Sono tutte baggianate o c'� qualcosa di sensato?
SONO GRADITE OSSERVAZIONI AL RIGUARDO
Da non molto tempo viene da tutti riconosciuto ad Einstein il merito di
aver rivoluzionato in modo definitivo la fisica classica.
Nell�immaginario collettivo il genio scarmigliato viene ad assumere un
ruolo carismatico, nell�iconografia delle intuizioni. Come per gli
amanti di Topolino tale ruolo � occupato da Archimede Pitagorico, nella
letteretarura odierna non c�� modo di scansare Einstein dal podio nel
quale sta beatamente collocato. E� quindi per me oltremodo azzardato
tentare di compiere ci� che appare ai pi� quasi sacrilego, ovvero
smentire in modo inequivocabile il genio scarmigliato, ricostruendo la
sua teoria, in modo tale da rendere finalmente giustizia a chi in tempi
molto pi� remoti aveva di fatto compiuto l�impresa di ridurre a semplice
equazione il complesso della gravitazione universale e il concetto di
spazio-tempo, ovvero Pitagora.
E� a tutti noto infatti, e lo si studia addirittura alle elementari, il
teorema di Pitagora, secondo cui, in un triangolo rettangolo, la somma
dei quadrati costruiti sui cateti � uguale al quadrato costruito
sull�ipotenusa. E� altres� arcinota la formula di Einstein per la quale
l�energia � uguale al prodotto della massa per il quadrato della
velocit� della luce.
Pitagora: a2+b2=c2
Einstein: E=mc2
Einstein realizza la popria teoria partendo da quanto fino ad allora era
assodato, ovvero la teoria della gravitazione universale di Newton: due
corpi si attraggono con una forza pari al prodotto delle proprie masse,
fratto il quadrato della distanza, il tutto moltiplicato per una
costante G detta di gravitazione universale (G=6,672+-0.0041x10-1
Nm2Kg-2.
Newton: F=((M1 x M2)/d2)xG
E� sorprendente come tutte le tre formule facciano riferimento, in
qualche modo, al �quadrato� di qualcosa. Viene quasi la tentazione di
interpolare le tre formule, in una sola, quella di Pitagora, la pi�
semplice, la pi� elementare, la pi� ovvia e forse l�unica valida
universalmente. In che modo? Partiamo da Einstein. Secondo la sua teoria
la velocit� della luce � uguale al rapporto tra l�energia e la massa
ovvero c2 = E/m, in altri termini c = radq E/m, o ancora meglio, se
Pitagora ce lo consente, E = (a2+b2)m. Non abbiamo fatto altro che
sostituire al quadrato della velocit� della luce, la somma dei quadrati
costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo cosmico che ha come
ipotenusa un secondo luce. In qualche modo possiamo ipotizzare che un
raggio di luce raggiunga un punto qualsiasi dello spazio, su una sfera
avente il diametro di 300.000 Km in un tempo di 1 secondo. Infatti,
quando un fotone viene lanciato verso un punto qualsiasi dello spazio,
esso raggiunge detto punto dopo un tempo t equivalente alla distanza
stessa di quel punto dall�origine del fotone. La distanza apparente di
quello stesso punto risulterebbe, ammettiamo, di 300.000 Km, se dovesse
passare solo un secondo dal momento del lancio del fotone al momento
dell�arrivo. Ma durante questo tempo il punto origine e il punto
d�arrivo si sono spostati lungo l�asse del tempo di un secondo. Per
questo motivo l�esatta distanza tra questi due punti � uguale alla
radice quadrata della distanza-luce apparente diviso due. In altri
termini:
rad q (300.000 x 300.000)/2 = 212132,0344 Km
O meglio, la distanza reale di due punti, che distano tra loro 300.000
Km (1 secondo luce) � di 212132,0344 Km, e questo deve valere per tutti
i punti dell�universo le cui distanze fino ad oggi sono calcolate
secondo la velocit� della luce. Quali sono secondo quanto esposto i due
punti pi� lontani dell�universo? In poche parole, quale � il limite
dell�universo? Il quesito � affascinante e per ora insoluto. Ma ammesso
e non concesso che la misurazione delle distanze sulla base della
velocit� della luce possa essere corretta, e se il ragionamento fino ad
ora seguito basato sui triangoli fosse privo di follia, allora potrebbe
essere tentata una spiegazione che basi il suo fondamento sull�ipotesi
�ipotenusa� considerata come distanza apparente, e la pitagorizzazione
della stessa sulla quale basare la distanza reale. Allora, un punto
qualsiasi dell�universo disterebbe sempre e comunque, in modo reale,
meno dell�equivalente luce, ovvero della met� del suo quadrato. Perci�,
le immagini che ci giungono, secondo noi, dai margini dell�universo, in
realt� appartengono a punti pi� vicini (o almeno meno lontani) di quanto
appaia. Secondo questa ipotesi, ad un osservatore che avesse la pazienza
di attendere, giungerebbe la propria �luce� in un lasso di tempo pari a
quattro volte l�immagine pi� lontana��. Ma siccome siamo schiavi del
nostro �essere� quando ci� dovesse avvenire saremmo portati a giudicare
questa osservazione come avente origine da altri punti dell�universo,
ovvero i pi� lontani. Se facciamo riferimento, ad esempio, a
osservazioni �terrestri� avviene di fatto la stessa cosa. Se la domanda
fosse �quale � il punto pi� lontano?� la risposta sarebbe infatti �il
punto stesso che noi occupiamo, in quanto per giungervi dovremmo
compiere un �giro� intero del pianeta per raggiungerlo. Se trasliamo
questa banale osservazione a livello universale, vale lo stesso semplice
ragionamento, nel senso che il punto pi� lontano, ovvero, il �margine�
dell�universo � il punto esatto che noi occupiamo nell�universo stesso.
Per un qualsiasi punto dell�universo vige la stessa legge, vincolata
dalla clessidra insolente del tempo, che possiamo pure tentare di
rappresentare in qualche modo ma inesorabilmente ci avvinghia nella sua
morsa imperscrutabile. Sarebbe riduttivo definire il tempo stesso a
semplice parte di equazione, ma non impossibile. Ritornando alla nostra
triangolizzazione, il tempo a questo punto potrebbe essere rappresentato
come a un cateto di un immenso triangolo che ha come ipotenusa la
velocit� della luce. A queste osservazioni dobbiamo aggiungere la
complicazione derivante dai movimenti relativi dei pianeti e delle
stelle attorno alle quali gli stessi pianeti si muovono, lungo le loro
orbite. Questa peculiarit� � sorprendentemente riprodotta a tutti i
livelli, per quanto si conosce. Su scale sempre maggiori il sistema
eliocentrico pare essere in grado di spiegare i moti degli astri e delle
galassie. Tutto sommato appare abbastanza logico supporre che questa
modalit� di �movimento similcircolare� debba essere in qualche modo
riprodotta su larga scala. Infatti, per un osservatore terrestre
l�universo circostante � rappresentabile come una sfera con la terra al
centro. Cos� come accade per la terra � probabile che accada per un
osservatore situato sulla superficie della sfera con al centro la terra.
Costui avr� attorno a se un�altra sfera con al centro il proprio pianeta
e la terra situata sulla superficie della propria sfera. Queste due
sfere hanno quindi in comune una parte di universo che � compresa tra la
terra e il pianeta considerato, mentre le due parti opposte
rappresentate dal prolungamento in direzione opposta alla terra e al
pianeta, sono per entrambi inconoscibili. Infatti potremo continuare
questo gioco all�infinito e il risultato sar� sempre lo stesso, cio� che
entrambi avranno met� universo in comune e ciascuno un�altra met� di
universo sconosciuto all�altro. In che modo possiamo riuscire a
conoscere quella met� di universo che non ci � consentito di scrutare e
viceversa in che modo possiamo far conoscere la nostra met� al nostro
amico? Ci� che risulta difficile da comprendere in queste tematiche, per
il nostro modo di interpretare quanto accade, � che in qualsiasi senso
indirizziamo la nostra attenzione vi � sempre un �al di l��, un �oltre�
che si prende gioco di noi, che ostinatamente ci impedisce di porre un
limite a tutto, in ultima analisi, l�ultimo confine da tracciare, oltre
il quale percepire il nulla, lo zero assoluto, il vuoto definitivo. Ma
torniamo ai nostri semplici triangoli rettangoli e vediamo in che modo
essi possono aiutarci perlomeno ad imbrigliare il tutto entro dei
confini comprensibili e universalmente validi. Abbiamo osservato
precedentemente come le famose equazioni di Einstein e Newton possano
essere ricondotte a porzioni di teorema di Pitagora. Ma soprattutto
questo ci serve per definire meglio il concetto di spazio e di tempo
che, a mio avviso, limitano per loro natura, la perfetta interpretazione
dell�universo.
Per prima cosa analizziamo lo spazio. Per quanto ne sappiamo, tutto
esiste in un banale, anche se scarsamente interessante, spazio
tridimensionale. Per quanto ci si sforzi, all�uomo comune poco importa
delle definizioni empiriche, estremamente complesse di polidimensioni
spiegate solo da complicate equazioni, per la maggior parte comprese
solo dagli addetti ai lavori. Per me � assolutamente sufficiente lo
spazio tridimensionale, e non solo per me, ma lo era anche per Pitagora,
se trov� necessario �elevare al quadrato� i lati del triangolo
rettangolo, per trovare la magia del rapporto lati-ipotenusa. Infatti, a
livello bidimensionale esisteva soltanto la magia del rapporto
circonferenza-diametro, pari a circa 3,14, in tutti i cerchi possibili e
immaginabili, questo rapporto veniva sempre e comunque rispettato. Se
interpretassimo il nostro universo come una sorta di sfera immensa, il
rapporto tra la circonferenza dell�universo e il suo diametro sarebbe
anche in questo caso di 3,14. Tutto diventa ancora pi� intrigante se
interpretiamo l�universo in quanto sfera. Noi sappiamo che la superficie
della sfera � uguale al cubo del raggio per 3,14. Anche in questo caso
comunque non stiamo andando oltre la terza dimensione. Non � necessario
andare oltre per bene comprendere tutto ci� che vi � da comprendere.
Molti scienziati si vantano di comprendere la fisica, la matematica,
l�astronomia, utilizzando sistemi complessi, comprensibili solo a loro,
e anche per questo profondamente sbagliati. Cosa � pi� giusto di un
qualcosa di estremamente semplice e ovvio? Forse non siamo
sufficientemente umili da accettare semplici spiegazioni a fenomeni che
immaginiamo complessi, solo perch� non riusciamo a spiegarli
semplicemente. La stessa gravitazione universale ci appare ora
incomprensibilmente semplice per essere vera. Ma abbiamo avuto bisogno
di complicarci ulteriormente la vita con la meccanica quantistica,
tentando di sondare l�immensamente piccolo credendo di trovare almeno
quella frontiera. Questa frontiera semplicemente non esiste. Nel senso
che, nell�immensamente piccolo sta celato il segreto dell�immensamente
grande. Immaginiamo uno zoom che si sposta progressivamente in direzione
microscopica. Troveremo alla fine sempre altre porzioni di entit�
atomiche e subatomiche che a loro volta avranno al loro interno entit�
sempre pi� piccole. Se ripetiamo la zoomata indirizzando l�attenzione
verso l�immensamente grande ( o lontano) si avr� lo stesso risultato.
Ci� che invece non cambier� mai saranno i piccolissimi triangoli
rettangoli e gli equivalenti enormemente grandi sui quali lati potremo
sempre e comunque costruire intriganti quadrati, la somma dei quali sar�
sempre uguale al diabolico quadrato costruito sull�ipotenusa. E non
cambier� neppure il semplicissimo rapporto tra i piccolissi cerchi e gli
ancor pi� piccoli diametri, sempre uguali a 3,14. Facciamo qualche
piccolo esempio. Un triangolo rettangolo, con l�ipotenusa lunga, diciamo
1, e i cui lati sono uguali, come abbiamo visto precedentemente,
nell�esempio del raggio di luce, avr� gli stessi lati lunghi: radq
(1x1)/2, ovvero radq 0,5 e quindi 0,707106781186548. Se il teorema di
Pitagora sui triangoli rettangoli avesse influenzato Einstein nel
formulare la sua teoria allora dovremmo poter trovare qualche legame tra
loro. In effetti E=mc2 pu�, se Albert me lo consente, essere riscritto
nel seguente modo, ovvero: E/m=c2. Il rapporto tra energia (E) e massa
(m) di un qualsiasi corpo dovrebbe essere uguale al quadrato della
velocit� della luce (?). Quindi nei triangoli rettangoli il rapporto E/m
dovrebbe essere uguale alla somma dei quadrati costruiti sui lati di un
triangolo avente come ipotenusa la velocit� della luce (300.000 Km/sec).
Facendo un rapido calcolo e ipotizzando il nostro triangolo avente
cateti uguali, il rapporto E/m dovrebbe essere uguale a (L1)2 + (L2)2;
ma Einstein avrebbe anche potuto accettare il ragionamento fatto in
precedenza riferendoci alle distanze reali e apparenti, perci� il valore
di c2, definibile come apparente, lo possiamo sostituire col valore
(L1)2 reale, e quindi di una certa misura inferiore. Il valore ottenuto
dovrebbe aggirarsi all�incirca a 212132,0344 inferiore al reale valore e
pari a circa 70.71% del valore calcolato nell�equazione di Einstein.
Cosa comporta ci�? E� evidente che tutte le applicazioni Einsteniane
basate sulla relativit� dovrebbero essere corrette in modo reale,
sostituendo al secondo membro (L1)2 al c2. L�implicazione della teoria
di Einstein, detta della relativit� era quella di spiegare come mai un
corpo non potesse arrivare a velocit� prossime a quelle della luce a
causa dell�enorme energia necessaria. Ma gi� da questa riflessione
l�energia viene comunque ridimensionata di un buon 30% (che non � poi
cos� poco!). E quindi l�energia necessaria per lanciare un fotone di
luce verso un punto distante un secondo luce � pari alla massa del
fotone stesso moltiplicata per il 70% della sua velocit�. E� per questo
motivo che il quanto di luce non implode in se stesso. Questa differenza
tra l�ipotesi einsteniana e quella reale di circa il 30% fa indirizzare
il fotone in modo costante nel tempo e nello spazio. Se non esistesse
questa differenza, ovvero se l�ipotenusa coincidesse con i cateti, il
quanto di luce non si potrebbe liberare in quanto non esisterebbero i
presupposti per la pitagorizzazione della luce, o del quanto di luce. Se
il quanto di luce non dovesse incontrare ostacoli lungo il suo cammino,
e quindi continuare indefinitamente la sua corsa, avremo un modello
sperimentale di infinito, in quanto avremo un triangolo con ipotenusa
sempre pi� grande, ma reali distanze grandi sempre il 70% rispetto
all�ipotenusa. Quand�anche dovesse giungere da qualche parte, questa
qualche parte di fatto non esisterebbe, in quanto la realt� dovrebbe
stare un 30% pi� indietro rispetto al punto ipotetico raggiunto dal
nostro simpatico raggio. In questo modo il concetto stesso di infinito �
spiegato in quanto, in realt� il punto da noi identificato come infinito
deve essere ricondotto a �misure� del 30% inferiori. L�infinito
ipotizzato dovrebbe quindi essere ricalcolato nel seguente modo:
? = (? / 100)x 70 che rappresenta quindi una dimensione finita, in
quanto teoricamente inferiore ad una infinita. Ci possono essere
applicazioni pratiche a quanto esposto? Certamente si. Sicuramente molto
pi� rivoluzionarie di quanto apparentemente non sembri, nel senso che
tutta la matematica dovrebbe rivedere i propri postulati che teorizzano
l�infinito. E quindi anche l�astronomia in qualche modo dovrebbe essere
rivisitata in questo senso. Indipendentemente dalla velocit� alla quale
un qualsiasi corpo si muova nello spazio, attraverso questa intuizione,
possiamo percepire una sottile e inquietante complicazione. Immaginiamo
un raggio di luce che si muove in linea retta alla velocit� appunto
della luce e giunge in un punto qualsiasi nel momento t. L�unica verit�
affermabile � che in quel dato istante, in quel dato punto, quel
determinato quanto di luce ha stimolato quel determinato punto che
quindi percepisce l�arrivo dello stesso quanto. Il discorso si complica
se questo quanto di luce ha attraversato un certo spazio per giungere
fino all�arrivo, ad esempio provenendo da una stella abbastanza distante
dal punto d�arrivo. Per l�osservatore situato nel punto d�arrivo la
stella dalla quale origina il fotone occupa un punto dello spazio,
identificabile certamente in un determinato punto della sfera, o meglio
dell�emisfera relativa allo spazio che in quel momento sta osservando.
Nello stesso identico istante, la stella dalla quale ha originato il
quanto di luce si trova in realt� non nel punto dove appare
all�osservatore, ma spostata, lungo l�asse del tempo, di una frazione t1
pari alla radice quadrata della distanza-luce apparente, diviso due
(vedi a tal proposito la Pitagorizzazione del tempo). Nello stesso modo
l�osservatore, di fatto non sta osservando la realt�, ma sta osservando
la realt� relativa a un tempo t, molto anteriore all�oggi
dell�osservatore. Che bizzarria � mai questa? Dobbiamo quindi pensare
che le miriadi di stelle che ci deliziano la vista nel cielo notturno in
realt� altro non sono che fantasmi del passato? E quindi, tutto ci� che
ci appare limitatamente alla loro immagine-luce altro non � che appunto
una immagine di una realt� anteriore, quindi la nostra visione odierna
non rappresenta la realt� di quanto stiamo osservando. Di conseguenza, a
prescindere dalla reciproca distanza, qualsiasi punto dell�universo
esiste in s� nello stesso istante, ma viene percepito dal resto
dell�universo in modo falsato dalla distanza e quindi dal tempo. Questa
differenza � sostanziale per qualsiasi distanza, anche la pi�
infinitesimale. Vien da se che il discorso dovrebbe essere invertito se
la velocit� alla quale un corpo si dovesse spostare, fosse superiore a
quella della luce. In questo caso si dovrebbe avere l�inversione del
senso del tempo, per sua stessa definizione. Ad esempio, se un oggetto
dovesse essere distante da un altro, ad esempio 1 sec/luce, per la
pitagorizzazione, in realt� questa distanza dovrebbe essere del 70%
inferiore. Per �invertire� il senso del tempo, ovvero al fine di poter
inviare qualcosa che possa giungere nello stesso istante, rispetto al
nostro modo di percepire il tempo, proviamo a calcolare a quanto
dovrebbe viaggiare. Ma ancora prima di calcolare la velocit� rivediamo
il famoso giochetto einsteniano relativo ai gemelli (ricordate?). Se
facciamo partire un gemello dalla terra, con una astronave che viaggia
alla velocit� della luce, per un giretto che dura un anno, Einstein
sosteneva che al suo ritorno questi non sarebbe invecchiato nello stesso
modo del gemello rimasto sulla terra. Fino ad oggi questo poteva essere
anche vero, ma vediamo cosa accadrebbe se fosse vera, come � vera la
treoria della pitagorizzazione del tempo e della luce. La nostra
bizzarra astronave viaggia nello spazio verso una stella distante mezzo
anno luce. Vi giunge quindi in un momento t, che, rispetto al momento di
partenza, � uguale alla lunghezza del cateto del triangolo che ha come
ipotenusa la velocit� della luce. Si porta poi a ritroso ripercorrendo
la stessa strada verso il punto di partenza e vi giunger� in un tempo t1
che sar� uguale alla lunghezza di un altro cateto che ha come ipotenusa
la velocit� della luce. Cosa � avvenuto ai due gemelli? Assolutamente la
stessa cosa, ovvero sono entrambi invecchiati dello stesso tempo, solo
che il gemello che stava sull�astronave �non ha vissuto� come
l�equivalente gemello terrestre. Il problema dovrebbe cominciare ad una
velocit� doppia a quella della luce, secondo einstein, ma secondo noi e
in funzione della pitagorizzazione del tempo, questo fatto non determina
alcunch�. Infatti man mano che l�astronave attraversa lo spazio si trova
immersa in contesti che subiscono lo stesso attraversamento del tempo, e
quindi permeano l�astronave del proprio sistema inerziale, facendole
assumere progressioni nel tempo equivalenti. Cerco di spiegare meglio
questo concetto. Abbiamo visto che un raggio di luce attraversa lo
spazio in linea retta per giungere a destinazione in modo inclinato
rispetto al tempo (Pitagorizzazione del tempo). Se uniamo i punti
destinazione e origine da una linea, questa rappresenta la velocit�
della luce, e anche l�ipotenusa di un triangolo rettangolo che ha come
cateti la distanza reale tra i due punti, e una pari lunghezza che
rappresenta il tempo che � trascorso dal momento del lancio. Il famoso
secondo luce, che quindi assume un valore del 70% circa, rispetto a
quello calcolato secondo la teoria einteniana. Questo triangolo pu�
essere fatto ruotare in modo da portare il lato rappresentante il tempo
trascorso sul punto di destinazione. In questo modo, andando a ritroso,
avremo l�equivalente, rispetto al punto di destinazione, del momento
relativo al lancio. Se scomponiamo questo triangolo in 300.000 piccoli
triangoli che rappresentano una frazione della velocit� della luce,
avremo la possibilit� di calcolare quanto tempo � passato all�interno
dell�astronave. In ogni momento infatti all�interno dell�astronave il
tempo �scorre� nello stesso identico modo dello spazio circostante e per
questa ragione, anche aumentando inusitatamente la velocit� della stessa
astronave, il risultato sar� sempre e comunque, da un lato lo scorrere
del tempo (lunghezza del cateto tempo), l�aumentare della distanza
percorsa (lunghezza del cateto distanza), e l�aumento della velocit�. In
questo semplice modo di rappresentare gli eventi abbiamo legato
indissolubilmente le tre variabili che possono far variare la cosiddetta
realt�. Di fatto vi � semplicemente una variazione delle modalit� di
percezione della stessa realt�. Questa, in quanto tale, esiste a
prescindere e quindi, essendo il tempo l�unica costante universale che
posso accettare, non � per niente influenzata dalla nostra percezione. I
nostri gemelli quindi si troveranno, rispetto al tempo, nella stessa
identica situazione, in qualsiasi momento.
A questo punto possiamo partire per la nostra destinazione, ovvero
l�unificazione delle leggi che soprintendono alla gravitazione
universale che abbia valore sia per i pianeti, per le galassie e anche
per gli atomi, le molecole, fino alle pi� infinitesime particelle di
materia, fino alle pi� infinitesime porzioni di tempo e spazio.
Cominciamo con l�immensamente piccolo. A prescindere dalla quantit� di
materia, e di spazio attorno a questa materia, un qualsiasi elemento
costitutivo della materia � in rapporto con un analogo elemento della
stessa materia nella stessa modalit� vista precedentemente. Ammettiamo
che due punti di dimensione x stiano tra loro distanti, diciamo di una
distanza y. La distanza reale, secondo la pitagorizzazione dello spazio,
calcolata in base alla velocit� della luce � sicuramente pari al tempo
intercorso tra l�emissione del quanto di luce dal punto x, fino
all�arrivo nel punto y. Non � per il momento importante valutare il moto
rispettivo, ma per il momento ammettiamo che queste due porzioni di
materia siano statiche l�una rispetto all�altra, pur muovendosi a
qualsivoglia velocit�, comunque inferiore alla velocit� della luce.
Perci�, il ragionamento fatto per due punti distanti anche anni luce,
vale per particelle estremamente piccole. Cosa tiene assieme avvinghiate
queste entit� al punto da rendere quasi indissolubile il legame? Se
Pitagora ancora non ci tradisce potremo tentare di raddrizzare la teoria
della relativit� generale secondo la triangolizzazione. A livello
subatomico noi sappiamo per esperienza che i legami che uniscono le
particelle sono potentissimi e la loro rottura causa la liberazione di
una quantit� enorme di energia, chiamata appunto atomica. Pi� piccola �
la distanza che viene interessata, pi� grande � l�energia che si libera.
Da questa quantit� di energia � possibile calcolare la massa delle
particelle interessate al legame. Se � valido il teorema di Eintein, il
quadrato della distanza, calcolato in base alla velocit� della luce
dovrebbe essere pari al rapporto tra la massa delle particelle
interessate per l�energia che le unisce. Essendo costante la velocit�
della luce pi� � piccola tale distanza, pi� dovrebbe diminuire la massa
e quindi pi� grande dovrebbe essere l�energia che si sprigiona dalla
rottura del legame. Ammettiamo quindi che una particella di massa 1 sia
legata ad un�altra particella di massa 1. Il quadrato della velocit�
della luce � uguale a circa 1.800.000.000, e per tenere costante tale
rapporto l�energia necessaria a tenere assieme due particelle di massa 1
sarebbe di circa 900.000.000 di unit� di espressione di energia. Due
particelle di massa uguale alla met� di 1 (0.5), abbisognano di valori
di energia pari al doppio, per mantenere costante il valore c2. Ma
affinch� avvenga ci� vi � la necessit� che la distanza tra le particelle
sia proporzionale, per evitare che il rapporto spazio-tempo varii e di
conseguenza facciano variare la velocit� della luce, o meglio l�unit� di
misura che vogliamo, tanto il concetto non cambia. Masse enormi
abbisognano di distanze enormi per poter interagire in modo analogo. C��
da dire che il mondo che noi osserviamo ci appare un po� diverso
rispetto a questo modello matematico, e quindi un po� pi� complicato da
interpretare. Ma se prendiamo entit� abbastanza facili da analizzare
come la terra e la luna, vedremo come questo sia relativamente semplice.
Per quale motivo la luna � tenuta a quella distanza dalla terra e non se
ne allontana mai, se non di quella piccola distanza osservata.
Semplicemente perch� solamente a quella distanza, e quindi a quel tempo,
i due corpi possono �esistere�. Se facciamo partire un raggio di luce
dalla terra alla luna, questo arriver� in un tempo t che � pari alla
radice quadrata del quadrato della distanza calcolata sulla base della
velocit� della luce, diviso due. La forza di attrazione della terra nei
confronti della luna e viceversa � uguale all�area del triangolo
costruito secondo il teorema di Pitagora. Per spiegare il verso della
forza di attrazione facciamo entrare in gioco le masse, e il teorema di
Newton che ci diceva che la forza era pari al rapporto tra il prodotto
delle masse fratto la distanza. La massa maggiore � inequivocabilmente
della terra, e questo lo possiamo rappresentare dal quadrato di uno dei
cateti, mentre la massa della luna � rappresntabile dal quadrato
dell�altro cateto. L�energia, come dice Newton � pari al rapporto tra il
prodotto delle masse (base per altezza) diviso il quadrato della
distanza (ipotenusa del triangolo). In un certo senso non � corretto
parlare di area del triangolo ma vediamo la relazione che c�� nei
triangoli tra cateti e ipotenusa. In un triangolo classico l�ipotenusa �
lunga rispetto al cateto 1.41 volte quando si tratta di due cateti
uguali. Se conosciamo la lunghezza di uno dei cateti, possiamo calcolare
inequivocabilemente la lunghezza del rimanente, essendo nota
l�ipotenusa. Perci� il rapporto sar� regolato dal teorema di Pitagora.
Se un corpo sta distante 1 secondo luce dalla terra subir� la sua
attrazione se ha massa inferiore o viceversa influenzer� la terra se ha
massa maggiore.
Ritorniamo per un attimo al sistema terra-luna. Questi due pianeti
stanno mediamente alla distanza di 384403 Km. La distanza della terra
dal sole � invece calcolata in UA ovvero Unit� Astronomica che
corrisponde a (1.49597870+-2x10-8)x1011 m). Sono note anche le masse dei
pianeti che ruotano attorno al sole e dei relativi satelliti.
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Received on Tue May 18 1999 - 00:00:00 CEST