Il 31 Ott 2006, 20:51, Elio Fabri <elio.fabri_at_tiscali.it> ha scritto:
> Giorgio Pastore ha scritto:
> > Se non ricordo male in letteratura si distingue tra tr. canoniche
> > (quelle di giovanna) e quelle completamente canoniche o "canoniche
> > univalenti" (quelle di Elio).
> Confesso di non aver mai visto l'accezione di tr. canoniche che dici.
> Riprendo l'argomento piu' sotto.
Gallavotti ad esempio. Definisce le trasformazioni canoniche come
dice Giovanna, poi pero' restringe l'attenzione alle trasformazioni
canoniche in cui le Hamiltoniane coniugate sono ottenute una dall'altro
per semplice cambio di coordinate, le chiama trasformazioni completamente
canoniche K(Q,P,t) = H(q(Q,P),p(Q,P),t). Quindi dimostra, in appendice, che
queste trasformazioni sono simplettiche. (Fasano Marmi chiarisce che il
termine completamente canoniche va solo riferito al caso di trasformazioni
canoniche, intese come simplettiche, indipendenti dal tempo). Dell'Antonio
dice che le trasformazioni canoniche sono quelle che conservano la forma
canonica delle equazioni di Hamilton, ma poi enuncia, pur senza dimostrarlo,
un teorema: cio' si verifica sse {F,G}_{p,q} = a {F,G}_{P,Q} . (Fasano
Marmi,
che pure si attiene, come dicevo alla equipollenza fra i termini canonica e
simplettica chiarisce questo punto dimostrando un teorema un poco piu'
generale, che risale al 1991) Goldstein, Safko, Poole, infine definisce le
trasformazioni canoniche come le trasformazioni che conservano la
forma canonica delle equazioni, nota en passant che ci si puo' ridurre
al caso in cui la parentesi di Poisson e' conservata, e che si chiameranno
le prime trasformazioni canoniche estese, le seconde trasformazioni
canoniche. Ho idea che il punto di dibattito nasca fra hamiltoniani e
lagrangiani. Nella teoria delle trasformazioni di contatto, a partire dalla
formulazione di Hamilton, nel caso dipendente dal tempo si puo' porre
naturalmente la questione di trasformazioni canoniche estese. Nella
teoria lagrangiana, come detto questo non puo' verificarsi perche'
le trasformazioni di coordinate generalizzate danno solo luogo a
trasformazioni simplettiche (e ad una sottoclasse).
> Tetis ha scritto:
> > A tal proposito Arnold segnala che questo modo di definire le
> > trasformazioni canoniche � un errore molto comune nella letteratura
> > sulla meccanica, al punto che persino Landau, nel suo bellissimo
> > libro, incorre nel medesimo errore.
> Appunto... Infatti Landau mi fece incazzare non poco, quando mi trovai
> a studiarci la meccanica analitica
> Ma se non vado errato l'errore risale piu' indietro nel tempo: forse a
> Sommerfeld.
>
> > Arnold propone l'esempio che proponi tu per mostrare la differenza fra
> > la definizione in termini di invarianza della forma simplettica dp ^
> > dq e la definizione in termini di equazioni di Hamilton.
> Ho controllato: non e' proprio quella. Nella nota a pag. 238
> dell'edizione italiana si da' come esempio P = 2p, Q = q.
Infatti, ma per le considerazioni dette sopra qualunque trasformazione
lineare conserva la forma canonica delle equazioni del moto, pur
senza essere canonica.
> Ora vi racconto una storia personale: mi accorsi di questo
> errore quando mi trovai (ben 51 anni fa) a insegnare per la prima volta
> meccanica analitica.
> A me era stata insegnata al modo sbagliato che stiamo esaminando, e
> scopersi da solo l'errore. Nelle mie dispense di allora c'e' scritto
> che una trasf. si dice canonica se lascia invariata la forma delle eq.
> di Hamilton *per qualsiasi hamiltoniana*.
Sono d'accordo, ma questo sottointende implicitamente che
dai la prescrizione di produzione della nuova Hamiltoniana,
come la stessa Hamiltoniana nelle nuove coordinate e che le
traiettorie della nuova Hamiltoniana sono le stesse di prima
eccetto che risultano espresse nelle nuove coordinate.
Altrimenti e' sempre possibile estendere il controesempio.
Infatti per qualunque
Hamiltoniana vale il teorema delle funzioni composte
e che l'esempio si estende a qualunque trasformazione
di scala. In formule se chiamo S la matrice simplettica:
e pongo v=(q,p) V = (Q,P)=(2q,p) le equazioni di Hamilton le scrivo:
v ' = S grad_v (H)
V' = S grad_V (K)
dove K(Q,P,t) = H( 2q(Q,P),p(Q,P),t) nota che questo posso farlo con
ogni Hamiltoniana H di partenza. Se invece pongo che per ogni
H la nuova hamiltoniana che verifica le equazioni di Hamilton e':
K(Q,P,t) = H(q(Q,P),p(Q,P),t) trovo le condizioni simplettiche.
Infatti grad_V H(v(V),t) = J(v,V) grad_v H dove J (v, V) e' la matrice
jacobiana. V ' = J v ' . Da cui la condizione simplettica" J^(-1) S J = S.
verificata se le traiettorie nelle nuove coordinate sono le medesime
di prima.
> > (nota di servizio: dire che (p,q) -> (P,Q) conserva dp ^ dq significa
> > che dP ^ dQ = dp ^ dq il che equivale a dire che PdQ - pdq = df
> > infatti da questo segue dP ^ dQ - dp ^dq = ddf =0 e viceversa se dP^dQ
> > - dp^dq = 0 allora la primitiva: P^dQ -p^dq � un differenziale
> > esatto).
> Certo. Ho evitato di presentare la cosa in questo modo, come pure di
> parlare di varieta' simplettica, perche' non ero sicuro che Giovanna mi
> avrebbe seguito.
Lo so, mi sono permesso solo perche' trovo che siano uno strumento
prezioso che andrebbe tenuto in conto di imparare ad utilizzare.
> > direi dG = p dq + Q dP in questo secondo caso.
> Giusto: mi e' scappata la maiuscola, e nient'altro :)
A dire la verita' sono stato accondiscendente su un'altra
sottigliezza :-) Ha usato la stessa lettera nei due casi, ma
in effetti non e' corretto. Se infatti vale
dG = p dq - P dQ
risulta che
d(G+PQ) = p dq + Q dP
nulla togliendo alla validita' dell'espressione che usava:
per cui le equazioni dette individuano le funzioni generatrici
(a meno di costanti e tal volta, se Q ad esempio non dipende
esplicitamente da P e da p di una Q aggiuntiva). Per questo mi
permetto di insistere che le funzioni generatrici, in questo contesto,
non sono funzioni legate alla varieta' ma alle coordinate. Un discorso
a parte va fatto per le funzioni generatrici di trasformazioni di contatto
che sono legate alla dinamica piu' che alla varieta'. Invece concordo
certamente circa la possibilita' di valutarle sulla varieta' sostituendo
i valori delle grandezze in termini di coordinate, anche se in questo
momento non ne percepisco l'utilita'.
> > Lo stesso Arnold considera poi una classe piu' generale di
> > trasformazioni chiamando in causa anche l'hamiltoniana, sono quelle
> > trasformazioni tali che esiste una funzione K ed una funzione S in
> > modo che:
> >
> > pdq -Hdt = PdQ -KdT + dS
> >
> > anche in questo caso rimangono escluse trasformazioni come un fattore
> > di scala non unitario su P e Q.
> Anche questo ho evitato di farlo, rispondendo a Giovanna, dato che lei
> parlava solo delle tr. can. "indip. dal tempo".
> Indubbiamente, anche se non si vuole trasformare t in T, la possibile
> dipendenza della trasf. da t e' necessaria, almeno per la teoria di
> Hamilton-Jacobi.
Beninteso la particolarita' che T puo' essere funzione di p,q,t e'
l'unica particolarita' aggiuntiva, per il resto le trasfrormazioni
da p,q a P, Q sono simplettiche. E lo stesso Arnold lo dimostra
in modo molto efficace passando per il differenziale esterno
delle due forme ed usando le equazioni di Hamilton:
dp ^ dq - (-p' dq ^ dt + q' dp ^dt ) = dq ^ dp
e lo stesso a secondo membro da cui dq ^ dp = dQ ^ dP.
> Gantmacher non lo conosco. Lo cerchero'.
> Insomma tutti russi: il "magnifico" ma confusionario Landau, come
> Arnol'd e Gantmacher che invece hanno idee chiare :-))
Gli italiani pero' non sono male, nelle eccellenze considerate.
> --
> Elio Fabri
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Received on Wed Nov 01 2006 - 00:34:30 CET