Re: Richiesta opinione scientifica su una sentenza giudiziaria

From: Siddharta <nospam_at_nospam.com>
Date: Tue, 28 Aug 2007 10:27:37 +0200

"Dino" <brunieradino_at_inwind.it> ha scritto nel messaggio
news:MbGAi.98816$U01.850822_at_twister1.libero.it...
> Poich� sto preparando un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura
> in merito ad una sentenza di secondo grado su una causa del lavoro, vorrei
> sottoporre all'attenzione dei partecipanti di questo newsgroup una mia
> contestazione in base alle leggi della fisica, di un fatto che dei giudici
> hanno ritenuto, almeno, possibile.
> Cos� potrei riportare in detto esposto anche delle valutazioni di fisici,
> magari anche del prof. Elio Fabbri.
> Per quanto possibile brevemente e con nomi di fantasia, si tratta di
> questo.
>

Io credo che la "dinamica" dell'attaccapanni c'entri un belino con il caso
in questione. Il problema, semmai, � come la fattispecie rientri nel
contesto della violazione del 2105 C.C. Su questo, dottrina e giurisprudenza
separano nettamente la sottrazione dei documenti dalla semplice
fotocopiatura (i documenti non sono fuoriusciti). Arroccarsi
sull'attaccapanni non serve a molto :-) Quello che rileva �, a meno di fatti
illeciti gravi del datore di lavoro che ha simulato il fatto (ma mi sembra
pacifico dalla ricostruzione che non � andata cos�) � che non siamo di
fronte alla fattispecie della sottrazione, dato che i documenti non hanno
lasciato l'edificio. L'orientamento della Cassazione � che essa sia pi�
lieve, e ritiene impropobibile il licenziamento (ricordiamoci che il
contratto di lavoro assolve un'importante funzione economico-sociale).
Peraltro, la legittimit� dell'imiego di tali documenti � ritenuta lecita
dalla suprema corte in ottemperanza del diritto di difesa (quindi, se Lucio
� stato trasferito perch� hanno chiuso o ridotto un impianto, cui � seguita
la ricollocazione dei dipendenti previo accordo tra le parti, Lucio poteva
fotocopiare quei documenti per dimostrare che le cose non erano andate cos�
e produrli in tribunale per "difendere" un proprio diritto). Ovviamente,
essendo ul 2105 una norma "elastica" che richiede l'interpretazione
dell'organo giudicante, non si pu� escludere che i magistrati di merito si
comportino in modo diverso tra loro di fronte a fattispecie sostanzialmente
analoghe. Qui sotto, una rassegna:

Guardiamo alla casistica generale. In primo luogo, si ha il caso in cui
vengano sottratti i documenti di propriet� aziendale da parte di un
lavoratore. In tal ipotesi, si configura una gravit� elevata nella condotta
tenuta dal lavoratore, con ci� ritenendosi sussistente, proprio in virt�
dell'importanza dell'inadempimento compiuto dal lavoratore, la giusta causa
del licenziamento. In secondo luogo, si ha l'ipotesi in cui il lavoratore
provveda a riprodurre semplicemente i documenti, senza per� farli
fuoriuscire dalla materiale disponibilit� del datore di lavoro. In tal caso,
si ha invece una minor gravit� dell'inadempimento che comunque costituisce
quanto meno titolo per l'irrogazione del licenziamento per giustificato
motivo soggettivo (in tal senso v. Cass. 2/3/93, n. 2560). In tale sentenza,
in particolare, si era affermato che l'aver fotocopiato documenti aziendali
riservati e l'averli prodotti in giudizio avrebbe costituito violazione dei
doveri di lealt� e correttezza imposti dall'art. 2105 c.c. il quale ha
introdotto nel nostro ordinamento il principio di fedelt� in virt� del quale
il lavoratore "non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in
concorrenza con l'imprenditore, n� divulgare notizie attinenti all'organizzazione
e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare
ad essa pregiudizio". Orbene, tali comportamenti integrano gli estremi
della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento,
senza che rilevi l'intento di farne un uso meramente processuale: infatti il
contrasto tra il diritto del dipendente alla tutela giurisdizionale del
proprio diritto e quello del datore di lavoro alla riservatezza non pu�
essere risolto unilateralmente dal lavoratore, ma deve essere valutato in
sede giudiziaria, nella quale il datore di lavoro, a fronte dell'eventuale
ordine di ispezione e di esibizione impartito dal giudice, pu� resistere a
tale comando, vedendosi esposto alle conseguenze che il giudice � libero di
trarne. Di recente, peraltro, si � affermato un diverso e pi� corretto
orientamento in virt� del quale � stato riconosciuto che il licenziamerto
intimato al lavoratore per violazione dell'obbligo di fedelt� di cui all'art.
2105 c.c. - avendo il lavoratore prodotto in giudizio fotocopie di documenti
aziendali - � illegittimo stante la prevalenza del diritto di difesa
rispetto alle esigenze di segretezza aziendali (Cass. 7/12/04, n. 22923).
Nel caso in esame il lavoratore aveva prodotto in giudizio copia di
documenti aziendali comprovanti la prosecuzione dell'attivit� alla quale era
adibito presso l'ufficio di provenienza. La societ� aveva quindi licenziato
il lavoratore sul presupposto che la produzione in giudizio di tale
documentazione, peraltro di carattere riservato, costituisse una grave
violazione dell'obbligo di fedelt�. Sia il Pretore che la Corte d'Appello
avevano respinto il ricorso promosso dal lavoratore avverso il suddeto
provvedimento. La Cassazione, invece, d� ragione al lavoratore, aderendo
appunto ad un orientamento maggiormente garantista in virt� del quale il
diritto alla difesa deve essere considerato di per s� prevalente rispetto
alla esigenza di segretezza di soggetti pubblici e privati. Si � infatti
ribadito che la produzione di copia di documenti � di gran lunga
obiettivamente pi� lieve di quella della sottrazione di documenti aziendali
che viceversa costituisce giusta causa di licenziamento. Quanto alla
prevalenza del diritto di difesa rispetto a quello di riservatezza val la
pena rammentare che ci� lo si ricava innanzitutto dal principio enunciato
dall'art. 24 Cost. in forza del quale vi � la preminenza del diritto di
difesa in ogni stato e grado del processo, nonch� da quanto stabilito dall'art.
12 della legge in materia di privacy. Infatti tale norma stabilisce che il
consenso dell'interessato alla divulgazione dei dati non risulta necessario
se serve "per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre
che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalit� e per il periodo
strettamente necessario al loro perseguimento". Con riguardo al citato 2105,
come sottolineato dalla suprema corte, l' art. 2105 cod. civ. � stato fatto
rientrare nell'ambito delle cd. "norme elastiche" [e di quelle (ad esse
connesse ma con le stesse non confondibili) rientranti nella nozione di
"clausola generale"], cio� delle norme il cui contenuto, appunto, elastico
richiede giudizi di valore in sede applicativa, in quanto la gran parte
delle espressioni giuridiche contenute in norme di legge sono dotate di una
certa genericit� la quale necessita, inevitabilmente, di un'opera di
specificazione da parte del giudice che � chiamato a darvi applicazione. Al
riguardo deve precisarsi che l'applicazione delle disposizioni formulate in
virt� dell'utilizzo di concetti giuridici indeterminati non coinvolge un
mero processo di identificazione dei caratteri del caso singolo con gli
elementi della fattispecie legale astratta e richiede, invece, da parte del
giudice l'esercizio di un notevole grado di discrezionalit� al fine di
individuare nella specifica fattispecie concreta le ragioni che ne
consentano la riconduzione alle nozioni usate dalla norma. Entro siffatta
valutazione il giudice, oltre a risolvere la specifica controversia,
partecipa in tal modo alla formazione del concetto (e, cio�, alla sua
progressiva definizione in relazione al valore semantico del termine), con
la precisazione che il significato adottato non pu� prescindere dalle
convenzioni semantiche sussistenti all'interno di una data comunit� in una
certa epoca storica e, sotto concorrente profilo, dagli "attuali" principi
generali (specie di rango costituzionale) propri dell'ordinamento positivo.
Applicando tali canoni interpretativi per precisare l'attuale contenuto
dell'obbligo di fedelt�" nella specifica previsione codicistica
sostanzialmente integrata (come si � dinanzi constatato) in via
giurisprudenziale dai principi di "correttezza" e "buona fede" - in cui,
pertanto, all'espressione sicuramente generica di "obbligo di fedelt�" si
aggiungono le espressioni altrettanto generiche di correttezza" e "buona
fede", realizzandosi cos� l'ipotesi paventata in dottrina di "spiegare il
contenuto di una clausola generale per mezzo di un'altra clausola
generale"-, si deve prioritariamente tener conto che alla "solidariet�
corporativa" caratterizzante l'art. 2105 cod. civ. (nella definizione,
appunto, dell'obbligo di fedelt�) si � sostituita quella costituzionale
nella proiezione economica e sociale ex art. 2 Cost. In questa logica pu�
considerarsi naturale, anzi dovuta, una rilettura della norma che
presupponga il mutato contesto sociale e ordinamentale alla stregua di
quanto indicato in dottrina, per analoga questione, che la clausola generale
della buona fede deve abilitare il giudice a concedere spazi ed effettivit�,
pi� che a valori etici e morali collocati fuori del "territorio positivo",
ai valori sui quali si fonda il sistema giuridico e per tale ragione vantano
un titolo poziore per influenzare ed orientare l'adempimento
dell'obbligazione. Sempre in dottrina � stato ritenuto che la cennata
questione assume una speciale rilevanza nell'ambiente lavoristico, ove la
normativa codicistica sembra assicurare a priori la prevalenza
dell'interesse del datore di lavoro all'esercizio dei suoi poteri giuridici,
con la conseguenza che anche nei casi nei quali permane una sfera di
discrezionalit� tecnica (e, dunque, sono ipotizzabili soluzioni diverse o
alternative) il controllo giudiziario finalizzato ad accertare il rispetto
della buona fede in executivis � stato in genere valutato negativamente.
Questo � stato ritenuto con riferimento specifico agli artt. 2094 e 2106
cod. civ. - relativo all'esercizio del potere disciplinare a proposito del
quale il potere datoriale � pi� sensibile ai limiti indotti dalla buona fede
che consente, appunto, al giudice di "governare" il procedimento
disciplinare di modo che la supremazia giuridica di una delle parti
contrattuali non trasmodi in forme di "ingiusto" esercizio dal potere (di
per s� "eccezionale") di irrogare pene private ai danni della controparte -,
ma anche in relazione all'obbligo di fedelt� deve essere usata una chiave di
lettura dell'art. 2105 cod. civ. che tenga conto, non soltanto della
posizione del datore di lavoro, ma anche di quella del prestatore di lavoro
(e dei diritti ad esso connessi). Conclusivamente, su questo punto, quanto
ritenuto dalla giurisprudenza in merito all'estensione dell'obbligo di
fedelt� mediante i principi di correttezza e buona fede ha da essere
precisato nel senso che il giudice non pu� statuire sulle conseguenze
derivanti dal generico "rapporto di fiducia" tra datore di lavoro e
lavoratore nella considerazione unilaterale della posizione delle parti
contrattuali, ma deve riferirsi alla nozione di "obbligo di fedelt�"
nell'accezione semantica attualmente esistente nel contesto sociale ed alla
stregua degli attuali principi generali dell'ordinamento (specie dell'art. 2
Cost.). 11/d - Tanto rimarcato in linea generale, vale ribadire, al fine di
inquadrare la fattispecie nell'ambito dei cennati principi, che il Tribunale
di Ancona ha ritenuto che il comportamento del lavoratore -che aveva
prodotto in copia documenti aziendali nell'ambito di un giudizio dallo
stesso instaurato - "� stato idoneo a ledere in modo insanabile il rapporto
di fiducia che deve intercorrere fra datore di lavoro e dipendente e ci� sia
in relazione alla potenzialit� dannosa del fatto (per il pericolo di
diffusione di dati concernenti la situazione i economica di clienti della
banca e l'esistenza di eventuali posizioni in sofferenza), sia per la
posizione rivestita dal C. il quale era il direttore della filiale di
Ancona" e, di conseguenza, ha considerato legittimo il licenziamento
disciplinare irrogato per tale ragione dalla Banca.

Per valutare l'esattezza di siffatta statuizione occorre, pertanto, operare
una comparazione tra "l'obbligo di fedelt�" a carico del lavoratore (secondo
l'accezione dinanzi precisata) e "il diritto di difesa" che deve essere
riconosciuto ad ogni cittadino e, quindi, anche al lavoratore.

A) Anzitutto, per affermare la violazione dell'obbligo di fedelt�, il
Tribunale di Ancona sembra riportarsi conclusivamente all'ipotesi di
"Sottrazione di documenti aziendali", mentre - come si � dinanzi
evidenziato - nella descrizione della fattispecie rileva "essere pacifico
che il C. ha prodotto in giudizio copia di documenti aziendali": per cui
l'infrazione asseritamente commessa dal C. deve essere fatta rientrare
nell'ipotesi sicuramente pi� attenuata di allestimento di fotocopia e di
successiva divulgazione (secondo modalit� che verranno infra precisate) di
documenti aziendali dei quali il lavoratore aveva normalmente la
disponibilit�, rispetto a quella di spossessamento e di sottrazione di
documenti di propriet� dell'azienda datrice di lavoro.

Che "la produzione in giudizio di fotocopie" configuri una ipotesi di gran
lunga pi� lieve rispetto a quella di "sottrazione di documenti aziendali",
oltre ad apparire ictu oculi evidente, viene i confermato proprio dal
Tribunale di Ancona che, in motivazione, si riporta alle sentenze di questa
Corte nn. 2560/1993 e 6352/1998 riferite espressamente alle ipotesi pi�
gravi di impossessamento e di sottrazione di documenti aziendali (e, nella
seconda di tale decisione, con l'aggravante di successiva divulgazione degli
stessi presso enti pubblici esercitanti funzioni di controllo sull'azienda).

Mentre in tali casi � stata confermata la legittimit� del licenziamento
disciplinare irrogato dal datore di lavoro, nell'ipotesi pi� lieve (analoga
a quella ricorrente nella specie) di produzione in giudizio di copia di
documenti aziendali questa Corte ha considerato, invece, illegittimo un
provvedimento disciplinare espulsivo (Cass. n. 1144/2000, Cass. n.
6328/1996).
Received on Tue Aug 28 2007 - 10:27:37 CEST

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