Alida ha scritto:
> Studiando il fenomeno della diffrazione della luce mi sono imbattuta in un
> interrogativo: poniamo che io stia leggendo un libro e mi soffermi su una
> lettera, ad esempio la "B"; a breve distanza la noto benissimo, ma se
> allontano il libro scopro che non riesco piu' a leggerla. Ho pensato che
> questo sia un fenomeno di diffrazione, poiche' il raggio luminoso che
> proviene dalla lettera "B" deve passare per la mia pupilla (assimilabile ad
> una fenditura) prima di focalizzarsi sulla retina. Ma allora perche' a brevi
> distanze tale fenomeno non interviene, cioe' perche' da vicino riesco a
> leggere la lettera "B"? Non dovrebbe aversi diffrazione pure in questo caso?
Antonio Iovane ha risposto:
> La pupilla e' troppo grande rispetto alle lunghezze d'onda del
> visibile per poter provocare diffrazione. Il problema invece e' che,
> supposta una pupilla perfetta che riesca sempre a mettere a fuoco, man
> mano che il libro si allontana, la quantita' di informazione che
> colpisce una unita' di superficie della retina aumenta, fino al punto
> che la retina non risolve piu'.
Questo, detto cosi', non e' affatto vero. Il termine "quantita'
d'informazione" oggi si usa come il prezzemolo, ma in realta' raramente
significa qualcosa.
Mino Saccone:
> No, la diffrazione non da effetti apprezzabili. Il numero f dell'occhio
> umano (f = distanza focale/diametro della pupilla) e' circa 8. Questo
> produce una frangia di diffrazione di circa f * lambda pressapoco 8 * 0.5 =
> 4 micron.
Avresti dovuto precisare alcune cose:
a) Il diametro della pupilla e' parecchio variabile a seconda delle
condizioni d'illuminazione. Il tuo dato vale in piena luce, cioe' nelle
condizioni piu' favorevoli per la lettura: in queste condizioni
l'effetto della diffrazione e' il massimo possibile, perche' il diametro
e' minimo.
b) Quei 4 micron sono il raggio del primo anello di diffrazione di
sorgente puntiforme. Usarlo come criterio per valutare la risoluzione
richiede un po' di "granum salis".
> Questa distanza (confusione da diffrazione) e' piccola rispetto alla
> distanza media tra i corpi sensibili (coni e bastoncelli) della retina anche
> nel punto di massima sensibilita' (la fovea). Quindi anche in condizioni
> otticamente perfette il contributo della diffrazione alla confusione
> nell'occhio umano e forse anche non (umano) dovrebbe essere trascurabile.
Non direi. Al contrario, nella fovea i coni sono fitti, e in un cerchio
di raggio 4 micron ce ne stano sicuramente piu' d'uno (non dire
esattamente quanti). Quindi non e' banale che la diffrazione sia
trascurabile, o meglio lo e' di solito, ma per i motivi che dici dopo.
> Altri fenomeni come le aberrazioni ottiche (cromatica e di sfericita') piu'
> gli eventuali difetti (astigmatismo, non perfetta sfericita' della cornea),
> dispersione per scarsa trasparenza nell'umore vitreo, densita' non
> infinita dei corpi sensibili della retina contribuiscono a far si' che
> l'immagine di un punto (teoricamente matematico) luminoso venga percepito
> come una macchia. Quando la lettera B del libro, allontanandolo dall'occhio,
> forma un'immagine di dimensioni prossime a questa macchia, la forma del
> carattere diventa difficilmente distinguibile.
Questo e' giusto. Nota che molti difetti dell'occhio possono essere
corretti da lenti e quindi non avrebbero importanza. Invece la
diffusione (non dispersione) nell'umore vitreo non puo' essere
eliminata. Si tratta pero' di fattori molto variabili da persona a
persona.
Di solito si assume che il limite di risoluzione di un occhio ideale (il
cosiddetto "occhio d'aquila") sia intorno a 1', che equivale a 1/10 di
mm a 30 cm di distanza dall'occhio.
Per poter riconoscere senza fatica una lettera, occorre che sia molto
piu' grande di questo limite. Ad es. il comune corpo tipografico 10 ha
le maiuscole un po' piu' grandi di 2 mm: un occhio normale le legge bene
anche a un metro.
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Elio Fabri
Dip. di Fisica - Univ. di Pisa
Sez. Astronomia e Astrofisica
Received on Fri Jul 07 2000 - 00:00:00 CEST