Re: potenza in corrente alternata - richiesta chiarimenti
On 4/20/2014 20:54, Omega wrote:
> Allora mi pare che non si sia ancora capito un aspetto fondamentale.
> Qualunque ramo di una rete noi consideriamo (ossia fra due nodi), tale
> ramo vede una differenza di potenziale fra i due nodi (sinusoidale nella
> fattispecie), e rispetto a quella determina la propria corrente.
OK e la corrente e` sinusoidale anche lei. Solo che non si calcola come
v(t)/Z e neppure v(t)/Z* e` una cazzata! Se si usa la Z si deve usare un
fasore. Le impedenze non esistono nel dominio del tempo, solo nei fasori
e nelle trasformate.
> Tale
> differenza di potenziale è, come ho già detto, *il* riferimento di ciò
> che accade nel ramo in termini di corrente.
Questa e` una possibilita`, se vuoi prenderela basta dichiararla. Se
dici "passiamo alle grandezze complesse" invece non e` quello che si fa,
perche' il riferimento e` dato dai generatori, non dal singolo ramo.
> Se uno è proprio pedante (ma
> tanto pedante), ci aggiunge un '+j0' che non significa proprio niente.
Secondo me significa che stai usando un fasore, altrimenti stai
mescolando grandezze scalari con impedenze.
> Allora quella differenza di potenziale è un numero reale (in volt),
> perciò lo ho chiamato 'scalare'. (*)
A proposito se hai una tensione v(t) e ne consideri la trasformata di
Fourier V(jw) oppure anche quella di Laplace V(s), hai guardato quali
sono le dimensioni delle tensioni trasformate? Secondo me potresti avere
una discreta sorpresa.
> Ed è *sbagliato*, se non per
> considerazioni diverse (di sistema di equazioni di rete per es.),
> considerarlo, ai fini della corrente, come dotato di una fase. Proprio
> sbagliato.
Ok, lo consideri in modulo e a quel punto la tua frase "passiamo alle
grandezze complesse" non c'entra nulla, e` sbagliata. Se passi alle
grandezze complesse devi usare tutti i fasori. Se vuoi prendere quel
fasore come riferimento puoi farlo, ma e` sempre +j0
> E se per ottenere la potenza apparente (diciamo S) si moltiplica la
> tensione per il coniugato della corrente si ottiene una parte reattiva
> di segno opposto a quello vero, cosa che di nuovo è sbagliata.
Questo non mi e` chiaro. Se la tensione su un bipolo e` 3+j0 V (cosi`
sei contento che uso la tensione di ramo come riferimento), e la
corrente in quel ramo e` di -j1 A, la potenza apparente secondo me vale
j3 VA (o var o W, fai tu), con segno positivo.
Ad esempio se nel ramo c'e` un induttore con reattanza di +j3 ohm, la
corrente attraverso l'induttore, con la convenzione degli utilizzatori,
vale I=((3+j0) V)/(j3 ohm) nota che la tensione DEVE essere un fasore,
altrimenti non ha senso dividerla per una impedenza, e il risultato e`
I=-j1 A
E la corrente, che come si conviene a una induttanza e` reattiva e in
ritardo.
Dopo di che se non vuoi usare il complesso coniugato in S=VI ottieni
S=(3+j0)V x (-j1)A= -j3 VA: ohibo`, una induttanza che consuma una
potenza reattiva negativa.
Aprire un libro e` proprio cosi` complicato? Oppure vuoi dirmi che una
induttanza e` giusto che assorba potenza reattiva negativa?
> I "vecchi elettricisti" sapevano benissimo che cos'è un carico reattivo,
> tanto che da sempre la relativa potenza è misurata in VA reattivi (VAR).
simbolo var minuscolo! E normato solo da una IEC, il BIPM non dice nulla
in proposito.
Received on Mon Apr 21 2014 - 23:49:59 CEST
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