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From: Paolo Russo <paolrus_at_libero.it>
Date: Thu, 06 Nov 2003 21:53:51 GMT

Premessa: non ho letto Omnes, e con la filosofia in generale
(soprattutto quella classica) ho rapporti alquanto tesi; se
uno arriva a porsi seriamente il problema di come si possa
definire il verbo essere, per me e` gia` su una brutta
strada. :-)

[Davide Pioggia:]
>[...]
>Io qui dar� per scontate molte cose, e supporr� di poter trovare una "base
>comune" con i miei eventuali interlocutori affermando che la difficolt�
>maggiore della "vecchia interpretazione" (quella "ortodossa", o "di
>Copenhagen") � il fatto che per poter dare un significato fisico alle
>grandezze matematiche utilizzate occorre supporre di essere in presenza di
>un dispositivo (macroscopico) di misura, o comunque di potere -almeno in
>linea di principio- effettuare delle osservazioni con un tale dispositivo.

Mi sembra che il problema piu' grave sia un altro, anche se
correlato: l'interpretazione di Copenhagen non riesce a
spiegare il comportamento dei dispositivi di misura
all'interno del formalismo della MQ (l'evoluzione temporale
e` lineare, quella dei dispositivi di misura per l'int. di C.
non lo e`). In sostanza l'int. di C. pone alla base della MQ
l'asserzione della sua non validita` in certi ambiti (pure
mal definiti), il che e` quantomeno... originale, diciamo,
specie considerando che per essere coerente la MQ, cosi'
com'e` formulata, richiederebbe di essere valida a qualunque
livello; si pensi ad esempio alla questione
dell'impossibilita` di localizzare una particella che passa
per due fenditure sfruttando il rinculo dello schermo, che si
basa pesantemente sull'assunto che anche per lo schermo valga
la MQ. Niente di male quindi se si prende l'int. di C. solo
come un punto di partenza, un abbozzo di interpretazione da
rifinire in un secondo momento, aspettandosi magari che la MQ
venga un giorno falsificata in opportuni ambiti
semi-macroscopici; se invece la si considera un punto fermo,
una visione coerente dell'universo (nel suo ambito), diventa
indifendibile.

>[...]
>Andiamo avanti. Per specificare cosa intendere con "il valore dell'
>osservabile A", Omn�s dice semplicemente che "A � formalmente un operatore
>autoaggiunto" e che "i suoi valori sono i suoi autovalori". Bene, ora
>sappiamo
>cosa sono *i* valori di A, ma qual � *il* valore di A?
>[...]

Questa domanda mi lascerebbe sconcertato se non avessi vaghi
ricordi di altri thread dove avevo avuto la vaga impressione
che Omnes avesse una visione tutta sua degli argomenti
trattati, impressione che a questo punto si rafforza.
Non esiste *un* valore di A. Esistono tutti.

>E d'altra parte � chiaro che il "significato
>fisico" di quelle grandezze matematiche sta tutto in questo passaggio ad un
>articolo determinativo singolare: fra tutti i valori di A ce n'� *uno*
>particolare; e di questo particolare valore noi sappiamo che "� in" (=
>appartiene a) l'insieme D.

Questa e` l'interpretazione "storie coerenti con collasso",
che posso solo supporre sia stata inventata di sana pianta da
Omnes o Griffiths e che non va confusa con le "storie
coerenti" di Gell-Mann e compagnia, nella quale il passaggio
di cui parli sta tutto nella decoerenza tra le storie. In
ogni singola storia lo sperimentatore e` convinto che il
valore che ha osservato sia *il* valore... ma e` solo una sua
percezione, perche' non vede le altre storie, che pure
esistono.

Ciao
Paolo Russo
Received on Thu Nov 06 2003 - 22:53:51 CET

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