acceleratolento_at_gmail.com ha scritto:
> Questa discussione è stata abbandonata troppo presto e vorrei
> chiarire un dubbio che mi è rimasto sulla proprietà della forza di
> cambiare da un riferimento all'altro.
>
> Se spingo un tavolo esercito la mia forza su di esso e il tavolo
> accelera. Questa mia forza la posso misurare in due modi, col
> dinamometro che mi dà una misura unica e con l'accelerazione del
> tavolo che mi dà tante diverse misure quanti sono i possibili
> riferimenti.
> Come si conciliano queste due diverse misurazioni dello stesso
> fenomeno?
Bisogna vedere anzitutto se le affermazioni che fai sono giuste...
Per esempio:
> Se spingo un tavolo esercito la mia forza su di esso e il tavolo
> accelera.
Sicuro?
E' davvero quello che osservi?
Come spieghi che Aristotele (e moltissimi altri dopo di lui) la
mettevano diversamente?
Aristotele era un cretino?
Non posso e nn voglio mettermi a fare storia e tantomeno filosofia
della fisica, ma credo sia noto che Aristotele non teneva conto
dell'attrito (nn mi metto a discutere perché).
Galileo fu il primo a capire che per studiare le leggi del moto
bisognava "rimuovere gli impedimenti esterni".
Fatto questo, si vedeva che un corpo può restare indefinitamente in
moto senza bisogno di alcuna forza (principio d'inerzia).
Mentre A. e i suoi seguaci credevano che per *mantenere* il moto di un
corpo ci volesse una forza, e che maggiore la forza, maggiore la
velocità.
Passò un altro po' di tempo prima che Newton stabilisse la seconda
legge: per *accelerare* un corpo ci vuole una forza. e accel. e forza
sono proporzionali: F = ma.
Non devi però dimenticare che in questa legge F sta a signiicare non
una singola forza, ma la risultante di *tutte* le forze che agiscono
sul corpo.
Se il corpo è soggetto a più forze, l'accel. dipende da tutte, non la
puoi attribuire solo a una o solo a un'altra.
Secondo punto.
E' assolutamente indispensabile eliminare dai discorsi fisici tutto
ciò che sa di antropomorfico.
La fisica è cominciata quando si è capito questo.
Quando si è stabilito di basarsi solo su definizioni chiare e misure
fatte con strumenti.
Non su quello che "vedo", "sento"...
Non sulla "mia forza" che non si sa che cosa sia, e che può darsi che
non abbia niente a che vedere con ciò che s'intende in fisica con la
stessa parola.
Perciò prendiamo un esempio diverso.
Sei in autobus (vuoto) e nel corridoio metti un carrello.
Il pavimento sia abbastanza liscio, e le ruote ben lubrificate, sì che
si possa trascurare l'attrito.
Finché l'autobus viaggia a velocità costante, il carrello rimane fermo;
appena l'autista frena, il carrello parte in avanti.
Se vogliamo studiare meglio la situazione, dobbiamo aggiungere qualcosa.
Tu metteresti un dinamometro; io suggerisco di mettere una molla,
attaccata al carrello e alla parete di fondo dell'autobus.
In realtà è la stessa cosa, perché un dinamometro è in sostanza una
molla, e una molla è un dinamometro.
Ciò fatto, che cosa vediamo?
Finché il moto dell'autobus è a velocità costante rispetto alla
strada, il carrello rimane fermo e la molla resta a riposo: né
allungata né accorciata.
Appena l'autista frena, il carrello parte in avanti, la molla si
allunga, e se la frenata dura a lungo, si raggiunge un equilibrio: il
carrello si ferma un po' più avanti, ossia con la molla allungata.
Questi sono i fatti, detti in modo ancora rozzo.
Per essere più precisi dobbiamo decidere quale riferimento vogliamo
usare per descrivere il moto e per tutte le misure.
Tra le infinite possibilità ce ne sono due semplici:
1) il rif. della strada
2) il rif. dell'autobus.
Cominciamo da 1).
Inizialmente autobus e carrello si muovono di moto uniforme, con la
stessa velocità.
Quando inizia la frenata, il moto dell'autobus non è più uniforme; la
forza dell'attrito tra ruote e strada, opposta alla velocità, causa
un'accel. negativa, e l'autobus rallenta.
Che cosa fa il carrello?
Esso è libero (non c'è attrito sul pavimento) e inizialmente la molla
è a riposo.
Quindi il carrello continua a muoversi con la stessa velocità di prima
(rispetto alla strada).
Ma la molla è attaccata tra il carrello e il fondo dell'autobus, e la
distanza tra questi due punti aumenta; quindi la molla *si tende*.
Questo può accadere solo perché alla molla vengono applicate due forze
opposte (circa): una indietro, dalla parete di fondo, l'altra in
avanti, dal carrello.
Qui entra in ballo il terzo principio: se il carrello tira in avanti
la molla, la molla tira indietro il carrello, che quindi ora è
soggetto a una forza frenante, e acquista anch'esso accel. negativa.
Abbiamo visto che dopo un po' si raggiunge un "equilibrio": rispetto
al rif. della strada a questo punto autobus e carrello vanno di
conserva, rallentando entrambi.
Perché rallenta l'autobus è stato già detto, perché rallenta il
carrello pure: la molla è stirata, con allungamento costante, quindi
applica al carrello una forza costante, ed è questa che lo fa
rallentare.
Tutto chiaro, mi pare.
Passiamo quindi a 2), all'altro rif.: quello dell'autobus.
Qui le cose stanno come segue (questo ci dicono tutti gli strumenti di
misura).
Finché l'autista non frena, l'autobus è fermo, e il carrello pure.
Tutto bene: niente forze, nessun moto.
Quando inizia la frenata, il carrello parte in avanti e la molla
s'allunga.
(Nota che questo lo posso dire allo stesso modo in entranbi i rif.,
perché le misure di distanza fra diversi oggetti, e quelle di tempo,
danno gli stessi risultati in qualunque rif. (sono /invarianti/). Per
fortuna non stiamo facendo relatività :-) )
Ma ora capita qualcosa di strano: vediamo che si raggiunge un
equilibrio, che si descrive così (non dimenticare: nel rif.
dell'autobus).
- autobus e carrello sono di nuovo fermi
- la molla si è allungata.
Non c'è alcun dubbio che una molla allungata rchieda due forze opposte
gli estremi. Questo infatti dipende dalla natura elastica di una
molla, e rimane vero in qualunque rif.
Ci aspettiamo pure che la molla tiri indietro il carrello (terzo
principio).
Quindi il carrello è soggetto a una forza, eppure rimane fermo.
Abbiamo solo due vie d'uscita:
a) concludiamo che in questo rif. la seconda legge di Newton *non vale*
b) ammettiamo che sul carrello agisca un'altra forza, che compensa
quella della molla e spiega come mai il carello possa rimanere fermo.
Qui occorrono alcuni commenti.
1) Come ho già detto, La forza della molla ha lo stesso valore in
entrambi i rif. *è invariante*.
2) Entrambe le scelte a) e b) sono lecite.
Con la a) noi ci vietiamo di usare rif. come quello dell'autobus
frenato (rif. /non inerziali/).
Le leggi della meccanica valgono solo nei rif. inerziali.
Con la b) riusciamo a salvare F=ma anche in un rif. non inerziale, ma
paghiamo un prezzo. Dobbiamo introdurre una forza /fittizia/
(apparente) che non ha una causa (un corpo che la genera).
Chi ce lo fa fare?
3) Il fatto è che molto spesso *dobbiamo* lavorare con rif. non
inerziali, a cominciare dalla Terra.
Se in tutti i fenomeni terrestri ci obbligassimo a lavorare con un rif.
inerziale, ci complicheremmo la vita.
Molto più comodo aggiungere una forza fittizia e ragionare *come se*
il rif. fosse inerziale: usando tranquillamente le leggi di Newton.
4) Però questo non significa che stiamo cambiando la legge di trasf. delle
forze: le forze *reali* sono comunque invarianti.
Il trucco è solo di *aggiungere* una forza "non reale", ossia
apparente.
E bisogna aver chiaro che la forza apparente viene aggiunta *a ogni
corpo* (ed è proporz. alla massa di questo).
Ciò a prescindere da quali e quante forze reali agiscano sul corpo
--
Elio Fabri
Received on Sat Jan 20 2018 - 11:27:13 CET