Re: risposta in ampiezza di un filtro

From: Daniele Ghisi <danieleghisi_at_gmail.com>
Date: Fri, 18 Dec 2009 04:40:34 -0800 (PST)

> > Buongiorno, mi trovo alle prese con un segnale (audio) che viene
> > filtrato mediante un filtro cosiddetto due poli-due zeri (o biquad).
> > Connosco la risposta in ampiezza di questo filtro per ogni singola
> > frequenza, e funziona tutto perfettamente (posso disegnarne quindi il
> > grafico di ampiezza in funzione della frequenza).
>
> > Mi chiedo ora: quale sar la perdita di ampiezza (o di intensit ,
> > decibel) complessiva di un dato segnale in ingresso? Ovviamente
> > dipender dal segnale, ma supponiamo di prendere un rumore bianco
> > (tutte le frequenze presenti in egual misura).
> > L'integrale del grafico ampiezza/frequenza non d in realt il
> > risultato sperato... Finch prendo una frequenza per volta (sinusoide
> > pura), tutto risponde ai calcoli, diciamo che a frequenza f1 la
> > differenza di intensit di d1 decibel, e a frequenza f2 di d2
> > decibel, ma quando prendo la somma di sinusoidi con freq f1 e f2, con
> > uguale ampiezza, la nuova ampiezza dell'onda filtrata non abbattuta
> > di d1+d2, ma di qualcosa di diverso. Suppongo c'entri la somma di
> > livelli sonori, ma come fare a tenerne conto nel calcolo per il rumore
> > bianco?
>
> Ma perch� ti aspetti d1+d2? Se fosse d1 = d2 non ti aspetteresti
> ancora d = d1 = d2?

S� certamente... giustappunto ero fuso anche quando scrivevo.

> Almeno riguardo al rapporto fra le potenze totali trasmesse dovrebbe
> andare a questo modo: in Fourier il segnale � f(w) la risposta A(w)f
> (w) il rapporto fra le potenze in ingresso ed in uscita � dato dagli
> integrali dei moduli quadrati, per la singola frequenza l'attenuazione
> � d1 = log(|A(w1)|^2) altrimenti: log( [ |A(1)|^2 |f1|^2 + |A(w2)|^2 |
> f2|^2 ] / [|f1|^2 + |f2|^2] ). Ora, nel caso che le attenuazioni siano
> uguali, si possono raccogliere le attenuazioni e si ottiene appunto
> d=d1=d2, nel caso che le frequenze siano uguali, si ottiene:
>
> log( (|A1|^2 + |A2|^2)/2 )
>
> e nel caso di rumore bianco, assumendo la potenza spettrale costante,
> occorre integrare l'attenuazione su tutta la banda e dividere per la
> larghezza di banda.

Credo sia quello che ho fatto (non come l'ho spiegato malissimo ieri
sera): integrazione dell'ampiezza, poi calcolo dei decibel col
passaggio ai logaritmi. Giuro che non usciva nulla fino a dieci minuti
fa, devo essere passato a una delle 2^n scelte possibili di fattori 20
e 10... e mi sa che questa era quella giusta! :-) No beh, a parte gli
scherzi, in realt� dovevo aver sbagliato anche qualcos'altro, e averlo
corretto nella riscrittura.

> Generalmente sommando due segnali la potenza
> spettrale non � la somma delle potenze spettrali, e c'� da considerare
> in generale anche altre sottigliezze riguardo alle tecniche di misura
> e campionamento che avvengono nel dominio del tempo e si connettono
> solo con un poco di macchineria alle grandezze teoriche come
> l'ampiezza nel dominio della frequenza e le ipotesi stocastiche che
> stanno alla base di alcune definizioni di rumore aiutano ad
> interpretare le cose nel modo semplice suggerito dal teorema di
> Plancharel, �e le ipotesi stocastiche che stanno alla base di alcune
> definizioni di rumore aiutano ad interpretare le cose nel modo
> semplice suggerito dal teorema di Plancharel, ci� rende importante
> l'introduzione di caratterizzazioni ulteriori come la correlazione, i
> discorsi che riguardano la fisiologia della percezione sono ancora pi�
> delicati, e le considerazioni sulla correlazione sono solo il primo
> passo per approcciarli, saprai benissimo che nel caso di suoni puliti
> con buona correlazione gli effetti di correlazione dominano.

S�, certo! Hai completamente ragione. Meccanismi di correlazione son
cose in cui non mi sono nemmeno addentrato.
A me serviva piuttosto una stima (anche piuttosto imprecisa,
forzatamente) della perdita in decibel nell'applicazione di un filtro
biquad, di modo tale da incorporare nell'algoritmo un fattore di
compensazione del livello sonoro.

> Per quanto riguarda le ampiezze il discorso � infatti anche delicato:
> come � definita l'ampiezza? Ovviamente l'ampiezza della somma di due
> onde piane con frequenze vicine � soggetta a battimenti con frequenza
> pari alla differenza fra le frequenze, mentre la frequenza apparente
> raddoppia.

Certo!

> > Dev'essere molto semplice, e devo essere proprio rincitrullito...
>
> Non c'� nulla di immediato a priori nel teorema di Plancharel e negli
> altri teoremi della teoria dei segnali, al contrario c'� fatica e
> grandi sfide per il ragionamento, non a caso il padre di Galileo
> Galilei:
>
> Liutista, insegnante e teorico musicale - aveva fatto parte della
> Camerata fiorentina dei Bardi - era entrato in conflitto con la
> tradizione classica, che attribuiva la consonanza tra tutti i suoni al
> controllo delle proporzioni numeriche e aveva proposto di ritornare
> alla melodia monodica contro l'imperante polifonia contrappuntistica.
>
> > Grazie!
> > Daniele
>
> A proposito, come � proseguita questa storia e per brevi cenni, in
> cosa consistono dal punto di vista teorico �moderno le caratteristiche
> distintive dell'una e dell'altra?

Credo che Vincenzo Galilei abbia anch'egli fatto qualche indagine ed
esperimento sul monocordo, e credo sia lui che abbia scoperto la
proporzionalit� tra frequenza e radice della tensione. Sicuramente i
suoi studi hanno iniziato un processo di emancipazione della
dissonanza (come trattarla, come "risolverla": cio� in che modo farla
ricadere su una consonanza...).
Al di l� della miriade di temperamenti utilizzati nei secoli, oome
sicuramente saprai, oggi � in uso comunemente il temperamento equabile
(ripartizione dell'ottava in 12 parti "uguali", frequenze multiple
l'un l'altra della radice 12ma di 2, ogni ulteriore ripartizione �
sempre uniforme, nella scala dei cent), con buona pace dei concetti di
consonanza e dissonanza, le cui definizioni non possono che essere
"approssimative". In particolare le terze maggiori (rapporto naturale
5/4, e quindi in teoria consonanza forte) son ben dissonanti! Resta il
concetto di dissonanza come battimenti tra armonici (ragion per cui Do
Reb vicini insieme sono ben pi� "dissonanti" se il Reb fosse l'ottava
sopra). Come controparte "positiva" di questa semplificazione, si ha
naturalmente la possibilit� di modellizzare semplicemente il
temperamento con Z/12Z, ambito nel cui il novecento si � ben immerso.
Quanto a monodia/polifonia, � una distinzione che naturalmente
continua a valere, e negli anni si � variegata. Sarebbe scorretto
naturalmente scrivere che la prima rappresenta la dimensione
orizzontale e la seconda quella verticale; entrambe rendon conto di un
modo di gestire il rapporto tra orizzontale(tempo)/verticale
(frequenze). La prima, in modo iniettivo, la seconda no. Questa � una
definizione veramente grossolana: � chiaro in questo senso che ci sono
polifonie che non son altro che la copia per traslazione di una
monodia (come gli organa paralleli medievali). In questo senso, si
tende a definire "polifonia" la presenza di voci indipendenti come ad
esempio nel "contrappunto". Nella modellizzazione si pu� complicare la
cosa aggiungendo dimensioni per l'intensit� o per il timbro, ma sempre
di polifonia si parla, che sia nella forma di micropolifonia, di
monodia di timbri (il cambiamento monodico non � nell'ambito delle
frequenze, ma dei timbri, degli inviluppi spettrali) o di eterofonia
(parti indipendenti che per� si muovono in un insieme frequenziale
comune, per cui l'impressione generale � quella di un campo armonico
costante). Come vedi per� distinzioni nette non ne esistono, e poi �
una questione di livelli di analisi: l'eterofonia, ad esempio, in
molti casi pu� ben essere un elemento singolo, con cui si pu�
costituire una "monodia di eterofonie", cambiando di volta in volta,
gradualmente, non gi� la singola nota (come era nella monodia), ma
l'insieme frequenziale in cui l'eterofonia si muove.
Cavolo quanto mi son dilungato, son riuscito pure a annoiarmi da solo
rileggendomi...
Received on Fri Dec 18 2009 - 13:40:34 CET

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