Re: Gli specchi ustori di Archimede
<cloppj_at_gmail.com> ha scritto
>
> Dall'archivio storico del Corriere della sera:
>
> "La scienza ha smascherato la storia, anzi la leggenda: Archimede non
> puo' aver bruciato le navi del console Marcello impegnate nell'
> assedio di Siracusa nel 213 avanti Cristo focalizzando con uno
> specchio i raggi solari sulle triremi romane. Tale sistema, infatti,
> passato alla storia come l' invenzione degli specchi ustori, va contro
> le leggi di ottica fondamentali. A dimostrarlo sono Allan Mills e
> Robert Clift, dell' Universita' di Leicester in Gran Bretagna, sullo
> "European Journal of Physics". Per infiammare una sola asse di una
> triremi romana, Archimede avrebbe dovuto utilizzare uno specchio di
> 420 metri quadrati. E anche se Archimede avesse radunato 420 uomini,
> ognuno dei quali munito di uno specchio di un metro quadrato, il
> raggio avrebbe fatto un danno molto limitato: a bruciare sarebbe stata
> una sola asse di un metro per mezzo metro. Un danno cui i romani
> avrebbero tranquillamente e senza troppo ingegno rimediato innaffiando
> la tavola in questione con una secchiata di acqua marina. Senza
> dimenticare che comunque, nel corso di un assedio, 420 uomini
> avrebbero di certo trovato occupazioni piu' fruttuose. La teoria dei
> due studiosi dimostra che e' difficile focalizzare in un punto i raggi
> solari. Il sole non e' un' arma cosi' potente, perche' colpisce la
> Terra con un' energia pari ad un kilowatt per metro quadrato. Tutto un
> inganno, quindi? I due studiosi non tirano una conclusione cosi'
> negativa: Archimede, almeno, fu il primo scienziato a conquistarsi la
> fama di salvatore della patria."
Nessuno stratega al mondo punterebbe allo scafo di una barca di legno per
incendiarla: le vele sono sempre state il tallone d'achille riguardo al
fuoco. In ogni battaglia navale, fino all'avvento del vapore, i bersagli
delle frecce, dei proietti e della pece greca sono sempre state le vele. Il
fuoco divampa velocemente e non esiste quasi alcuna possibilit� di fermarlo.
In pi� il tessuto vegetale di cui erano composte e la cera di cui erano
spalmate a scopo di impermeabilizzazione, cadendo sul ponte, attraversavano
una fase di liquefazione che faceva penetrare il liquame attraverso gli
osteriggi e le fessure delle doghe all'interno dello scafo, provocando
l'incendio di buona parte dei materiali di rispetto che si trova su ogni
naviglio, giorni nostri compresi. In pi�, brandelli di vele a fuoco,
trasportati dal vento, avevano alta probabilit� di investire un altro
vascello, incendiandone a sua volta le vele. Non � neanche lontanamente
pensabile che le navi di Marcello fossero alla fonda: nessun ammiraglio al
mondo condurrebbe un attacco navale con le navi all'ancora, pena divenire un
facile bersaglio di cannoni e razzi oggi, di balestre e balliste a quei
tempi. Evidentemnete Clift e Mills non sono mai saliti su una barca a vela.
Constato con sottile piacere che anche agli Inglesi, ogni tanto, tocca
pagare le tasse a vuoto...:-))
Enzo Franchini
Received on Wed Nov 12 2008 - 15:49:00 CET
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