Vorrei che quanto segue fosse considerato come stimolo dialettico,
piuttosto che come presa di posizione polemica.
Ragionando dal punto di vista termodinamico, non ha senso considerare il
propulsore PNN come "sistema isolato": bisogna includere anche il
generatore che fornisce la corrente ai generatori di campo E.M. (siano
essi dipoli o quant'altro).
Dal punto di vista termodinamico il dispositivo PNN non puo' erogare
maggiore energia (i.e. lavoro) di quella fornita al dispositivo
dall'unica sorgente (il generatore di corrente). Questo nel caso
(ideale) di rendimento pari al 100%, altrimenti il lavoro erogato dal
dispositivo PNN e' inferiore al massimo teoricamente possibile. Quindi
avremo Lout <= Lin. Per ovvie ragioni, lo stesso vale per le potenze
Wout e Win, cioe' Wout <= Win. Inoltre, quanto detto per il dispositivo
globale vale anche per i singoli scambi energetici interni
(generatore->dipolo, dipolo->campo, campo->dipolo), che servono per il
trasferimento energetico dal generatore di corrente al secondo dipolo
(quello che subisce l'azione).
Ora, ciascun ciclo di funzionamento del dispositivo PNN richiede tre
azionamenti di singoli dipoli (lavoro totale entrante 3 Lin, potenza
totale entrante 3 Win), per fornire spinta in 2 fasi (azione sul secondo
dipolo e reazione sul primo dipolo, lavoro totale uscente 2 Lout,
potenza totale erogata 2 Wout). Assumendo che il trasferimento di lavoro
dal primo al secondo dipolo abbia efficienza termodinamica pari al 100%,
avremo Lout = Lin, e Wout = Win.
Il rendimento del propulsore, nel caso ideale, non potra' quindi
superare il valore Rmax = 2/3.
Nel caso reale, i singoli scambi energetici non sono ideali. La
generazione del campo E.M. richiede che il generatore di corrente
fornisca al dipolo una potenza attiva Win pari a 1/2 R I^2 (valore
efficace), per immagazzinare nel campo E.M. un'energia pari a E=1/2 L
I^2 (valore efficace). Ora, per ciascun secondo di funzionamento il
trasferisce al dispositivo un'energia pari (numericamente) a:
EG=C1 1/2 R I^2, ove C1=1 s. Sempre in un secondo, Il campo E.M.
immagazzina un'energia pari (numericamente) a:
EC=1/2 L I^2. L'efficienza del trasferimento energetico
generatore->campo E.M. e' quindi:
EC/EG = L/(C1 R).
Assumendo che tutta l'energia immagazzinata nel campo venga trasformata
in lavoro sulle cariche nel secondo dipolo, avremo che il rendimento
massimo sara':
R1 = L/(C1 R). Nei casi reali (il campo magnetico non genera energia dal
nulla), L/R e' numericamente minore di 1.
In realta', non tutta l'energia immagazzinata nel campo viene
trasformata in lavoro sulle cariche nel secondo dipolo. L'energia e'
contenuta nel campo che si propaga, distribuita nel volume racchiuso
dalla frontiera del campo, per cui ha senso definire una densita' di
energia e(x, y, z, t) nello spazio attorno al primo dipolo, con
opportune condizioni al contorno. Il secondo dipolo non puo' estrarre
dal campo piu' energia di quanta non attraversi il suo "volume di
scambio" per tutta la durata di ciascuna fase utile, per cui il
rendimento complessivo si abbassa ulteriormente. In questo scambio
energetico finalmente appaiono i termini che legano il rendimendo alla
frequenza operativa ed alla geometria del sistema. Si noti inoltre che
l'energia estratta dal campo decresce con il tempo (a meno che il volume
del campo non resti costante...).
Ritengo che sia quest'ultima energia quella da considerare per
determinare quale sia la spinta utile del propulsore, non quella fornita
inizialmente dal generatore di corrente.
La domanda a questo punto e': nota questa energia, quanto vale la forza
prodotta dal dispositivo in ciascuna fase utile? E' come se il secondo
dipolo sperimentasse un campo E.M. "effettivo" (quindi un vettore B) la
cui energia corrisponde (istante per istante) a quella estratta dal
campo del primo dipolo...
Attendo commenti.
Armando Iammarino.
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Received on Tue Oct 06 1998 - 00:00:00 CEST