Oddio, se non si puo' tirare in ballo neanche una formula e' veramente dura.
Comunque, se ti puo' essere di sostegno morale, mi ci provero' io, con la
mia scarsissima capacita' didattica, a darti una specie di risposta.
Cominciamo con il fotone.
Poni di avere un bussolotto macroscopico (altrimenti detto scatola) totalmente vuoto
e con pareti interne magnificamente riflettenti. Nel bussolotto valgono naturalmente
le leggi di Maxwell sulla base delle quali il bravo fisico puo' calcolarsi tutti i legittimi
campi e.m. che potrebbero albergare all'interno (quale sara' realmente il campo e.m.
all'interno dipendera' da delle opportune condizioni iniziali).
Per comodita' nostra trascuriamo le componenti stazionarie dei campi (Sarebbe a dire
che se in punto a tuo gusto medi il campo nel tempo su un tempo sufficientemente lungo,
ti avvicini quanto vuoi allo zero), rimangono percio' solo delle componenti "oscillanti".
Queste componenti possono essere scritte, in modo del tutto generale, come
sovrapposizione di un insieme numerabile di onde stazionarie.
Stazionarie significa che ventri e nodi se ne stanno inchiodati al loro posto (varia solo
l'ampiezza nel tempo come una sinusoide), numerabili significa che le posso contare
riuscendo, prima o poi, a raggiungere nel conteggio qualunque tipo di onda mi sia prefisso.
Fatto tutto questo lavoro, un desiderio spontaneo e' quello di calcolare quant'e' l'energia
di un onda composta da tot dell'onda stazionaria uno, piu' tot della onda stazionaria due,
piu' tot della tre ecc. ecc.
Salta fuori, con grande meraviglia di tutti, che ogni onda stazionaria si porta il suo pezzo di
energia, indipendentemente da quello che fanno le altre componenti. Non solo: l'espressione
dell'energia di un'onda stazionaria puo' essere ricondotta alla stessa espressione di un sistema
fisico semplicissimo, la molla (con qualcosa attaccato alle estremita'...). Ai fisici sagaci e'
venuto in mente di "quantizzare" questa espressione (finora eravamo sempre in ambito
classico) ne' piu' ne' meno come avevano quantizzato la molla nei loro studi precedenti di
meccanica quantistica. Secondo questa nuova teoria (applicare la quantizzazione in questo
modo, cosi' come e' stato fatto dai pionieri, si chiama, senza mezzi termini, "inventare di sana
pianta una teoria") ogni onda stazionaria, che chiamero' anche "modo del campo", puo'
incamerare energia solo a quantita' discrete. Per ogni modo, queste quantita' sono multipli interi
di un quanto che vale hv dove "h" e' la strafamosissima costante di Planck e "v" e' la
frequenza con la quale "respira" l'onda stazionaria classica (non quantizzata) corrispondente.
Chiaramente ogni modo ha una sua frequenza propria.
Se il nostro bussolotto non ha un briciolo di energia, eccettuato un miserabile quanto nel modo "pippo",
(condizione davvero difficile da realizzare) diciamo che il nostro bussolotto contiene un fotone pippo.
Se di "quanti" ce n'e' dieci, diremo che ci sono dieci fotoni pippo, ecc.
analogamente se il modo caio ha n quanti di energia, il modo sempronio m, ecc. diremo che ci sono
n fotoni caio, m fotoni sempronio ecc.
Esiste tutta una quantita' di considerazioni che legittima il fisico a trattare il fotone come una particella
elementare, ma noi le tralasciamo.
Ritorniamo invece ad un fotone solo e ramingo dentro alla scatola. Per cercare di descriverlo potremmo usare
vari metodi. Il primo metodo e' quello banale: accontentiamoci di sapere che esiste lui.
(e' l'equivalente di dire, per l'atomo di idrogeno, che l'elettrone sta, che so, sul livello 4s)
Il secondo metodo e' quello di trovare una rappresentazione nella base delle coordinate di quantizzazione.
In questo caso troveremmo dei grafici simili a delle fisarmoniche, ne' piu' ne' meno come il "classico"
oscillatore armonico quantistico, ma senza che i grafici abbiano una immediata interpretazione spaziale
(e' l'equivalente di fornire la funzione spinorbitale per il livello 4s dell'idrogeno anche se in questo caso
il significato spaziale c'e' e come!)
il terzo infine non ha corrispettivo nella m.q. ordinaria e prevede di calcolare i campi elettromagnetici dovuti
a questo fotone ramingo.
Ebbene qui iniziano i fuochi d'artificio. Mentre "quantizzavamo" le nostre onde stazionarie abbiamo
automaticamente cambiato lo status sociale dei nostri campi da quello di funzioni dello spazio (e del tempo
a valori in R3 ecc. ecc.) in oggetti ben piu' complicati sui quali non e' il caso di dilungarsi. Basti sapere
che questi nuovi campi possono essere descritti in un dato istante, in un dato punto dello spazio (sempre dove vaga
il nostro fotone) non con un solo valore, ma con una media di valori ed una deviazione standard. Esattamente
come accade nella m.q. alla posizione di un elettrone. Insomma: prima della quantizzazione il campo appiccicava
una freccia ad ogni punto dello spazio. Il campo quantizzato ora appiccica una "nuvoletta frecciforme" ad ogni
punto dello spazio, dove la forma della "nuvoletta" dipende da quali e quanti fotoni sono nella scatola e poche altre
inezie.
Con un solo fotone la "nuvoletta" del campo e' estremamente diffusa, diciamo cosi'. Inoltre non e' possibile decidere
a quale punto dell'oscillazione sia il campo: la cosiddetta fase e' totalmente indeterminata.
Inoltre il fotone non e' localizzato, nel senso che, costruendolo cosi' come ho descritto io, il campo e' alterato su
tutta la scatola.
Quindi l'aspetto dei "campi di un fotone" e' bellamente diverso dalla nitida sinusoide che si diparte come un capello
da un atomo ping-pongiforme.
Per ottenere campi macroscopici e in fase, come siamo abituati sui primi libri di fisica, bisogna ricercare stati
estremamente particolari (stati coerenti) sui quali e' meglio soprassedere.
Ecco, dopo il mio sproloquio passo a esaminare le domande.
> Un fotone viene emesso tutte le volte che un elettrone
> di un atomo compie un salto energetico verso il basso.
Diciamo che "almeno un fotone" viene emesso. Esistono numerosi casi in cui e' necessaria
l'emissione di due o piu' fotoni alla volta.
E' il caso, ad esempio, della transizione
ns -> (n-1)s + 2 hv
dell'atomo di idrogeno, in cui l'emissione di un solo fotone
ns -/-> (n-1)s + hv' (con v' = 2v)
e' proibita per la conservazione del momento angolare.
(Detto brutalmente: 2s non gira, 1s non gira, un fotone gira "uno", quindi se parto da 2s non posso arrivare
a una cosa che, complessivamente, gira. Se invece emetto due fotoni, questi possono girare in senso opposto
e annullare il mom. angolare totale). E' vero pero' che l'emissione multifotonica e', a meno di regole di selezione
come quella che ho citato, un evento estremamente improbabile rispetto all'emissione di un singolo fotone.
> Bene,
> � lecito supporre che detto salto avvenga in un certo tempo "dt=t1-t0"
> e chiedersi quanto vale "dt"?
Nei casi piu' normali si', e' lecito (in un qualche senso). Esistono tuttavia casi
"patologici" (o chiamali come vuoi) in cui l'atomo non si contenta di decadere, ma
oscilla fra uno stato di decaduto ed eccitato.
Per farmi capire meglio e' opportuno che finalmente introduca anche l'atomo nel
bussolotto ma prima un rapidissimo riepilogo:
1) campo elettromagnetico senza atomi in cavita' => modi stazionari, che non interagiscono fra loro.
2) atomo "elettrostatico" => stati stazionari, piu' o meno eccitati, che non interagiscono fra loro.
Il fatto che un atomo decada e' dovuto all'interazione dell'atomo stesso con il campo. Vediamo a
grandi linee come. Mettiamo il nostro atomo nella cavita'. Ebbene, per astruse ragioni fisiche
(le cariche dell'atomo sono sorgenti di campo, ad esempio) atomo e campo si danno fastidio a vicenda:
quelli che erano stati stazionari per l'atomo non sono piu' stazionari e lo stesso vale per gli stati del campo.
Per fortuna nostra, tuttavia, esistono dei nuovi stati stazionari (che nei conti ci semplificano la vita) che
sono un melange di stati atomici piu' o meno eccitati e stati di campo piu' o meno eccitati.
Per semplificare poniamo che l'atomo abbia solo due stati, il fondamentale e un eccitato, e il campo
solo un modo (dove possono entrare n fotoni) con una frequenza molto prossima alla frequenza
necessaria per far transire l'atomo:
atomo : [1>, [2> differenza di energia: E2 - E1 = hv
modo : { |n>} con n intero, energia di un quanto: hv', con v'~ v
Uno stato generico sara' una combinazione di stati atomo-campo del tipo
[1>*|n> (atomo nel fondamentale, n fotoni) oppure
[2>*|n> (atomo nell'eccitato, n fotoni), quindi
{stato generico> = somme_su_n( c1(n)*[1>*|n> + c2(n)*[2>*|n> )
dove c1 e c2 sono successioni di numeri complessi
Gli stati ibridi stazionari sono particolarissime combinazioni, ed esistono metodi standard per trovarli:
E = E1: {1> = [1>*|0> (cioe': atomo nello stato fondamentale e campo nello stato fondamentale)
E ~ E1 + hv {2a> = C2a1 * [1>*|1> + C2a2*[2>*|0>
{2b> = C2b1* [1>*|1> + C2b2*[2>*|0>
eccetra
Questo caso semplicissimo e' proprio uno di quelli dove se parti da un atomo eccitato e zero fotoni ottieni
dapprima un atomo diseccitato e un fotone, che poi viene richiappato dall'atomo che si rieccita, e cosi' via
(oscillazioni di Rabi).
Idealmente questa situazione sarebbe realizzabile se la scatola con l'atomo avesse delle dimensioni veramente microscopiche, in modo che una sola frequenza del campo entrasse in risonanza con la transizione
dell'atomo.
Purtroppo il caso tipico e' ben diverso in una scatola macroscopica (come puo' essere uno spettrofotometro o,
anche meglio, lo spazio intergalattico). In un intervallo di frequenze v' sufficientemente vicine alla
transizione atomica (in risonanza) cadono una miriade di modi diversi, sia per il fatto che questi modi
sono molto fitti in energia, sia per il fatto che esistono svariati modi che differiscono per la direzione di
propagazione (sono onde) ma non per la frequenza. In questo caso, se inizialmente avevamo un atomo
eccitato e neanche un fotone (uno stato non stazionario), con il passare del tempo ci ritroviamo (scusate
l'espressione) un pezzo dello stato che e' ancora nello stato iniziale, e un altro pezzo disperso fra una
pletora inesauribile di stati dove l'atomo e' nello stato fondamentale ed e' eccitato:
-in uno il modo v', -in uno il modo v'', -in uno il v''' ecc.
Da un punto di vista dell'evoluzione dello stato, l'atomo inizia a sputare pezzi di fotoni di tutti i tipi (in un range di
frequenze molto ristretto pero') in tutte le direzioni. (Chiaramente, quando effettuiamo una
misura per vedere dove e' andato a cascare il benedetto fotone emesso troveremo sempre e solo un fotone, mai
un pezzo di fotone, in una qualche direzione particolare con una probabilita' che sara' calcolabile, e parlare di
"pezzi di fotoni" e' solo una pratica pittoresca che aiuta a ricordare come calcolare questa probabilita')
Questa grande dispersione fa' si' che da un punto di vista probabilistico, il decadimento dell'atomo sia di tipo
esponenziale, con un tempo caratteristico tau. Questo significa che dopo un tempo tau un atomo inizialmente
eccitato avra' una probabilita' di esserlo ancora, ridotta di un fattore 2.72 circa.
Non esiste percio' un tempo definito dopo il quale, *pof*, l'atomo decade di sicuro.
Tuttavia, essendo il decadimento esponenziale particolarmente veloce, diciamo che dopo qualche tau l'atomo
ha una probabilita' veramente esigua di non aver emesso.
(Per inciso esistono anche decadimenti di tipo non oscillatorio e non esponenziale ma sono complicazioni inutili,
la sostanza cambia poco rispetto al caso espoenziale)
> Per tutto il tempo "dt", assumendo come ascisse "t0" e "t1",
> il campo E-M del fotone avr� una certa
> distribuzione partendo da un valore che immagino sar� zero
> in "t0" per raggiungere
> un massimo al tempo "tm=(t1-t0)/2" (la butto l�) e tornare a
> valere zero al tempo "t1".
Si', grossomodo accade una cosa del genere: e' possibile calcolare agevolmente lo stato evoluto
temporale e calcolare di conseguenza il campo generato dai modi eccitati.
Questa seconda cosa e' estremamente pallosa.
(Almeno, quando l'ho vista io mi ha fatto venire abbastanza sonno).
Se ti interessa potrai trovarla sul Loudon "Quantum Theory of Light" (o un nome analogo),
un libro per certi versi ributtante (tanto per cominciare usa il sistema internazionale invece
che quello di Gauss e, checche' ne dicano a ingegneria, il primo e' una schifezza, e' mostruoso,
mentre il secondo e' bellissimo e meraviglioso).
L'unica cosa carina e' rendersi conto come le fasi di certi coefficienti combinino le onde delocalizzate
per dare un pacchetto uscente: uno sbuffo che alla fin fine si stacca dall'atomo per andarsene per i fatti suoi.
Quel pacchetto uscente, pero', non e' UN fotone, (nel senso che ho dato prima ai fotoni) ne' piu' ne meno come un bardotto non e' ne' un asino ne' un cavallo. Di mezzo non ci castra soltanto il fatto che posso osservare un
fotone
lungo direzioni diverse (avrei potuto quantizzare il campo in coordinate sferiche) ma anche e soprattutto che posso
osservare fotoni con energie diverse. La conservazione dell'energia si fa in fretta a salvarla: poniamo di
riferirci all'energia del fondamentale in assenza di fotoni (e' estremamente ben definita) e di misurare piu' volte
l'energia del fotone emesso (in altrettanti esperimenti diversi). La dispersione dell'energia dei fotoni misurati
si ripercuotera' pressoche' invariata sul calcolo dell'energia dello stato di partenza che avra' percio' tutta una
distribuzione. Ma noi sappiamo per certo di aver creato sempre lo stato iniziale [1>*|0>. Nulla di strano.
In presenza di accoppiamento materia radiazione questo stato non ha energia definita o, cio' che e' lo stesso, non
e' stazionario.
> L' integrale tra "t0" e "t1" di detta "f" di distribuzione vale
> "h x ni" (ni = frequenza).
Beh, detto cosi' e' buttato un po' la'. (senti chi parla, dirai tu...)
Per salvare l'integrazione temporale potresti scegliere una superficie
contenente l'atomo, disposta secondo tuo gusto, e definire la tua f(t) come
l'integrale su questa superficie del prodotto scalare del vettore di poynting calcolato al
tempo t per la normale uscente. In questo modo torna quello che dici, fatto salvo
che l'energia che troveresti non sarebbe l'energia del fotone che misureresti
(non necessariamente, almeno) ma la media pesata delle energie di tutti i fotoni
che potresti misurare in una serie molto lunga di esperimenti.
Infine, la faccenda un fotone - tanti fotoni.
Volutamente mi son ristretto ad uno stato dove di fotoni poteva saltarne fuori al piu' uno.
Un'emissione di questo tipo si dice spontanea.
Capita che, in maniera del tutto generale, in presenza di altri fotoni, la probabilita' di
decadimento dell'atomo con un fotone in un particolare modo sia proporzionale al numero
di fotoni del modo piu' uno. Il "piu' uno" e', come dicevo prima, l'emissione spontanea.
Tutto il resto viene detto emissione stimolata.
Poni di avere un laser in risonanza con l'atomino eccitato che, guarda caso, si trova
nel bel mezzo del pennello luminoso. Poco ci vuole a capire che i fotoni "tipo laser" sono molti
di piu' dei fotoni "qualcos'altro" percio' con grossa probabilita' l'atomo emettera' coerentemente
con il modo del laser (per un po' almeno, dopo entra in ballo l'assorbimento ...) e il fotone emesso
se ne partira' a spasso con i suoi colleghi. Per inciso i laser realizzano qualcosa di molto simile ai
sovracitati stati coerenti, dove i campi elettromagnetici hanno fase e frequenza ben definite.
Se la mia lettera non ti ha chiarito nulla non disperare. Sara' servita
a muovere a pieta' Valter Moretti per correggere tutti i miei strafalcioni.
bye
pippopappo
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Received on Mon Sep 18 2000 - 00:00:00 CEST