per� avanzarti una marea di obiezioni, costringerti a
discutere "filosoficamente" il fatto che le cose stiano "veramente" in un
modo o nell'altro, accusarti di "misticismo" per la tua convinzione che
esista una "vera" fisica, eccetera.
Alla fine l'unica cosa che potresti fare � mettergli in piedi un
bell'esperimento in cui l'"interferenza" *si vede*, e poi chiedere loro come
fanno a spiegare quel che hanno appena visto nell'ambito del loro modello
concettuale.
Ne viene che se quel particolare effetto non fosse direttamente ed
empiricamente osservabile parlare di <<come stanno "veramente" le cose>>,
oppure dire che <<"in realt�" quella "campana" � una "figura di
diffrazione">> sarebbero tutte cose prive di senso.
Ebbene, noi sappiamo che (quasi) tutti i corpi macroscopici non presentano
mai dei fenomeni di interferenza, e quindi possono essere tranquillamente
trattati nell'ambito di un modello classico.
Se il fatto di "trattare classicamente" qualcosa che "in realt�" sappiamo
essere "sotto sotto quantistico" ti pone dei problemi, possiamo anche porre
la faccenda in altri termini, ad esempio cos�:
a) partire da una trattazione "quantistica" e poi mostrare che gli elementi
non diagonali della matrice di densit� sono "quasi sempre" nulli (o meglio:
ai fini di una osservazione che duri un tempo finito producono un effetto
nullo)
oppure
b) trattare direttamente il sistema facendo uso della meccanica classica
ecco, fare l'una o l'altra di queste due cose ti cosentente di pervnire alle
stesse conclusioni *concrete* [*], ovvero che dopo un certo intervallo di
tempo c'� una certa probabilit� di trovare lo stato del sistema in un
intorno di un certo stato, eccetera.
Chi avr� scelto la strada "classica" dir� che quella "probabilit�" � dovuta
ad "ignoranza sui dettagli microscopici", mentre tu dirai che "in realt�" la
"vera fisica" del sistema � "quantistica", e che il fatto che le probabilit�
si sommino in modo "classico" � dovuto alla "decoerenza" che rende
trascurabili gli elementi non diagonali, e che in ogni caso quelle
"probabilit� classiche", come dici tu, <<si fanno carico degli effetti
quantistici>>.
Sembra quasi che tu parta dal presupposto che esista "il punto di vista di
Dio", e che si debba stare attenti a non usare i modelli "sbagliati".
Immagino per� che tu sarai un po' stanco di tutti questi miei "filosofemi",
e quindi prover� a illustrarti il mio punto di vista anche sotto una
angolazione pi� "pragmatica".
Il punto � questo: quando noi ci mettiamo a fare esperimenti con la
"radiazione", usiamo gli strumenti di misura applicando ad essi la meccanica
classica. Proprio l'uso della meccanica classica ci consente poi di dedurre
che la "radiazione" � costituita da dei "gas di particelle", ed � sempre
l'applicazione della meccanica classica agli strumenti di misura che ci
consente poi di scoprire che queste dannate particelle producono degli
inspiegabili effetti di "interferenza".
Bene, a questo punto noi ci troviamo in una condizione un po' precaria,
perch� se affermiamo che quella "interferenza" non � assolutamente
inquadrabile nel modello "classico" allora concludiamo che la meccanica
classica non � valida, quando � stata proprio la meccanica classica a farci
prendere coscienza del fatto che esiste l'interferenza! Siamo in una
sitazione simile a quella del "paradosso del mentitore": se la meccanica
classica � "vera" allora � "falsa", e se � "falsa" allora � "vera"!
Come se ne esce? Dobbiamo necessariamente provare a ragionare cos�:
1) usando la meccanica classica per gli strumenti di misura scopro che essa
non � valida per le particelle microscopiche;
2) se voglio che tutto ci� sia "autoconsistente" (scientificamente,
logicamente, filosoficamente, ecc.) bisogna che alla fine -qualunque sia
questa "nuova meccanica" che sto indagando- essa sia tale da poter
concludere che non avevo "sbagliato" ad applicare la meccanica classica ai
dispositivi di misura.
Per� attenzione: quando dico <<non avevo "sbagiato" ad applicare la
meccanica classica ai dispositivi di misura>> non mi sto chiedendo se "dal
punto di vista di Dio" la meccanica classica sia "giusta". Mi sto
semplicemente chiedendo se le conclusioni *concrete* [*] a cui pervengo
applicando la meccanica classica ad uno strumento di misura siano le stesse
a cui potrei pervenire quando a quello strumento di misura applicassi la
"nuova meccanica".
Ad esempio: noi di fronte ad un evento che secondo la meccanica classica
pu� avvenire in diverse modalit� fra loro esclusive, esaustive ed
indipendenti (= se tu concepisci una particella come oggetto puntiforme
sempre localizzato allora *o* � passata in un foro *o* � passata in un
altro) siamo indotti a pensare che le "probabilit�" delle varie modalit� si
sommano.
Ebbene, la "nuova meccanica" non rispetta questo principio, ma
allora noi abbiamo fatto bene ad applicarlo (fino a qui) agli strumenti di
misura???
Dove - lo ripeto allo sfinimento- quell'aver fatto "bene" non ha n�
una valenza "etica" n� "essenziale" (nel senso di "essenza delle cose") n�
"sostanziale" (nel senso di "cosa c'� veramente sotto"), ma pone
semplicemente -come dicevo- un interrogativo di "autoconsistenza", del tipo:
Bene, ho ricavato la MQ applicando la MC ai dispositivi di misura, che
succede se ora vado a studiare il comportamento dei dispositivi di misura
usando la MQ, come � (indubbiamente) lecito fare?
Se la risposta a questa domanda ci fornisce un risultato *concretamente*
[*] compatibile allora siamo "salvi", altrimenti ci troviamo per davvero nel
pieno di un "paradosso del mentitore" e non sappiamo come venirne fuori.
E' chiaro che noi non possiamo pretendere che quella compatibilit� sia,
oltre che numerica, anche "concettuale", perch� la MQ e la MC sono
concettualmente diverse. L'hai sottolineato anche tu quando dicevi che pur
ottenendo per una matrice di densit� (ridotta) solo degli elementi diagonali
in qualche modo quegli elementi diagonali <<si fanno carico>> della
"meccanica quantistica". S�, certo, dico io: se ne fanno *sempre* "carico"
dal punto di vista concettuale perch� se parlo di "probabilit�" nell'ambito
della MQ le concepisco come effetti che sono "intrinsecamente
probabilistici", mentre nella MC la "probabilit�", come dicevamo, � solo
"ignoranza dei dettagli microscopici", e posso continuare a pensarla cos�
fino a quando l'evidenza sperimentale mi consente di farlo.
Vedi allora che sul piano "concettuale" un dispositivo di misura non � la
"stessa cosa" (su questa espressione fra parentesi ci sono da tirar fuori
venticinque secoli di ontologia, ma lasciamo perdere...) se trattato con la
MQ e la MC, tuttavia noi possiamo fare in modo che "concretamente" il
"cerchio" si chiuda, e che tutto risulti autoconsistente.
Se poi pensi che esista una "realt� delle cose" (ovvero il "punto di vista
di Dio") possiamo metterla cos�:
"Sbagliando" abbiamo applicato la MC al dispositivo di misura, e su
quell'errore abbiamo costruito la MQ, che � la fisica "vera". Come ho fatto
a ricavare la fisica "vera" da quella "sbagliata"? Semplice: si vede che �
uno di quei numerosi casi in cui "sbagliando ci si prende". Posso dimostrare
che questo � uno di quei casi in cui "sbagliando ci si prende"? S�, lo posso
dimostrare, perch� gli effetti di decoerenza diagonalizzano la matrice
densit� ridotta!
Questo -dicevo- � il punto di vista di Dio. Quando poi la fisica uscir�
dalla mistica medievale (a occhio fra tre-quattro secoli) ci si render�
conto che non � necessaria alcuna "realt� vera" per fare della fisica, e che
basta -come dicevo- che i modelli della fisica siano "concettualmente
autoconsistenti", un po' come quella vecchia pellaccia del Barone di
Munchhausen, che sapeva sollevarsi afferrandosi per i lacci degli stivali.
Saluti,
Davide
[*] Qui e nel seguito al posto di "concreto" sarei stato tentato -per farmi
capire- di dire "numerico". Per� la distinzione fra "qualit�" e "quantit�" �
in realt� molto ingenua, e si va parare nel solito discorso semplicistico
secondo il quale -alla fin fine- contano solo i "numeri". In realt� il
motivo per cui "contano solo i numeri" � che le grandezze della fisica sono
tutte grandezze definite in modo *operativo* (o grandezze derivate da
queste), sicch� associare delle "propriet�" ad un sistema fisico alla fine
non si fa altro che "contare", ovvero ripetere un certo numero di volte una
certa "operazione". Usando l'aggettivo "concreto" ho appunto cercato di dire
esprimere il concetto di numerico-operativo.
Received on Sat Nov 08 2003 - 14:39:26 CET
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