On 26 Giu, 05:09, "dumbo" <_cm..._at_tin.it> wrote:
> ho letto quel che dici dopo, ma temo di non aver capito bene.
> Dici che non è il NG adatto? Su questo concordo, è un NG di
> fisica non di filosofia. Cosa suggerisci?
>
> Bye
> Corrado
Innanzitutto proporrei di rendere piu' leggibile
questa ramificazione della discussione
"Cosa c'era prima del Big Bang"
partendo da un nuovo 3d.
Quello che avevo cercato di suggerire nel mio precedente messaggio
era un esempio sulla causa finale
che di solito viene discussa dopo il "teorema della causalita' (TC)".
Evidentemente non sono stato molto chiaro, forse perche' presupponevo
diversi passaggi inespliciti che pero' sono ben descritti dal Molinaro
nel libro che hai citato.
Nonostante la stringatezza di questo manualetto di metafisica,
credo che risulti abbastanza chiara la sequenza
tra la successioni delle cause.
Provero' a ripetere rapidamente il senso del discorso.
Per prima cosa bisogna accordarsi sul senso delle parole
per evitare critiche ingenue sulla consistenza dei significati.
Come esempio iniziale consideriamo la catena degli elementi della materia.
Si dice che le sostanze sono formate da molecole, queste da atomi,
gli atomi a loro volta sono formati da un nucleo e da elettroni.
Al momento sembra che gli elettroni
siano privi di sottostrutture mentre il nucleo
si scompone in nucleoni ecc. E' evidente che un processo di scomposizione
di questo tipo potrebbe non aver mai fine oppure potrebbe accadere che
la nostra capacita' di scomporre potrebbe arrestarsi
prima di aver raggiunto l'eventuale
elemento ultimo.
Ma esiste un altro modo per affrontare questo problema,
che non si limita al dominio fisico.
Potremmo chiederci qual e' l'elemento che abbia la determinazione piu'
elementare possibile in modo che non sia pensabile logicamente
una sottodeterminazione ulteriore. La piu' semplice determinazione possibile
e' espressa dal verbo essere: qualcosa e'. Tale estrema determinazione
non esprime altro che una semplice opposizione al nulla, se qualcosa c'e'
vuol dire che si differenzia dal nulla e il nulla rappresenta l'assenza
di ogni determinazione. Da queste semplici considerazioni e' facile
far discendere un risultato davvero sorprendente,
per alcuni aspetti anche banale.
Parmenide fu il primo che se ne accorse:
"... Orbene io ti diro', e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono
le vie di ricerca che sole sono da pensare: l'una che "e'" e che non e'
possibile che non sia, e questo e' il sentiero della Persuasione
(infatti segue la verita'),
l'altra che "non e'" e che e' necessario
che non sia, e io ti dico che questo e' un sentiero del tutto inaccessibile:
infatti non potresti avere cognizione di cio' che non e'
(poiche' non e' possibile),
ne' potresti esprimerlo..."
(Parmenide, Poema sulla natura, cfr. wiki).
Il principio firmissimum, il principio di non contraddizione (pdnc),
e' l'incontrovertibile del discorso razionale dato che non e' possibile
confutarlo senza presupporlo. Non mi soffermo su questo risultato
che dovrebbe essere abbastanza condivisibile senza troppi problemi.
Gli amici della materia di solito non hanno difficolta' ad accettare
che cio' che e', in quanto e', non puo' essere che non sia e cio' che non e'
non puo' essere che sia.
Ci sono solo due alternative per l'ente: o c'e' o non c'e'.
In modo simile si ha il pdnc per il giudizio elementare:
e' impossibile che un predicato P appartenga e non appartenga ad un soggetto S.
[-(A & -A)].
Queste impossibilita' sono inaggirabili,
come non e' possibile pensare di non pensare.
Ora si presenta un problema di non facile soluzione:
se l'ente e' e non puo' non essere, come avviene il divenire?
Come accade che un essere (determinazione)
diventi un altro essere (altra determinazione)?
Dov'e' finito l'essere-prima-del-cambiamento dopo il divenire-divenuto?
Noi tutti abbiamo esperienza del cambiamento delle cose.
Sarebbe alquanto strano se qualcuno affermasse che in realta' il movimento
non esiste come noi siamo abituati a pensarlo.
Infatti, un famoso pensatore italiano
sostiene che tutto il pensiero occidentale, compreso quello scientifico,
e' folle in quanto ritiene che gli enti si nullificano
nel processo del divenire.
Non indico il nome di questo celebre italiano per evitare giudizi ingenui
attraverso il ricorso a Google che sembra ormai diventato la nuova Pizia
del mondo contemporaneo che elargisce "gratuitamente" oracoli
alle incessanti interrogazioni
invece di stimolare la propria testa sui contenuti essenziali
degli argomenti discussi.
Concedo che fino ad un certo punto e' pensabile in senso originario
l'impossibilita' del divenire come passaggio
dall'essere al nulla e dal nulla all'essere.
Infatti le esperienze del senso comune originario possono interpretarsi
in modi differenti, ma solo la coerenza interna
deve selezionare i presupposti corretti.
E con questo assunto siamo arrivati al nostro problema della causa.
La causa, infatti, e' cio' che toglie la contraddizione del divenire
e rende logicamente effettivo il cambiamento.
Prima di chiarire questo passaggio bisogna utilizzare
altri due concetti-categorie dell'ente: essere-in-potenza ed essere-in-atto.
L'essere-in-potenza rappresenta la determinazione che e' determinabile,
ovvero cio' che in potenza potrebbe divenire un essere, mentre l'essere-in-atto
rappresenta la determinazione che si realizza nel divenire. Atto e potenza sono
due modi necessari per descrivere la pensabilita' del cambiamento. Ma non sono
sufficienti senza la categoria della causa che e' l'elemento necessario per
la "transizione" tra cio' che e' possibile
a cio' che e' effettivamente attualizzato.
Se non ci fosse la causa non sarebbe pensabile il divenire, ovvero senza causa
il divenire sarebbe contraddittorio perche'
renderebbe uguali la potenza e l'atto
nel momento in cui si uniscono nel divenire,
ma cio' e' vietato dal pdnc (almeno per gli enti finiti).
E' necessario pertanto un terzo elemento che toglie la contraddizione.
(Tralascio la distinzione delle quattro cause).
Vorrei sottolineare come dalla semplice supposizione che qualcosa esista
si passa per costrizione logica al pdnc
e dalla constatazione della generazione e corruzione degli enti del mondo
si passa alla pensabilita' del divenire.
Infine, dalla pensabilita' del movimento si arriva al concetto di causa
come necessita' argomentativa se si assume che vogliamo seguire
la ragionevolezza del pensiero e non l'arbitrarieta'
dell'improvvisazione o dell'immaginazione.
A questo punto si puo' passare alla causa finale
e ragionare in termini teleologici nel campo delle azioni umane
per allinearci, finalmente, al mio messaggio precedente
e spero di aver chiarito se non tutti i passaggi almeno
il senso del discorso.
Solo con il concetto di causa e' possibile prendere decisioni
su questioni che altrimenti risulterebbero decisamente in balia del caos.
Questa conseguenza non e' che un modo per esplicitare la necessita'
della causa nel divenire. Ma l'aver stabilito che la causa e' necessaria
non ci dice nulla su quale essa sia veramente. L'errore e' sempre possibile.
Se il mondo derivi da un Big Bang o da altri fenomeni fisicamente coerenti
non e' ricavabile a priori dalle argomentazioni logiche
perche' il ricorso all'esperienza e'
ineliminabile dal punto di vista gnoseologico,
pero' che ci sia una causa questo almeno e'
dimostrabile argomentativamente dal punto di vista ontologico.
Gli amici matematici direbbero cosi':
per ogni ente finito la causa esiste ed e' unica.
Ma quale essa sia in particolare
non e' possibile dedurla da un teorema.
Ciao.
--
A
Received on Mon Jul 05 2010 - 13:52:38 CEST