Re: Due domande sul determinismo di Laplace
"Elio Fabri" <elio.fabri_at_tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:bk5hc3F6lu2U1_at_mid.individual.net...
> persio ha scritto:
>> Tuttavia sorgono due problemi insormontabili che si oppongono
>> all'esistenza del diavoletto:
>>
>> 1. la sua mente dovrebbe contenere la copia esatta dell'intero
>> esistente poiché, come è evidente, non può contenere l'originale. A
>> meno che il diavoletto non sia l'Essere, tutto ciò che esiste, la
>> copia nella mente del diavoletto non sarebbe comunque identica
>> all'intero Essere, ne sarebbe una copia appunto, per definizione non
>> coincidente esattamente con quella.
>>
>> 2. se il diavoletto fa parte dell'Essere, e non si vede come potrebbe
>> godersi la lettura di un libro sulla panchina se così non fosse, esso
>> dovrebbe conoscere esattamente anche se stesso.
>>
>> Nel primo caso il diavoletto dovrebbe contemporaneamente essere e non
>> essere l'intero esistente; nel secondo caso dovrebbe conteporaneamente
>> essere contenitore e contenuto di se stesso. Poiché© il principio di
>> non contraddizione regge tutta la logica risulta, per logica, che il
>> diavoletto di Laplace non può esistere.
> La lettura di questo brano mi ha irresistibilmente rimandato a Don
> Ferrante, il quale con argomentazioni simili dimostrò che la peste non
> esiste ... e si sa come andò a finire.
>
> Solo che il personaggio di Manzoni viveva agli inizi del '600; quello
> che mi riesce incredibile è che ci sia qualcuno che pensa di
> argomentare nello stesso modo 400 anni dopo :-(
Scusatemi l'intromissione, del tutto occasionale, in questo ng. Il fatto e'
che trovo divertente questo rabbuffo all'argomentazione di "persio":
rimprovero un po' ingeneroso ma tutto sommato bonario. Nello stesso spirito
osservo quanto segue, ad uso del fisico che abbia la pazienza e la voglia di
distrarsi un attimo con un divertissement di logica, un paradosso logico cui
rimanda l'argomentazione (per quanto non ineccepibile) di "persio", con
maggiore forza analogica rispetto al don Ferrante manzoniano. Di
quest'ultimo, o meglio del suo ragionamento solo in apparenza rigorosamente
aristotelico, si puo' dire che Manzoni ha buon gioco... nel prendersi gioco,
essendo tale ragionamento fallace proprio dal punto di vista aristotelico
(piu' difficile pensare che Manzoni non conoscesse la logica di Aristotele,
piuttosto che pensare che si diverstisse a giocare sporco con essa,
incorrendo egli stesso, e consapevolmente, nella fallacia dell'uomo di
paglia). Ma lasciamo perdere Manzoni. Piuttosto: l'argomento di "persio"
richiama quasi immediatamente il seguente paradosso logico (del resto
escogitato proprio da un fisico), che riporto ampiamente in calce, nella
esposizione che ne fa Odifreddi (***). Non voglio fare torto
all'intelligenza di nessuno, dilungandomi troppo nell'evidenziare che esso
e' interpretabile proprio come confutazione forte di quella famosa
affermazione di Laplace sul determinismo assoluto: per prendersi gioco di
quel metafisico e contraddittorio diavoletto non occorre neppure che nasca
un nuovo Manzoni; basta la logica di Odifreddi, in questo contesto
rigorosamente aristotelica.
Grazie dell'eventuale attenzione e un saluto a tutti,
Loris
(***) <<Nel 1969 il filosofo Robert Nozick ha divulgato il cosiddetto
paradosso di Newcomb, che prende il nome dal fisico che l'ha scoperto.
Supponiamo di partecipare ad un gioco in cui ci sono due buste chiuse: nella
prima c'e' un milione, e nella seconda o non c'e' niente o c'e' un miliardo.
Il gioco consiste nello scegliere o entrambe le buste, o solo la seconda. La
decisione su che cosa ci debba essere nella seconda busta viene presa da un
veggente, che ci mette il miliardo se e solo se prevede che noi prenderemo
soltanto quella.
Che cosa conviene fare razionalmente? La risposta dipende dal tipo di
strategia che si decide di seguire. Il paradosso nasce dal fatto che ci sono
due strategie, entrambe perfettamente razionali all'apparenza, che
suggeriscono di tenere comportamenti opposti.
Nel primo caso si puo' seguire il principio di utilita', che suggerisce il
comportamento che produce il maggior utile. Questo e' appunto il caso della
scelta della sola seconda busta. Poiche' infatti il veggente prevede
esattamente il comportamento, se si prendono entrambe le buste si
guadagnera' un milione, mentre se si prende solo la seconda si guadagna un
miliardo.
Nel secondo caso si puo' invece seguire il principio di dominanza, che
suggerisce il comportamento consistentemente migliore. E' il caso della
scelta di entrambe le buste: se infatti il veggente non ha messo niente
nella seconda busta, prendendo solo quella non si ottiene niente, mentre
prendendole entrambe si ottiene un milione; se invece il veggente ha messo
il miliardo nella seconda busta, prendendo solo quella si ottiene un
miliardo, mentre prendendole entrambe si ottiene un milione in piu'.
I due ragionamenti si basano su assunzioni diverse. Il primo accetta l'ipotesi
che il veggente preveda il futuro, e dunque che la nostra decisione di
prendere o no entrambe le buste determini retroattivamente la sua scelta di
mettere o no il miliardo. Il secondo ragionamento si basa invece sul fatto
che il contenuto delle buste e' ormai stato fissato sulla base delle
previsioni del veggente, e quindi non puo' essere influenzato dalla nostra
decisione di prendere o no entrambe le buste.
Poiche' la contraddizione rimane comunque, per risolverla sembrano possibili
tre sole strade: o uno dei due princi'pi non e' razionale, o il gioco stesso
e' impossibile. E si possono effettivamente trovare argomenti a favore di
ciascuna delle tre possibilita':
1) Il principio di utilita' riduce l'Homo sapiens all'Homo economicus, e
sembra quindi piu' animalesco che razionale. Il mercato e', infatti, la
continuazione della lotta per la sopravvivenza con altri mezzi. E l'economia
e' una riformulazione della legge della giungla con gli stessi fini.
2) Il principio di dominanza, benche' sia uno degli assunti fondamentali
della teoria dei giochi, porta a conclusioni analogamente paradossali anche
nel dilemma del prigioniero, dalla cui analisi Newcomb ha fra l'altro
ricavato il suo paradosso. Anch'esso puo' quindi essere guardato con
sospetto.
3) Dire infine che il gioco e' impossibile, significa semplicemente negare
la preveggenza. Il che e' in accordo con una visione non deterministica (o
almeno non calcolabile) del mondo, che lasci spazio al libero arbitrio.
A scanso di equivoci, e' comunque bene notare che non e' necessaria un'assunzione
di preveggenza totale. Basta che il veggente sappia prevedere il futuro con
probabilita' di poco superiore al 50 per cento, perche' il paradosso
continui a valere. Pensare che la soluzione del paradosso stia nel fatto che
il gioco e' impossibile, significa allora sostenere che e' impossibile
prevedere il futuro non solo con certezza, ma anche con una probabilita' di
poco superiore al 50 per cento.
Per smorzare gli entusiasmi, possiamo pero' anche dire che, supponendo che
il veggente possa sbagliare previsione, nessun comportamento e' dominante
(benche' si possa anche dire il contrario, in base al ragionamento
precedente). Se infatti la previsione e' stata corretta, prendendo solo la
seconda busta si ottiene un miliardo e prendendole entrambe si ottiene un
milione. Se invece la previsione e' stata sbagliata, prendendo solo la
seconda busta non si ottiene niente e prendendole entrambe si
ottiene un milione. Nel primo caso e' dunque meglio prendere solo la seconda
busta, mentre nel secondo caso conviene prenderle entrambe.
Il paradosso di Newcomb mostra che se i principi di utilita' e dominanza
sono corretti, come pensa appunto la teoria dei giochi, la preveggenza e'
impossibile. Possiamo comunque chiederci se, in ogni caso, sarebbe
necessariamente utile od auspicabile saper prevedere il futuro. La risposta
e', sorprendentemente, negativa.
Consideriamo infatti la cosiddetta corsa del coniglio, variazione sul tema
del film Gioventu' bruciata: due auto si dirigono a tutta velocita' una
contro l'altra, e vince il guidatore che vira per ultimo (chi vira per primo
e', appunto, un «coniglio»). In questo «gioco» non si puo' applicare il
principio di dominanza: se l'altro guidatore non vira, e' infatti meglio
virare comunque; mentre se l'altro vira, e' meglio non virare. Si puo' pero'
applicare un principio piu' debole, di dominanza rispetto al rischio, che
richiede di seguire il comportamento migliore quando l'altro fa il peggio.
Poiche' il peggio che l'altro possa fare e' di non virare, e' meglio non
rischiare e virare: se non lo si fa, nel caso peggiore ci si schianta
sicuramente.
Ora supponiamo, pero', che uno dei due sia preveggente e l'altro lo sappia.
Questi puo' allora sfruttare la situazione, e decidere di non virare a
nessun costo. Poiche' l'altro lo prevede, e' costretto a virare, se non
vuole schiantarsi. In altre parole, la preveggenza puo' essere svantaggiosa.
Il che puo' essere un buon motivo per evitare, anzitutto, di affannarsi nel
passatempo preferito di politici e fattucchiere: la previsione del futuro.
Inoltre, la conclusione precedente puo' forse spiegare l'umano istinto di
comportarsi in modo da sfidare Dio stesso: il quale, sembra, la preveggenza
c'e' l'ha di natura.>> (P.G. Odifreddi, "C'era una volta il paradosso -
Storie di illusioni e verita' rovesciate", Einaudi 2001)
Received on Sat Jan 25 2014 - 17:06:53 CET
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