karamel wrote:
> A che velocit� si propaga la forza di gravit� (attrazione da parte dei
> corpi celesti)?
> Forse a quella della luce?
Oggi si ritiene che la gravit� si propaghi (quindi ad una velocit� finita,
equivalente a c), per il fatto che si rifiuta il concetto di azione
istantanea a distanza.
Si ritiene erroneamente per� che Newton credesse in tale assurdit�: Newton
in proposito o non fingeva ipotesi, o, in seguito, approd� al concetto di
etere che riempie tutto lo spazio, per dar conto del moto dei corpo l'uno
verso l'altro.
Pi� avanti ti riporto dei brani tratti dai suoi scritti, da cui risulta
l'originalit� del suo pensiero rispetto a quello dei Cartesiani
(concezione oggi sopravissuta presso molti eretici eteristi), i quali
parlavano di vortici.
Newton rifiutava i vortici: la diversa densit� del suo etere si
definirebbe oggi il "!potenziale" del campo, la cui derivata altro non�
che la gravit�.
La sostanza a densti� variabile secondo la legge iperbolica y=-|1/x|, la
cui derivata, y'=1/x^2 � appunto la forza di gravit�, � dotata dio
rigidit� assoluta, per cui p�arl�are di azione istantanea ha senso come ne
ha il dire che un corpo appoggiato su di un piano inclinato risente
dell'inclinazione e si mette in moto verso valle.
PUoi trovare qui l'intuizione einsteniana della curvatura dello spazio: un
corpo si muove seguendo la geodetica determianta da questa curvatura.
Solo che Newton non curva lo spazio (che rimane a tre dimensioni lineari,
euclideo, quindi un contenitore).
Newton in realt� non svuot� mai lo spazio dall'etere.
All'inizio (nei "Principia") si limitava a "non fingere
ipotesi", e quindi si asteneva ad entrare nella questione delle cause
(erano i suoi commentatori, e i suoi stessi adepti a dire che lo spazio �
vuoto) poi (nell'"Optics" ed in varie lettere), smise di non fingere
ipotesi
e ader� anch'egli all'ipotesi dell'etere, pur restando in polemica coi
cartesiani, poich� il suo etere non turbinava in vortici, ma era solo una
"sostanza" ("pneuma", "logos") di natura a noi imperscrutabile,
distri�buita
con diversa densit� (oggi si direbbe "potenziale") nello spazio. Egli la
ipotizz� prima di tutto per spiegare la gravit� come "tendenza dei corpi a
dirigersi verso la rarefazione" (come se fossero spinti da una maggior
pressione retrostante) - vale a dire, sempre secondo la terminologia
moderna, verso il basso potenziale.
Ma lasciamo parlare Newton stesso.
Copio e incollo qui di seguito alcunbi brani, tra i tanti che potrei
citarti.
Ho trascritto introdutvamente anche dei brani in cui si parla dei raggi
(corpuscoli) di luce che si comportano esattametne come i corpi massicci
quando si avvicinano ai confini dell amateria, risentendo del gradiente
della densit� dell'etere:
Di fatto Newton oper� una grand eunificazione tra ottica e meccanica
gravitazionale, che � sfuggita agli storiografi.
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La rifrazione della luce non procede dalla diversa densit� di questo mezzo
etereo nei diversi luoghi, allontanandosi sempre la luce dalle parti pi�
dense del mezzo? E tale densit� non � per ci� stesso pi� grande nei liberi
ed aperti spazi vuoti d'aria che dentro i pori dell'acqua, del vetro, del
cristallo, delle gemme e degli altri corpi compatti? Infatti, quando la
luce
passa attraverso il vetro ed il cristallo, e, cadendo in modo fortemente
inclinato sopra la superficie pi� lontana viene totalmente riflessa, la
riflessione totale deve procedere piuttosto dalla densit� e dal vigore del
mezzo che sta fuori ed al di l� del vetro, che dalla sua rarit� e
debolezza.
(Libro terzo dell'Ottica, parte I, questione 19, pag 561)
Col passare dall'acqua, dal vetro, dal cristallo e da altri corpi compatti
e
densi nello spazio vuoto, non diventa, questo mezzo etereo, gradualmente
sempre pi� denso, ed in questo modo non rifrange i raggi della luce non in
un punto, ma piegandoli gradualmente in linea curva? La graduale
condensazione di questo mezzo non si estende a qualche distanza dai corpi e
non causa, pertanto, l'inflessione dei raggi di luce, che passano presso i
margini dei corpi densi, a qualche distanza dai corpi?
(Libro terzo dell'Ottica, parte I, questione 20, pag.561)
Questo mezzo, non � molto pi� raro dentro i corpi densi del sole, delle
stelle, dei pianeti e delle comete che nel vuoto spazio celeste esistente
tra essi? E nel passare da quelli a distanze molto maggiori, non diventa
continuamente sempre pi� denso, e causa per ci� stesso la gravitazione di
questi grandi corpi l'uno verso l'altro e delle loro parti verso i corpi:
ogni corpo compiendo uno sforzo per andare dalle parti pi� dense del mezzo
verso quelle pi� rare? Perch�, se questo mezzo fosse pi� raro dentro il
corpo del sole che sulla sua superficie, e l� pi� raro che alla centesima
parte di un pollice dal suo corpo, e l� pi� raro che nell'orbita di
Saturno,
non vedo alcuna ragione per cui l'incremento della densit� debba arrestarsi
in un qualche luogo e non debba piuttosto continuare attraverso tutta la
distanza dal Sole a Saturno ed oltre: e sebbene questo incremento di
densit�
possa, alle maggiori distanze, essere estremamente lento, tuttavia se la
forza elastica di questo mezzo � estremamente grande, essa pu� essere
sufficiente per spingere i corpi dalle parti pi� dense del mezzo verso le
pi� rare, con tutta quella potenza che chiamiamo Gravit�.
(Libro terzo dell'Ottica, parte I, questione 21, pag.562)
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(tratto da "Newton dimenticato" - Materiali didattici della Scuola di
Fisica
"G.Bruno" - Dic 1998 - Venezia)
Luciano Buggio
http://www.scuoladifisica.it
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Received on Thu Aug 01 2002 - 17:07:48 CEST