Giorgio Pastore ha scritto:
> Tuttavia questo e' un punto di vista un po' miope perche' in tal
> modo non si puo' arrivare ad un' immagine coerente del "lato
> radiazione".
Sviluppo un po' questo punto, che potrebbe non riuscire tanto chiaro.
Nella trattazione "semiclassica" dell'effetto, l'elettrone fa parte di
un sistema legato (atomo, cristallo) che viene trattato con la m.q.
Il campo e.m. invece figura come un "campo esterno", assegnato a priori
e non modificabile dall'interazione.
In termini più formali, si parte da una hamiltoniana dell'elettrone
(atomo o altro) della quale si suppongono noti autostati e autovalori.
In questa ham. viene introdotta una /perturbazione/ rappresentata dal
campo e.m., la cui caratteristica più importante è che *dipende dal
tempo*.
Questa dipendenza è decisiva per provocare la transizione cercata:
elettrone che passa dallo stato legato a uno "libero".
Non a caso è un capitolo standard dei testi di m.q. la "teoria della
perturb. dipendenti dal tempo".
Il calcolo porta al risultato voluto: espresione della probab. di
transizione, che risulta proporz. all'intensità dell'onda e.m. e
condizione sulle energie:
Ef = Ei + hbar*w
che riproduce quella data da Einstein, con hbar*w = energia del
singolo fotone.
Ma con la differenza che nella trattazione semiclassica *i fotoni non
ci sono*.
Ma questo significa anche che *l'energia non si conserva*.
Infatti l'elettrone guadagna energia, mentre il campo esterno rimane
inalterato (non ha neppure delle variabili dinamiche: è solo un termine
di perturbazione con espressione preassegnata).
Ma c'è di peggio.
Consideriamo non un singolo atomo, ma due, ben distanti tra loro in
modo che si possa trascurarne la reciproca interazione.
Entrambi vengono investiti dall'onda che trattiamo per via
semiclassica.
E' intuitivo, ma si dimostra rigorosamente, che l'evoluzine di ciascun
atomo ha luogo come se l'altro non ci fosse.
Quindi in particolare la probab. di transizione è la stessa per
ciascuno dei due, e la probab. che vengano emessi *due* fotoelettroni è
il quadrato di quella di emissione singola.
E' invece evidente che se l'onda incidente contiene *un solo* fotone,
la doppia emissione è impossibile.
Ed esistono dati sperimentali che confermano questo: se si usa un campo
incidente suff. debole, tra le due emissioni esiste una
/anticorrelazione/.
O l'elettorne viene emesso dall'atomo 1 o viene emesso dall'atomo 2,
ma non entrambi.
Qui c'è un punto delicato, riguardo che cosa si deve intendere con
"campo debole".
In una trattazione classica non c'è problema: vorrà dire "piccolo
quanto basta".
Ma se si fa una teoria quantistica anche del campo e.m., bisogna fare
i conti con le diverse osservabili: ampiezza del campo o numero di
fotoni?
Se riusciamo a lavorare con un campo che contiene *un solo fotone*,
questo non è solo un campo debole: sicuramente i valori (quadratici)
medi di E, B, A ... saranno piccoli, tanto da fornire in totale
un'energia pari a quella di un fotone.
Ma le osservabili E, B, A, *non hanno valori definiti, mentre l'oss.
"numero di fotoni" sì: il campo è in un autostato del numero di fotoni
con autovalore 1.
E' in queste condizioni che si osserva l'autocorrelazione di cui sopra.
E inoltre l'energia si conserva: l'energia acquistata dall'elettrone è
compensata dalla diminuzione dell'energia del campo e.m, che passa da
quella di un fotone a quella del vuoto.
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Elio Fabri
Received on Wed Dec 27 2017 - 15:23:18 CET