Re: Cosa nella natura e nell'uomo rende possibile la scienza
On 25 Giu, 23:05, filips <filips..._at_gmail.com> wrote:
> > Peraltro mi risulta che tale
> > teoria dell'origine delle formulazioni di saperi scientifici sul mondo
> > sia curiosamente simile a quella di certe teorie sulla nascita delle
> > credenze delle religioni...
>
> La credenza o superstizione (in genere), a fronte della paura e del bisogno genera costruzioni aprioristiche, prostrazione e servilismo; il procedimento moderno della scienza usa domande coerenti, sfrutta l'osservazione epurata da pregiudizi attraverso lo studio di riproduzioni (anche semplificate) dei fenomeni, perviene a risposte in modo deduttivo a partire da constatazioni empiriche o ipotesi teoriche.
>
Ecco, in effetti una delle cose che differenziano le credenze
scientifiche da quelle superstiziose � che le prime si basano su
ambiti circoscritti dei fenomeni (nessuno scienziato studia come
oggetto l'universo intero, neppure gli astrofisici, semmai si studiano
alcuni aspetti percepibili di esso) e che se vengono superate da
teorie ritenute migliori non si dice che la scienza � sbagliata ma
solo che una teoria scientifica non era totalmente corretta poich�
alcuni dati vanno contro di essa e sono meglio inclusi in una nuova
teoria, sempre comunque provvisoria (poi certo si pu� dire che ci sono
approssimazioni utili per certi scopi, la fisica di Newton, sebbene
sia stato superata da quella di Einstein, viene ancora usata per
lanciare i satelliti) mentre le seconde si basano su postulare
generiche entit� che fanno sorgere i fenomeni in base a misteriosi
capricci (i fulmini che appaiono per il volere insondabile di una
divinit� ad esempio), che in quanto misteriosi non si possono
formalizzare in teorie confermabili e confutabili...
> I temi che proponi sono stimolanti, potrebbero andare bene in un NG di filosofia, ma anche in questo credo. Io ho come l'impressione che la fisica sia in un certo senso la scienza della constatazione: questa cosa esiste, sia anche in relazione ad una deduzione puramente teorica che esuli dal dato empirico, lo si constata attraverso i sensi (previo opportuno esperimento fisico in senso stretto o anche solo mentale) e si formula il principio o la legge conseguente. Questo non dice nulla circa l'essenza del fenomeno e forse per questo, delle volte, si fanno orecchi da mercante di fronte a queste problematiche.
>
Eh gi�, il famoso rifiuto di "tentar le essenze" di galileiana
memoria, dovrebbe far pensare a coloro che ritengono che non solo le
scienze ma che *una* scienza, la fisica (che poi tutt'oggi � divisa in
teorie di termodinamica, teoria dei campi, quantistica,
relativistica...) possa dare un'unica teoria che sia spiegazione di
ogni aspetto del reale...
> Vi sono problemi a mio giudizio insormontabili: mi viene in mente la problematica inerente al grado di garanzia dei sensi e all'oggettivita' della realta' e della sua necessita', che partendo da Cartesio arriva a Hume e Leibniz. Kant credo che abbia messo in evidenza che vi sono dei limiti oggettivi. La filosofia, secondo me, non puo' fare piu' di tanto per via di questo, infatti anche se il metodo si mantiene all'interno di un perimetro logico ovvero utilizza una costruzione teoretica ineccepibile dal punto di vista formale, deve alla fine dei conti scontrarsi con concetti estremamente profondi e questioni alquanto delicate; nella peggiore delle ipotesi, infine, deve guardare ad un oggetto in cui e' presente un alto grado di autorifermento (la mente), per cui non puo' fare a meno di ricorrere al linguaggio naturale con tutta l'ambiguita' che ne consegue.
>
Le famose antinomie della ragione, da ricordare comunque che Kant
oltre alla Critica della Ragion Pura scrisse la Critica del Giudizio,
che faceva notare che l'uomo ha questa tendenza irresistibile a
cercare forme e processi dotati di fini, certo una tendenza
soggettiva, che per� � comune a tutti gli uomini, � secondo me
un'opera da rileggere...
> Ho letto anche l'altro post sulla 'Teoria generale dei sistemi' e, per una strana combinazione, proprio pochi giorni fa avevo chiesto in consultazione quel libro per poi restituirlo immediatamente visto che conteneva un'impostazione generale (con ampio dibattito filosofico) e a me interessava qualcosa di puramente formale (in relazione al problema che avevo postato)... comunque grazie per il riassunto che hai fatto.
>
E' una trattazione generale proprio perch� si chiama "Teoria generale
dei sistemi"...
> L'autore utilizza esempi di equazioni dinamiche per far vedere che la variazione dipende dal futuro (scopo).
>
> Il finalismo (teleologia) consiste nel considerare il fine come elemento causale nella produzione di un dato evento. Puo' essere inteso ad un livello 'estremo' di fine a cui tende il tutto oppure, in senso piu' 'rilassato', di fine a cui tende ogni singolo evento calato nel tutto. Quando io mi riferivo alla questione teleologica intendevo in relazione alla prima accezione. In tal caso, penso non vi siano dubbi, qualunque affermazione dovrebbe risultare quantomeno azzardata (visti i limiti che si frappongono).
>
> Ma c'e' di piu'. Concedendo che si possa affermare la cosa, si deve necessariamente ricorrere ad una intelligenza ordinatrice che agisca in vista di tale scopo. Una tale entita' dovrebbe essere a sua volta sottoposta al divenire, alla necessita' di qualche logica, pertanto si va a finire nel circolo vizioso gia' evidenziato ai tempi di Aristotele (argomento per me insuperabile a prescindere da quanto affermato da Kant). Qualora, in linea con questo autore, si consideri tale 'intelligenza' come un arche' liberato da connotazioni antropomorfiche (i.e. 'puro concetto' o 'immutabile principio sovrasensibile'), si finisce con l'escludere in partenza il presupposto essenziale alla possibilita' di un discorso in senso teleologico, cioe' la presenza di un ente a cui quello scopo torni utile, in vista del quale, in altre parole, l'ente operi (tramite opportune variazioni).
L'immediata associazione del concetto di finalit� al concetto di
intenzionalit� tipica degli esseri umani, che porta molto spesso a
prendere le distanze dall'usare il concetto di finalit� in natura,
infatti � dovuto al distacco del mondo moderno dalla visione antica
aristotelica della natura. Aristotele riteneva assurdo che si
affermasse che non ci sono finalit� in natura perch� in natura non ci
sono entit� che deliberano i loro processi. Aristotele faceva vari
esempi al riguardo nella sua "Fisica", mostrando ad esempio che cos�
come si pu� affermare che un coltello da cucina � un buon coltello da
cucina se raggiunge il fine per cui � stato fatto, ovvero tagliare dei
cibi e che cos� come si pu� affermare che un suonatore di lira � un
buon suonatore di lira se raggiunge il fine del suo essere suonatore,
ovvero riprodurre certi brani musicali per lira, cos� una ghianda �
una buona ghianda se essa raggiunge il fine del suo essere ghianda,
ovvero diventare quercia. Similmente un corpo grave era un buon
esempio di corpo grave se esso raggiungeva il fine del suo essere
corpo grave, ovvero tendere al basso verso terra. Insomma, Aristotele
riteneva qualcosa di evidente che gli enti della natura avessero dei
fini sebbene non avessero comportamenti deliberanti (e a differenza di
Platone, Aristotele negava un dio creatore e riteneva che l'universo
fosse eterno e che la divinit� fosse solo il motore delle sfere
celesti). Fu Galileo a notare che le teorie di Aristotele sui corpi
gravi non funzionavano pi� studiando la natura in laboratorio mediante
un metodo matematico (che Aristotele riteneva corretto usare solo nel
mondo incorruttibile delle sfere celesti) tuttavia ancora oggi, se si
fanno domande di fisica elementare a bambini o a persone non esperte
di fisica ti rispondono in tantissimi affermazioni aristoteliche come
("i corpi pi� pesanti cadono pi� velocemente di quelli pi� leggeri"
"ogni palla che rotola su un piano orizzontale a poco a poco tende
(verbo molto finalistico!) a fermarsi". Ci� ricorda di nuovo un po' il
Kant della Critica del Giudizio... Un consiglio bibliografico
interessantissimo riguardo alla differenza tra il modo di guardare la
natura dello scienziato galileiano e quella dell'osservatore
tutt'altro che distratto ma che non lavora isolando artificialmente i
fenomeni in laboratori � il testo di psicologia della percezione
"Fisica ingenua" di Paolo Bozzi, come a dire che la fisica di
Aristotele � valida dappertutto tranne che nei laboratori!
>
> Per quel che riguarda gli enti intermedi, in sostanza, in base a quello che scrive l'autore, sembra emergere che lo stato finale (quando e' raggiungibile) coincida con il fine e questo debba essere gia' noto a priori, tanto che diventa la causa determinante la sequenza di opportune variazioni in grado di raggiungere il risultato desiderato.
>
> Guardando alle equazioni, riformulate in quel modo, si dovrebbe rilevare che vi e' dipendenza dal valore dello stato finale quindi (in questi esempi del reale) vi sarebbe un rapporto di causalita' tra scopo e moto che quello precede. Questo fatto mi sembra interessante, pero' mi domando a chi o cosa tale fine faccia riferimento: l'ente dovra' pur avere un certo grado di capacita' di elaborazione dell'informazione, accorgersi di esigenze legate a certe proprie configurazioni interne e via dicendo: deve quindi necessariamente trattarsi di essere animato? Oppure e' sufficiente che il sistema contenga in se' l'informazione inerente al risultato finale, pur rimanendo 'cieco' rispetto a questo? Se poi l'equazione puo' essere, tramite opportuni passaggi formali, riscritta eliminando tale parametro 'futuro', ne consegue che il fine non risulta cosi' indispensabile alla descrizione del fenomeno: cio' che conta e' il puro meccanismo legato alle grandezze effettive. Guardando meglio i due esempi che hai citato mi par
e che le cose stiano proprio in questi termini (in particolare mi riferisco all'equazione sull'accrescimento).
In effetti quello che mi viene da pensare � che la descrizione
teleologica e quella finalistica di un processo tutto sommato non
siano descrizioni contraddittorie ma siano anzi qualcosa come due
facce della stessa medaglia e non siano affatto contraddittorie tra di
loro, al massimo ciascuna delle due descrizioni, sebbene abbiano
uguale potere predittivo, lo fanno evidenziando ciascuno alcuni
aspetti e non mostrandone altri. Faccio l'esempio del principio di
minima azione a confronto con le leggi del moto di Newton. Se si
specificano alcuni ma non tutti ma alcuni aspetti sia delle condizioni
iniziali che delle condizioni finali (ad esempio, le posizioni ma non
le velocit�) stiamo facendo alcune inferenze riguardo riguardo le
condizioni iniziali partendo dalle condizioni finali e questa
possibilit� di fare un'inferenza "a ritroso" la possiamo descrivere
come un modo di vedere il processo come processo finalistico. Come
semplice esempio, consideriamo una singola particella che si muove
liberamente lungo una sola dimensione.
Poniamo che noi sappiamo che la sua posizione nel tempo t1 � x1 e che
al tempo t2 la sua posizione � x2. Noi vogliamo conoscere la sua
velocit� v al tempo t1, che possiamo facilmente calcolare con (x2-x1)/
(t2-t1) . Ora se diciamo
"la velocit� della particella al tempo t1 � v perch� la sua posizione
al tempo t2 � x2"
noi usiamo un linguaggio causale che ha una struttura teleologica
mentre se diciamo la stessa cosa con le seguenti parole
"l'informazione che la posizione della particella al tempo t2 � x2 ci
dice che la sua velocit� al tempo t1 deve essere v"
diventa chiaro che stiamo compiendo un'inferenza: possiamo dire che lo
stato del sistema nei tempi successivi non ha un effetto causale sui
tempi precedenti ma nonostante ci� esso ci d� informazioni su questi
ultimi. Questo � quello che il principio di minima azione di d�: aiuta
a mostrare come dovevano essere certi stati del sistema partendo da
certi dati sugli stati iniziali e finali di esso. Potremmo insomma
quasi dire che � il modo con cui poniamo una domanda in un problema
scientifico che fa s� che questo modo di vedere finalistico venga
formulato parlando di tale processo fisico. Pu� essere questa che ho
compiuto un'osservazione interessante che contribuisce a tale tema? E'
un tema da approfondire, magari anche consigliando collegamenti
bibliografici ulteriori...
Ciao.
Received on Tue Jun 26 2012 - 21:37:42 CEST
This archive was generated by hypermail 2.3.0
: Thu Nov 21 2024 - 05:10:12 CET