Massimo 456b ha scritto:
> quando guardo qualcosa credo che arrivino fotoni singoli al mio
> nervo ottico e che questi poi formino una immagine di qualcosa
> che e' stata illuminata: in parte li ha assorbiti in parte
> riflessi.
> Ma come fa in un singolo fotone ad esserci l'informazione che in
> gruppo formera' l'immagine complessiva?
> Cioe' in cosa consiste questa informazione? Lunghezza d'onda?
Viste anche le risposte che hai avuto, mi sa che dovrò mettere un po'
ordine...
Si dà anche il caso che in questi giorni io sia impegnato a scrivere
un articolo su "come si vede il colore".
Non è proprio la stessa cosa, ma ci va molto vicino.
Non posso per ora mettere a disposizione l'articolo, e del resto credo
che non sarebbe la risposta giusta. Perciò debbo scrivere qualcosa ad
hoc. E debbo cercare di essere comprensibile senza farla troppo lunga.
Mica facile...
Cominciamo col distinguere due diverse condizioni di visione: con luce
suff. intensa (visione "fotopica", ovvero diurna) e con luce debole
(visione "scotopica" ovvero notturna).
Nell'occhio esistono due diversi tipi di sensori per i due regimi: i
coni per luce forte e i bastoncelli per luce debole. La zona di
transizione è grosso modo al crepuscolo.
Con luce debole (es. chiaro di luna) i coni sono fuori servizio perché
sotto soglia, e funzionano i bastoncelli. Questi sono di un solo tipo
e quindi non riconoscono i colori.
Qui entra in ballo un primo principio, che vale anche per i coni: non
ha alcuna importanza quali fotoni arrivano all'occhio: se le loro l.
d'onda stanno nella zona cui i bastoncelli sono sensibili, questi
manderanno, con un processo complesso che non sto a descrivere (anche
perché lo conosco solo in modo sommario) segnali al cervello attraverso
le fibre del nervo ottico.
Questi segnali non portano alcuna informazione circa la l. d'onda
della luce, ma solo sull'intensità: luce più intensa significa segnali
più frequenti.
Quindi la visione notturna è senza colori, in bianco e nero.
Esiste però l'informazione spaziale, semplicemente perchè i
bastoncelli sono distribuiti su tutta la superficie della retina (fovea
esclusa, v. dopo) e lo stesso vale per le fibre del nervo ottico.
Non bisogna però credere che ci sia una corrisp. biunivoca: ogni
bastoncello una fibra e viceversa. Le fibre sono molte meno dei
recettori, e di conseguenza la visione notturna (e periferica) è a
bassa risoluzione.
Non c'è nessun mistero nella formazione di un'immagine: il cervello
associa delle cellule della corteccia visiva alle varie regioni della
retina, quindi può ricostruire la forma di un'oggetto, riconoscerlo se
l'oggetto è noto, e fare una quantità di operazioni in cui l'occhio non
ha alcuna parte. Questo ha solo fornito una distribuzione spaziale
d'intensità.
Per la visione notturna mi fermo qui.
La visione diurna è più complicata perché è *colorata*.
Lo è perché esistono *tre* tipi di coni, indicati con L, M, S
(iniziali di "long", "medium", "short"). Questi aggettivi si
riferiscono alle varie l. d'onda cui i coni sono più sensibili: gli L
più verso le grandi l. d'onda (superficialmente indicate come rosso),
gli M verso l. d'onda medie (diciamo verde) e gli S le più corte (alla
buona, il blu).
Ma sarebbe del tutto sbagliato credere che ci sia una precisa corrisp.
tra tipo di cono e una determinata l. d'onda o banda di l. d'onda: le
curve di sensibilità si sovrappongono largamente, e per di più quelle
di L e di M differiscono poco.
A titolo d'informazione, trovate in
http://www.sagredo.eu/temp/fig2.png
le curve di sensibilità dei tre tipi di coni. In ascissa le l. d'onda
in nm, in ordinata le sensibilità in unità arbitrarie, con
l'avvertenza che le ordinate della curva L sono moltiplicate per 10
per renderla visibile.
Anche la distribuzione sulla retina varia per i tre tipi di coni.
C'è una regione centrale, la "fovea", di pochi mm di diametro, in cui
tutti i tipi sono presenti e con la massima densità.
Quindi in quella regione la vista raggiunge la massima acuità.
Allontanandosi dalla fovea i coni si diradano, e coni S sono
addirittura assenti.
Ma allora come va che a noi sembra di vedere bne in tutte le
direzioni?
Semplicemente perché gli occhi non stanno mai fermi: anche quando non
ci facciamo caso, esplorano tutto lo spazio. Questa enorme quantità
d'informazioni arriva al cervello diluita nel tempo, ma noi crediamo
di vedere tutto insieme.
Quanto al colore, a ciascun cono arriva in generale un flusso di
fotoni di tutte le diverse l.d'onda. La risposta di quel cono *non
dipende da questo*, ma solo dal numero totale che vengono assorbiti in
ogni piccolo intervallo di tempo.
È questa risposta che varia da un cono L a un M a un S.
Facendola facile, il cervello *sa* che una certa fibra nervosa porta la
risposta di un singolo cono (non è affatto così: già nella retina c'è
una "preelaborazione", che credo sia nota solo parzialmente).
La percezione del colore dipende dal raffronto tra le diverse risposte
che i tre coni danno a una stessa distribuzione spettrale della luce
incidente.
Potrei scrivere una formula, ma dovrei poi scrivere qualche pagina per
spiegarla e non so quanti capirebbero, quindi ci rinuncio.
Solo una cosa non posso evitare: dato che i coni sono tre e quindi al
cervello arrivano solo (per così dire) tre numeri per ciascuna piccola
regione della retina, mentre le distribuzioni spettrali possibili (i
numeri di fotoni delle diverse l. d'onda) sono molti molti di più, ne
risulta che diverse distribuzioni spettrali vengono interpretate come
colori uguali (metamerismo).
Riassumendo, gli occhi inviano al cervello
a) informazioni spaziali, perché a direzioni diverse nello spazio
corispondono fibre nervose distinte
b) informazioni cromatiche (e d'intensità) perché da ciascuna
direzione arrivano i tre dati che sono le risposte di ciascun tipo di
cono.
Il resto del lavoro lo fa il cervello, e non c'è da meervigliarsi se
la regione adibita alla visione (il lobo occipitale dela corteccia,
più singole porzioni subcorticali) sia la più estesa.
Mi restano solo alcune brevi note di commento ad altri post.
Non so che cosa dica Feynman, ma a naso direi che c'entra poco con la
domanda.
Non ci sono "tre frequenze": un dato cono può assorbire fotoni di una
larga banda possibile e viceversa: un fotone poniamo di 500 nm può
essere assobrito da qualunque cono, anche se con probab. diverse; e
una volta assorbito produce lo stesso effetto. Però nei tre casi
possibili l'informazione trasmessa al cervello cambia: "un cono L ha
assorbito un fotone", oppure "un cono M ecc.", "un cono S ecc.".
I due occhi non si comportano affatto come due fenditure.
Del resto perché l'esper. di Young con due fenditure riesca (si vedano
le frange) occorre che la luce che arriva sulle fenditure sia
*coerente*, e questo rihiede, per una data sorgente, una distanza non
superiore a un max.
Non posso approfondire, ma i 60 cm tra le due pupille sono una distanza
di gran lunga troppo grande.
La rodopsina è la molecola fotosensibile dei bastoncelli. Quelle dei
coni hanno altri nomi (genericamente opsine) che no conosco.
Interessante l'articolo che ha segnalato Giorgio, lo leggerò.
Però direi che la questione se un singolo fotone possa provocare una
risposta da un fotorecettore riguarda solo i bastoncelli, e comunque
non ha niente a che vedere con la formazione di un'immagine.
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Elio Fabri
Received on Wed Oct 18 2023 - 16:32:09 CEST