Re: Re: Rendimento del fotomoltiplicatore

From: Luciano Buggio <buggiol_at_libero.it>
Date: Fri, 13 Jul 2001 18:00:20 +0000 (UTC)

"Pekisch" <abropekisch_at_inwind.it> ha scritto nel messaggio
news:9hqiav$f18$1_at_nreadB.inwind.it...
> Luciano Buggio wrote
>
> > Qualcuno sa dirmi come si stabilisce il rendimento di un tubo
> > fotomoltiplicatore ad effetto fotoelettrico?
>
> Se per rendimento intendi guadagno di solito si fa pressappoco cos�:
> Si prende una elemento debolmente radioattivo che emette fotoni di energia
> nota, diciamo E.
> Il fotone nel fototubo crea coppie atomo-elettrone, gli elettroni vengono
> attratti verso l'anodo. Se per ionizzare un atomo del gas che riempie il
> fototubo serve un'energia W, il numero di elettroni inizialmente prodotti �:
> n=E/W. Questi elettroni primari vengono accelerati dal campo elettrico e
> producono altri elettroni in numero proporzionale N=n*G , con G costante
> (� il guadagno).
> Per misurare G, dunque, note E e W, si calcola n. Si misura la carica totale
> raccolta sull'anodo N e si fa il rapporto: G=N/n.
> Il guadagno G varia con pressione del gas, tensione agli elettrodi, ecc.
> Ho cercato di essere il pi� breve possibile, se non sono stato chiaro ...
> basta chiedere.
> Ciao.
Non intendevo il guadagno.
Assumo che, con le tecnologie attualmente a disposizione, il G che tu
quantifichi sia massimo (opportuna pressione del gas, opportuno valore
dell'accelerazione degli elettroni, geometria dell'apparecchio ecc.).
Ci� significa massima probabilit� di ottenere l'effetto "a cascata" in
seguito alla ionizzazione di un singolo atomo per l'impatto di un singolo
fotone emesso dalla sostanza radioattiva.
In tale senso mi pare che si possa ottenere un guadagno anche del 100%, vale
a dire che tutte le volte che un fotone produce l'effetto fotoelettrico (a
livello microfisico, come detto, nel senso cio� che riesce a scalzar via un
elettrone) l'apparecchiatura d� un segnale acustico o luminoso macroscopico.
Lo stesso vale per altri sistemi di amplificazione dell'effetto, che fanno a
meno del gas: per esempio una piastrina metallica su cui avviene la
mobilitazione di un singolo elettrone, fatto riflettere su di una sequenza
di altre piastrine in cui l'elettrone mobilita esponenzialemtne altri
elettroni a cascata fino al segnale avvertibile.

Il mio problema, dato un guadagno del 100% (perfetta efficienza
dell'apparecchiatura *a valle* della mobilitazione del primo elettrone) �
quello della probabilit� che *l'evento mobilitante* si verifichi.
Tu conoscerai la sorgente monoatomica di Mandel. Un fascetto di atomi
(tipicamente di mercurio) distanziati tra loro, in "fila indiana"
interagiscono con un fascio laser perpendicolare che li eccita ad uno ad uno
(la frequenza del passaggio nel punto di impatto mi pare sia tipicamente
10^4 per sec.) in modo che un singolo "fotone" alla volta, all'atto della
diseccitazione, venga emesso da ciascuno di essi.
L'equivalente concettuale dell'esperimento tipico di Mandel
(l'apparecchiatura della sorgente � di fatto diversa e pi� complessa)
consiste nell'aver predisposto una rivelatore a tutto campo con G unitario
(idealmente una cavit� sferica fotosensibile centrata nell'atomo di volta in
volta eccitato).

In queste condizioni sperimentali si stabilisce quello che io chiamavo
rendimento.

Quantificando, se ad ogni atto di diseccitazione abbiamo un segnale (in
qualche punto della cavit� sferica avviene l'attivazione, ad opera
dell'emissione, di un elettrone che , visto il sicuro guadagno, fa s� che il
fotorilevatore ticchetti), diremo che il rendimento del fotorilevatore �
del 100%.
Sar� del 50% se l'evento microfisico si verifica una volta su due.
Attualmente il rendimento dei fotomoltiplicatori in uso (anche quegli per
gli esperimenti di Aspect con fotoni polarizzati - comunque per i fotoni,
ben inteso, ch� il termine *foto*rilevatore viene impropriamente esteso
anche alla rilevazione di neutroni e altre aprticelle massive) non supera di
molto il 10%.

Ti chiederai perch� ho fatto quella domanda, se pare che avessi gi� una
risposta.
L'ho fatta perch� volevo essere sicuro che questo, di cui io sono al
corrente, sia l'unico modo che abbiamo oggi di "sperimentare" cosa cavolo
esce dal singolo atomo eccitato.
L'esperimento ci dice solo che ad ogni dieci atti di diseccitazione il
fotorilevatore scatta una volta.
Esso esperimento ci autorizza a concludere che ogni volta che l'atomo si
eccita e si diseccita emette un singolo indivisibile oggetto, detto
"fotone"?
Esistono altre evidenze sperimentali per suffragare tale affermazione?
Per quel che possiamo indurre da questo solo esperimento, potrebbe essere
che l'atomo emetta ad ogni atto di diseccitazione, che so?, un miliardo di
fotoni, e che il fotorilevatore abbia un rendimento di un decimiliardesimo:
osserveremmo sempre il rilevatore tichettare una volta su dieci.
Non prendermi (ancora) per pazzo.
Comunque la domanda resta quella che ho fatto pi� sopra: "esistono altre
evidenze *sperimentali* che ci assicurino che viene emessa *una sola
indivisibile cosa* (il *quanto* in un unico esemplare) ad ogni ato di
eccitazione?."
Ho detto sperimentali, dimentica per il momento la teoria.
.
Ciao e grazie.
Luciano

--
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