[Ti ho inviato una risposta senza rileggerla, vista anche l'ora, e adesso mi
accorgo che verso la fine presenta alcuni fastidiosissimi refusi
tipografici. Questa e' la stessa, ma piu' corretta]
"Elio Fabri" <elio.fabri_at_tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:bmps9hF514hU5_at_mid.individual.net...
> "Loris Dalla Rosa" ha scritto:
> > Fenomeni sono anche gli oggetti impossibili, come p.e. questo:
> > http://it.wikipedia.org/wiki/File:Penrose_triangle.svg
> > oppure il classico bastone dritto che nell'acqua appare spezzato.
>
> > "Di per se'" non sono fenomeni contraddittorii: la contraddizione
> > subentra come momento logico successivo, in un giudizio sotto cui il
> > dato di fatto e' erroneamente assunto. Nel triangolo impossibile,
> > per esempio, l'errore consiste nel considerarlo un fenomeno
> > *oggettivo*, quando e' spiegabile senza contraddizione come fenomeno
> > *psicologico*, secondo leggi della psicologia della percezione. Ma
> > e' ampiamente dimostrato che tutto questo non interessa i fisici,
> > per cui ti invito, se vuoi continuare questa discussione, a
> > riportarla nel nostro ng di filosofia. Da questo mi sono gia'
> > congedato.
> E qui secondo me sbagli.
> Non è che "tutto questo" non interessi i fisici; è che (almeno per
> quanto mi riguarda) non mi riesce di seguirti nel modo come imposti il
> problema.
> Per es. nel mettere insieme due esempi che tra loro hanno la stessa
> relazione che i cavoli e la merenda :-) Il "triangolo impossibile" *non è*
> (a mio giudizio) un fenomeno: è
> solo un disegno, e naturalmente quando si tracciano dei segni (a
> matita, a penna, col computer) su un foglio di carta si può produrre
> qualsiasi cosa, che non può essere chiamata un "oggetto", se non nel
> senso banale che si tratta appunto di un foglio di carta variamente
> sporcato.
Va bene, rispondo a questo tuo post che qui mi fornisce due spunti, che mi
permettono di (cercare di) illustrare il modo di rapportarsi criticamente
del filosofo (ammesso e non concesso che cosi' possa auto-definirmi) a
questioni che possono interessare anche il fisico. Vediamo se questa
occasione produce un chiarimento, o se e' un'ulteriore prova di una
difficolta' di comunicazione.
Il primo spunto me lo fornisci con la tua affermazione: << Il "triangolo
impossibile" *non è* (a mio giudizio) un fenomeno>>. Ok, mi sembra di capire
che tu per "fenomeno" intenda, specificamente, "fenomeno fisico". In questo
senso hai perfettamente ragione. Pero' non so sei d'accordo che la chiarezza
di un discorso inizia dalla chiarezza delle definizioni dei termini che si
usano. Ecco, sollevo una questione di definizioni: non esiste una chiara
definizione di "fenomeno" specificamente "fisico", se non esiste una chiara
definizione di "fenomeno" in generale, di cui "fisico", "chimico" ecc. sono
appunto specificazioni. Per "fenomeno" si intende tutto ciò che è
suscettibile di percezione sensoriale; cosi' si intende nel lessico
filosofico, per etimologia e per lunga tradizione. Nel lessico generalmente
scientifico (intendendo la scienza empirica) "fenomeno" e' cio' che accade
ed e' suscettibile di studio secondo i metodi oggettivi propri di ciascuna
branca della scienza. Vengo allora all'esempio del "triangolo impossibile".
Beh, questo non puo' certo dirsi "solo un disegno":
http://it.wikipedia.org/wiki/File:ImpossibleTriangleEastPerth_edit_gobeirne.jpg
Naturalmente c'e' una spiegazione e qui si trova, nelle ultime tre immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/Triangolo_di_Penrose
Tuttavia il fatto che, se anche conosciamo benissimo la fonte dell'inganno,
guardandolo da una precisa prospettiva non possiamo sottrarci ad esso, cio'
costituisce un fenomeno secondo quella prima e piu' generale definizione di
"fenomeno". Certo studiarlo non e' compito della fisica, ma della psicologia
della percezione, secondo i metodi che le sono propri.
> Il problema sta nella possibilità o meno che quel disegno /rappresenti/
> (secondo convenzioni stabilite da secoli nel nostro mondo) qualcosa di
> "reale" nel mondo fisico.
Qui tu usi correttamente "reale", riferendoti al mondo fisico. Ma possiamo
definire "illusorie" le leggi della psicologia della percezione (e con esse,
per esempio, tutto il lavoro di Wertheimer o di Koehler sulla
Gestalttheorie)? Pero' scusami, sto mettendo troppa carne al fuoco
sollevando la questione di che cosa possa definirsi "reale".
> Non può, e non c'è niente di paradossale o contraddittorio: è solo un
> *disegno sbagliato*. O se vogliamo, la contraddizione sta qui: che
> parti diverse del disegno impiegano regole tra loro incompatibili (per
> questo il disegno è sbagliato).
> E naturalmente è intrigante, perché se se ne guarda solo una parte
> non ha niente di sbagliato, e quindi crea imbarazzo nello sforzo
> d'interpretarlo nel suo insieme.
> Ovviamente conosci i molti disegni di Escher costruiti allo stesso
> scopo: per es. il famosissimo "Relatività" (che per inciso con la
> relatività di Einstein ha in comune soltanto il nome), oppure "Salita
> e discesa", "Cascata".
> Tra l'altro non tirerei neppure in ballo presunte "leggi della
> psicologia della percezione": si tratta infatti di leggi /culturali/,
> nel senso che conseguono dalla nostra educazione a determinate
> convenzioni rappresentative, che non sono sempre esistite né esistono
> per tutti gli esseri umani. Sono un prodotto storico di una ben
> precisa civiltà.
Qui faccio solo un'annotazione: che le leggi della psicologia della
percezione siano solo leggi "culturali", nel senso che hai spiegato, e'
un'affermazione molto problematica. Proprio i lavori di Wetheimer smontano
(secondo me in modo convincente) questa tesi. Inoltre, la tua affermazione,
presa molto piu' in generale, sembra implicare (ma potrei sbagliare
attribuendoti questa intenzione) un certo relativismo culturale, che i
lavori del linguista Chomsky hanno in buona parte spazzato via. Ma anche qui
sto allargando troppo il discorso. Vengo subito al secondo spunto critico.
> Il "bastone spezzato" è tutt'altra cosa: è un fenomeno fisico *reale*,
> prodotto com'è noto dalla rifrazione, e l'errore percettivo sta solo
> nell'accettazione troppo "ingenua" di ciò che il sistema visivo
> propone.
> Dove sarebbe la contraddizione? Io non la vedo in nessun momento.
> Di inganni percettivi (non illusioni ottiche, che sono un'altra cosa)
> è pieno il mondo, e non mi sembra ci sia da farci tanta filosofia.
> Appena un pochino, se vogliamo chiamarla filosofia: il semplice
> ammonimento che non si può prendere troppo banalmente per buono tutto
> ciò che i sensi e la successiva elaborazione cerebrale ci propongono.
Certo, in questo che e' un esempio dalla lunga tradizione, risalente ai
filosofi stoici, la contraddizione e' tolta dalle leggi *fisiche* della
rifrazione della luce. Esso e' comunque un "fenomeno" nel senso della sua
definizione piu' astratta. Ma dov'e' la contraddizione? In effetti non e'
facile vederla, eppure puo' interessare anche il fisico, perche' anche qui
e' coinvolta una definizione, o meglio un concetto, che forse il fisico
assume inconsapevolmente come a-problematico: quello di "corpo rigido". Per
spiegarmi devo fare appello alle tue capacita "fenomenologiche", diciamo
cosi'; ti chiedo, cioe', di considerare il fenomeno nella *purezza* del suo
apparire, prescindendo quindi dal fenomeno in quanto specificamente
fisico. Che si tratti di un inganno dei sensi, infatti, ne erano convinti
anche gli antichi che non conoscevano le leggi della rifrazione della luce,
o anche un
bambino che non le abbia ancora studiate a scuola. Perche', allora, siamo
portati a pensare che un bastone semiimmerso nell'acqua, che e' dritto al
tatto e storto alla vista (qui e' la contraddizione), *in realta'* e' dritto
ed e' un'illusione che sia storto, e non viceversa? Perche' mai il senso del
tatto dovrebbe rivelare meglio le qualita' reali del bastone, di quanto non
lo faccia il senso della vista? La contraddizione si risolverebbe se
seguissimo il principio operazionistico di Bridgman:
http://it.wikipedia.org/wiki/Percy_Williams_Bridgman
Il principio, cioe', secondo il quale "operazioni differenti definiscono
concetti differenti". Nel caso in questione, diverse operazioni (percettive:
del guardare e del toccare) ci porterebbero a constatare che non tutte le
cose "tattilmente dritte" sono anche "visibilmente dritte", in tutte le
condizioni: il problema della realta' non sorgerebbe e la contraddizione
sarebbe tolta.
Con cio', pero', rendendo estremamente problematico il concetto di "corpo
rigido".
Forse l'esempio ti sembrera' tanto paradossale da sembrarti assurdo; allora
ti faccio un esempio piu' appropriato per i fisici: la relativita' della
lunghezza. Per i fisici classici se un vagone ferroviario ha una certa
lunghezza da fermo, ha la medesima lunghezza quando e' in moto. Cosi' pensa
anche il senso comune: la lunghezza del vagone e' una sua proprieta'
intrinseca ad esso, che "realmente" non cambia cambiando il metodo di
misura.
Misuriamo la lunghezza del vagone fermo, tenendo presente il principio
operazionista di Bridgman: la misura consistera' in un'applicazione del
metro campione x volte, da un capo all'altro del vagone. Non e' predicibile
a priori, se ci atteniamo all'operazionismo, che x sia la misura del vagone
anche quando e' in moto, perche' tale misura della lunghezza comporta un
nuovo tipo di misurazione: diversi osservatori a terra dovrebbero segnare al
suolo i punti su cui passano la fronte e il retro del vagone e solo allora
la
distanza, purche' segnata *simultaneamente* dagli osservatori, si potrebbe
misurare nel solito
modo. Cio' comporta, per l'operatore che misura, una determinazione di
simultaneita'. Cosi' la lunghezza, definita operazionalmente, sta per
proprieta' differenti, chiamate, se non sbaglio, "lunghezza statica" e
"lunghezza cinetica". Che l'una sia uguale all'altra non e' piu' certo a
priori di quanto lo sia che i bastoni tattilmente diritti lo siano sempre
anche visivamente. E infatti la teoria ristretta della relativita' nega
questa eguaglianza. Che fine ha fatto il concetto di "corpo rigido"?
Sperando di essermi espresso in modo comprensibile, un saluto,
Loris
Received on Sun Feb 23 2014 - 09:41:44 CET