Re: Lagrangiana e invarianza di scala

From: Elio Fabri <elio.fabri_at_fastwebnet.it>
Date: Mon, 23 Sep 2019 21:02:04 +0200

Per cominciare, mi sono procurato l'originale in francese.
Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.
E qui nasce un problema. Nel link dato da WT lo scritto di Poincaré è
datato 1897, ma nell'elenco delle pubblicazioni di quell'anno non l'ho
trovato.
Invece il testo francese riporta
"L'année psychologique. 1906 vol. 13. pp. 1-17;"
Capirete bene che fa molta differenza se datiamo l'articolo al 1897 o
al 1906...
Certe affermazioni, che avrei scusato nel 1897, se scritte nel 1906
significano che P. non aveva (ancora?) capito la relatività. Ma non
anticipiamo.

MM ha scritto:
> O stava parlando di sola geometria Euclidea, senza fisica? Non e'
> una sorta di imbroglio, dici?
E' difficile giudicare oggi.
Cose che ci sembrano ora assolutamente evidenti, non lo erano affatto
a quel tempo.
Ma è vero che ragiona sulla pura geometria. La fisica non c'è.
Anche se a un certo punto parla di misurare la distanza attraverso il
tempo di propagazione della luce.
Purtroppo non posso fare un decente riassunto. ma dopo la parte in cui
parla della variazione di scala di un fattore 1000 per tutte le
lunghezze, richiama la contrazione di Lorentz.
Che è ben peggio, perché non è una similitudine: si produce solo nella
direzione del moto.

L'esposizione che ne fa a mio avviso è del tutto insoddisfacente.
In primo luogo, appare presentarla (come forse pensava Lorentz) come
un fatto oggettivo: i corpi che sono in moto (moto reale) si
contraggono rispetto a quelli fermi.
Chi si muova insieme con quel corpo non se ne può accorgere, ma la
contrazione sembra essere reale e non relativa: qui P. *non dice* che
la contrazione c'è simmetricamente, anche se certo non poteva ignorare
che l'inversa di una trasf. di L. è ancora una trasf. di L., e che il
paradosso non si spiega se non si fa attenzione che anche la
simultaneità (che entra nella misura di lunghezza) dipende dal rif.

Poi fa prevalere il suo convenzionalismo: in realtà non possiamo saper
niente di questa contrazione, di quanto vale, perché la Terra gira
attorno al Sole, il Sole si nuove nella Galassia, questa si muove a
velocità sconosciuta.
Scrive proprio: "la velocità vera non c'è modo di conoscerla".
Non dice mai che il problema si risolve ricordando che la velocità è
concetto *relativo*: ha senso solo parlare di velocità rispetto a un
dato sistema di riferimento. (Il termine "sistema di riferimento" non
appare mai). Non c'è nessuna "velocità vera", il problema non esiste.
Tutti i rif. inerziali sono equivalenti.

E' possibile che P. non avesse capito questo nel 1906?
(Incidentalmente, nomina Fitzgerald e Lorentz, non nomina Einstein.
Quindi forse il discorso è del 1897 ma è stato pubblicato solo nel
1906? Ma si poteva pubblcarlo senza una correzione, una nota
esplicativa?)

Però dopo un po' scrive:
"Mais si un jour une fenetre nous est ouverte sur l'univers B, nous
les prendrons en pitié : «Les malheureux, dirons-nous, ils croient
avoir fait une géométrie, mais ce qu'ils appellent ainsi n'est
qu'une image grotesque de la notre; leurs droites sont toutes
tortues, leurs cercles sont bossus, leurs sphères ont de capricieuses
inégalités.» Et nous ne nous douterons pas qu'ils en disent autant
de nous, et qu'on ne saura jamais qui a raison."

Traduco solo la parte finale:
"Noi [nell'universo A] non avremo dubbi che loro [nell'universo B]
dicono lo stesso di noi, e che non si saprà mai chi ha ragione."

Sempre sulla contrazione di Lorentz, c'è un'altra affermazione
convenzionalista, che non credo si possa condividere.
P. scrive che Lorentz avrebbe potuto benissimo fare a meno
dell'invarianza della velocità della luce, e allora la contrazione non
ci sarebbe stata.
Non posso spiegare meglio (a mio parere qui P. non imbroglia, solo fa
delle affermazioni infondate, insomma sbaglia.)

E' tipico del convenzionalismo asserire che uno può fare le teorie
come gli pare, col solo obbligo (ovvio) di far tornare i fatti.
Ma dove i convenzionalisti secondo me cadono in fallo è che non fanno
*mai* vedere come sarebbe fatta una teoria alternativa.
Nel caso specifico: salvare le eq. di Maxwell in due diversi rif.
senza imporre l'invarianza di c.
Questo direi che sia impossibile, visto che dalle eq. di Maxwell
valore e isotropia di c *seguono* (l'aveva dimostrato Maxwell).

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Ma torniamo all'invarianza di scala alla Poincaré.

Giorgio Pastore ha scritto:
> E quindi credo che stesse parlando di una cosa diversa. Tutte le
> lunghezze scalano di un fattore a, inclusa l'unità di lunghezza. Che
> è cosa diversa dalle considerazioni di Galilei sugli effetti di
> aumentare le sole dimensioni lineari di oggetti o animali a unità di
> lunghezza fissata.
Io la differenza non la vedo. O meglio non credo che sia lì.
G. non si cura di unità di lunghezza: mostra che non si può avere un
animale tre volte più grande con le ossa scalate per similitudine, e lo
stesso per una costruzione, ecc.
Chiaro che G. fa un'ipotesi senza enunciarla: che tutte le proprieta
della materia di cui sono fatti quegli animali siano le stesse
(densità, carico di rottura ...)
Allora succede che l'animale tre volte più grande ha un peso 27 volte
maggiore, ma la resistenza delle ossa (che assume proporz. alla sezione)
cresce solo di 9 volte.

G. ragiona di fisica, tenendo i piedi ben saldi in terra. Invece P.
non voglio dire che ragioni da matematico, perché non voglio offendere
la categoria. Ma certo sta nelle nuvole.

Infatti non ci dice niente su tante cose non trascurabili.
Che ne sarà delle dimensioni della Terra?
Ragionevole supporre che anch'esse crescano di 1000 volte, altrimenti
basterebbe la geometria per accorgersi che qualcosa è cambiato.
E della massa della Terra, quindi della gravità, che diciamo?
Due ipotesi potremmo fare:
1) La massa non cambia. Allora g diventa 10^6 volte minore.
2) Non cambia la densità. Allora g si moltiplica per 10.

Ora facciamo cadere la solita palla di Galileo dalla solita Torre:
quanto tempo impiega?
Dato che t = sqrt(2h/g), nella prima ipotesi t cresce di un fattore
32000, nella seconda cresce solo di un fattore 10.
In ogni caso cresce e ce ne potremmo accorgere.

Potremmo davvero? Dobbiamo pensare all'orologio che usiamo!
Se usiamo un orologio a pendolo, il suo periodo nella prima ipotesi
cresce di un fattore 32000, nella seconda solo di un fattore 10.
Il tempo di caduta, misurato in periodi del pendolo, rimane sempre lo
stesso.

E' strano che P. non abbia pensato questo, visto che la meccanica
celeste e il problema dei tre corpi erano suoi ferri del mestiere...

Ma potremmo usare un orologio a molla, come quello che P. avrà avuto
nel taschino del gilet.
Però qui ci manca qualcosa: il periodo del bilanciere dipende
a) da massa e dimensioni di questo
b) da dimensioni e modulo di elasticità della molla.
E qui mi fermo...
Volevo solo mostrarvi che le argomentazioni di P. sono troppo
superficiali, forse anche per i suoi tempi.

Se ci mettiamo sulla strada delle trasf. di scala andiamo a sbattere
contro altri problemi, di cui P. non sapeva nulla, ma noi sì: che fare
delle costanti fondamentali?
Mi limito al lanciare il sasso :-)

**************************

Però prima di chiudere voglio toccare un altro tema, sempre sulle
trasf. di scala.
C'è un ben noto teorema circa le trasf. di scala in ambito di
meccanica gravitazionale.

Dice questo: se cambiamo le lunghezze di un fattore a, le masse di un
fattore b, i tempi di un fattore c, tutti i moti rimangono invariati a
condizione che sia

a^3 = b c^2.

In particolare, se c=1 (tempi invariati) deve essere a^3 = b quindi
densità costanti.
(Lascio al lettore la dimostrazione, che non è difficile: basta
partire da F=ma.)

Questo teorema ha una conseguenza pratica: se le osserv. astronomiche
consistono solo di misure di angoli e tempi, non è possibile
determianre masse e distanze, ma solo rapporti del tipo M/R^3.
Due sistemi solari in cui i rapporti delle masse fossero uguali a
quelli delle distanze al cubo, sarebbero osservativamente
indistinguibili.

> Se scalo lo spazio di un oscillatore armonico classico, sai che L non
> resta invariante.
Certo. Ma nel caso gravitazionale?
Se i moti sono gli stessi (coi dovuti fattori di scala) che ne è della
lagrangiana? Chiaramente scala con b^2/a.
Eh già: se la lagrangiana cambia per un fattore costante, lo stesso
accade per le eq. di Lagrange, col che il fattore si cancella e le eq.
restano le stesse.
Come la mettiamo? :-)
                                                           
              
-- 
Elio Fabri
Received on Mon Sep 23 2019 - 21:02:04 CEST

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