Diciamo anzitutto che Newton ha detto delle cose sagge.
La sua meccanica nel mondo quotidiano funziona. Penso che
possa essere un buon punto di partenza.
Anche Einstein pero' ha detto delle cose sagge. Ha
esaminato le equazioni di Maxwell, ha considerato invariante
la velocita' della luce, ha esaminato criticamente il metodo
di misura, ne ha dedotto saggiamente relazioni che gia' erano
state proposte.
Quindi la teoria della misura dello spazio e del tempo e la
geometria che ne consegue e' un buon punto di partenza.
Le trasformazioni di Lorentza Poincare' sono dunque un buon
punto di partenza.
Il problema dovrebbe essere adesso come estendiamo le
definizioni di Newton al caso di velocita' sostenute.
Ad esempio sappiamo gia' sperimentalmente con Abraham che
un elettrone accelerato da un campo elettrico E intenso
ed uniforme varia la sua velocita'. La carica dell'elettrone
era stata misurata con una certa accuratezza, la forza
su di esso agente era solidamente legata alla relazione e E,
quindi tutti sapevano, al tempo di Einstein, che l'elettrone
avrebbe dovuto accelerare con una accelerazione e E/m dove
m era una costante da determinare. La costante "e" era stata
anche determinata con una certa accuratezza (passatemi questa
inesattezza nella ricostruzione delle vicende effettive) studiando
il modo di gocce cariche.
E le masse delle gocce erano indirettamente misurabili e bhe,
obbedivano davvero all'equazione di Newton.
Non restava che misurare la massa del singolo elettrone.
Appena furono pronti i tubi catodici tutto era pronto per
l'impresa. Si comincia a studiare la deflessione. Dall'entita'
della deflessione di un pennello di elettroni si trova un
risultato curioso, curioso assai, cappero. La deflessione
dovrebbe essere data da:
k eE (L/v)^2 dove L e' la lunghezza del tubo, E il campo
trasversale applicato, e la carica dell'elettrone, v
la velocita' dell'elettrone. E k = 2/m. Ma al crescere
di v risultava che k aldila' di ogni legittimo dubbio
sperimentale variava.
Lorentz si mette al lavoro. La prima cosa che mette in
evidenza e' che le equazioni di Maxwell sarebbero
tali e quali se si assumesse una particolare struttura
di trasformazione. Quale?
ct' = c g t + b g x
x' = c b g t + g x
b e' v/c e g = sqrt(1-b^2).
Ma per piccole velocita' non dovrebbe cambiare granche'.
Ed infatti se disponiamo di un generatora di elettroni
e li filtriamo in base alla loro velocita' possiamo
andare a misurare quanti ne arrivano nell'unita' di
tempo se sappiamo quanti ne sono stati filtrati possiamo
sapere dall'intensita' della corrente che misuriamo
quanto sono stati accelerati. Bene si trova che questi
elettroni una massa ce l'hanno se solo non li acceleriamo
troppo e' ben misurabile.
Einstein, fa una ganzata pazzesca, esperimento ideale:
la luce l'e' costante non dipende dal riferimento deh.
Chi me l'ha detto? Oh bischeri che non l'avete letto
che Michelson ha fatto un esperimento fenomenale e
che non lo sapete che la luce dalle stelle arriva
sempre a modino come se la velocita' della luce fosse
indipendente dal riferimento. Oh come "e allora?"
Allora che si fa? Date retta a me l'e' invariante la
velocita' della luce.
Toh, e l'equazioni che si ricavano sono come quelle
trovate da Lorentz, sono proprio velle vi.
Non ci credete, ve lo dimostro in una prossima puntata,
ma intando credetemi.
Oh bene. Ma se un campo elettrico agisce sull'elettrone
mentre ci siamo in groppa che fara'?
cambiera'. E come? accelerando da fermo a v = t eE/m
Quella massa li' si misurava come detto.
Alla fine secondo Newton l'impulso sara' cresciuto
da zero a mv e l'energia cinetica sara' cresciuta
da zero a 1/2 mv^2.
Faremo un'ipotesi: che esista una grandezza
E(m,v) ed una grandezza c p(m,v) che sono di uguali
unita' di misura, Li definiamo in funzione delle
grandezze di riposo a questo modo:
E(m,v) = g E(m,0) + g b c P(m,0)
c P(m,v) = g b E(m,0) + g c P(m,0)
se li abbiamo definiti in questo modo risulta anche
che E(m,0)^2 - c^2 P(m,0)^2 = E(m,v)^2 - c^2 P(m,v)^2
Siccome l'impulso P(m,0) e' una grandezza vettoriale
essendo arbitraria la direzione degli assi coordinati
ed essendo sempre l'elettrone fermo allora P(m,0)=0
provare per credere: E(m,0) = m c^2
P(m,0)=0 il resto segue. E(m,v) = g E(m,0)
c P(m,v) = b g E(m,0).
Quindi l'impulso e' P(m,v) = m v g.
Esiste qualche altro modo per definire l'impulso e
l'energia?
Non e' ancora finita. Tutto questo sara' generalizzabile
nella relativita' generale. Bene e' questo lo stacco:
in relativita' generale si dovra' postulare un principio.
Il principio di equivalenza detto rozzissimamente ed in
modo inesatto, ma evocativo di riflessioni: gli esperimenti
condotti in riferimenti in caduta libera sono indistinguibili
gli uni dagli altri (l'inesattezza sta nel non considerare
le forze di marea a questo livello di discussione) l'espressione
esatta si acquisisce solamente con il calcolo differenziale
assoluto di Ricci Curbastro. Da qui seguendo i sottilissimi
ragionamenti di Einstein prendono forma le equazioni di Einstein
l'impulso e l'energia acquistano una nuova veste ed un nuovo
piu' generale ruolo.
E' solo in quell'ambito, da quello che ho capito, che
comincia a prendere spessore l'equivalenza massa
energia. Ma qui lascio la parola ad Elio Fabri che spero
di volermi correggere e di volere integrare inesattezze
e lacunosita' dell'argomentazione.
Occorre riconoscere ad onore del vero che gia' prima
della formulazione dell'equivalenza massa - energia
nella relativita' generale, si erano avuto indizi della
validita' di un principio di equivalenza. Per esempio
si era cominciato a ragionare sulla circostanza che
l'elettrone avesse una inerzia in virtu' del fatto che
generasse un campo elettrico... e se la memoria non
m'inganna la formuletta mc^2 aveva gia' fatto la sua
comparsa in lavori precedenti a quello di Lorentz...
Ed una volta tanto e' in Italia (in Umbria?) che,
se la memoria non m'inganna, si era vociferata, sottovoce,
come per a non voler svegliare le strida dei beoti,
che mc^2 fosse un'energia. Qualcuno puo' gentilmente
sopperire alla mia mancanza di fonti al riguardo?
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Received on Fri Apr 28 2006 - 23:57:18 CEST