Re: Morte della fisica teorica??? (Tullio Regge)

From: Giorgio Pastore <pastgio_at_univ.trieste.it>
Date: 1999/10/07

"Giovanni D." wrote:
>

>
> Praticamente, mi *sconsigliate* vivamente di scegliere fisica (o anche
> altre materie scientifiche...) ??? :((
>

Io non prenderei la posizione di Valter Moretti e Mauro Prencipe come
una ragione sufficiente per non scegliere fisica.

Non che le difficolta' sul fronte dell' occupazione non manchino. Ma a
livello di iscriversi all' universita' si sta facendo una scelta sul
tipo di formazione/competenze che si desidera acquisire (anche in
funzione degli sbocchi professionali, certamente) non si sta optando per
un lavoro o un altro.

Allora e' tutto da vedere, quando ci si iscrive al primo anno di
universita', se "da grandi" si vorra' ancora fare ricerca in fisica
teorica (ma quale poi ?) o altro.

Certo, parlando con "chi e' dentro" si sentono spesso parole di
scoraggiamento, storie di frustrazioni e racconti di difficolta'. Il
problema, secondo me e' di mettere le informazioni in prospettiva. Nella
societa' italiana di oggi c'e' sicuramente una grande abbondanza di
insoddisfazione relativa al lavoro. Ma se sento gli insegnanti, gli
impiegati, gli operai, i commercianti, i farmacisti etc. che si
lamentano, cosa dovrei concludere? che tanto vale non lavorare ? Forse
un po' eccessivo!

Le difficolta' certamente ci sono tanto e' vero che a livello di
Comunita' europea si teorizza l' abbandono dell' idea del lavoro da fare
per tutta la vita (lavorativa, of course ;-)) in favore di una
flessibilita' in grado di far cambiare attivita' anche 4/5 volte nell'
arco del periodo attivo.

Ci sono problemi particolari per la fisica (teorica in particolare)?
In parte si', visto che globalmente (su scala mondiale) si assite ad una
diminuzione negli investimenti per la ricerca "fondamentale" in fisica.

Pero' gia' circa 25 anni fa, quando cercavo di informarmi su fisica
prima di iscrivermi all' universita', la risposta piu' frequente che
ottenevo era: "chi te lo fa fare?". Devo dire che la risposta mi
lasciava molto perplesso, specie quando veniva da persone dell' ambiente accademico.

Io sono testardo e non ho dato retta al consiglio. Col passare del tempo
ho pero' capito gran parte delle ragioni che c'erano dietro. Capire
pero' non vuol dire condividere. Cosi' adesso provo a passarti il mio
punto di vista. Prendilo con le pinze in ogni caso!

Nell' ambiente dei fisici italiani (ci vivo anch'io!) c'e' la pessima
abitudine di considerare *interessante* solo il lavoro di ricerca,
possibilmente in ambito accademico e magari su questione il piu'
possibile fondamentali.

Chiaramente questa posizione, ragionevole su scala individuale, e'
follia su scala collettiva.

Un sistema di istruzione superiore (universita') non serve a preparare
specialisti, lasciando magari che i "meno bravi" si arrabbatino poi a
fare altro, magari insegnare! Sarebbe uno spreco pazzesco e immotivato
in qualunque societa' che non sia nel terzo mondo.

Se pero' si parte dal presupposto che qualsiasi cosa che non sia
universita' non sia degna di essere presa in considerazione, di sicuro
ci si scontra con tutti i problemi dell' Universita' italiana ben
descritti nel libro di Raffaele Simone "L' universita' dei tre
tradimenti".

Pero' secondo me, se l' interesse e' verso il mondo della ricerca,
conviene mettersi immediatamente in una prospettiva internazionale e non
necessariamente in ambiente accademico. In questa direzione le
prospettive non mi sembrano tragiche. Sempre purche' ci si metta da
subito nell' ottica di una certa elasticita'. Purtroppo conosco molte
persone che arriccerebbero il naso all' idea di lavorare in un ufficio
brevetti. Anche se Einstein stesso lo ha fatto. Incidentalmente, questo
e' un particolare della sua biografia abbastanza noto. Un po' meno noto
e' che anche a quell' epoca l' accesso al mondo accademico era un
processo di cooptazione lungo ed estenuante, come testimoniano alcune
lettere che la madre di Einstein scriveva in giro per cercare di aiutare
il figlio!

D'altra parte, qualsiasi lettura della storia della fisica in forma non
romanzata dovrebbe far capire che le grandi scoperte (anche quelle
fondamentali in questo secolo di relativita' e meccanica quantistica)
non nascono dal desiderio di "scoprire qualcosa di rivoluzionario" ma da
lavori in cui si cercava di dare risposta a problematiche estremamente
specifiche. E queste possono venire da qualsiasi direzione.

Cosi' il mio consiglio e' di non ipotecare troppo presto il futuro e di
ricordare che la dote piu' preziosa riconosciuta ad un fisico in ambito
industriale e' la "flessibilita'".

Ciao

Giorgio Pastore
Received on Thu Oct 07 1999 - 00:00:00 CEST

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