Wakinian Tanka ha scritto:
> Metto uno accanto all'altro due oggetti: un orologio, A, ed un pezzo
> di metallo, B, nel vuoto.
Giorgio Pastore ha scritto:
> Io direi che A è un orologio e B, fintantoché non vedo cambiamenti, no.
Vedo che la discussione continua (e questi non sono gli ultimi post)
in una direzione che non sono interessato a seguire.
Vedo anche che i miei interventi non sono stati neppure presi in
considerazione (temo in realtà che non li abbiate capiti).
Incidentalmente, Giorgio, ti ringrazio per l'articolo di Jammer, anche
se dopo averlo letto dico che mi riesce inutile se non per il fattto
che conferma la mia critica di mezzo secolo fa.
A me non interessa sapere quello che pensavano Plotino, Agostino,
Maimonide. Al limite mi può interessare per capire quali strade
faticose e tortuose può prendere il pensiero umano, quando adotta la
scelta di parlare di ciò che non si può capire.
> E tutto sommato [l'articolo] risponde in parte proprio alla tua
> posizione di "vedere come è stato usato".
Ma neanche per sogno! Io intendo tutt'altro!
Per es. quello che ne trae Newton.
A questo proposito, la critica di Mach è aguzza quanto sterile.
Non ne è venuto niente che facesse avanzare la fisica.
(E non mi dire che Einstein si è ispirato a Mach...)
Peccato, per inciso, che nella "Meccanica" di Mach non ci sia una
parola (se non sbaglio) sulla questione delle due masse, inerziale e
gravitazionale.
Forse perché di questo Newton non era colpevole?
Comunque non voglio insistere su questo aspetto della questione: che
cosa ha detto quello, come lo ha criticato quell'altro...
Farò invece un altro (ultimo?) tentativo per spiegare dove e perché
non condivido il vostro approccio (anche se avete idee diverse, è il
terreno comune che avete scelto, che non mi piace).
Quando dico "come il tempo viene usato dai fisici" intendo una cosa
precisa, che cerco di spiegare con esempi.
Esempi antichi, di persone che non avevano ancora la consapevolezza
dell'approccio epistemologico che oggi mi pare naturale anche grazie a
loro.
Galileo nei "Discorsi" studia il moto uniforme e quello uniform.
accelerato, in un primo tempo dal punto di vista matematico.
Dopo numerosi teoremi, arriva l'obiezione di Simplicio:
===========================Simp. Io veramente ho preso più gusto in questo semplice e chiaro
discorso del Sig. Sagredo, che nella per me più oscura dimostrazione
dell'Autore; sì che io resto assai ben capace che il negozio deva
succeder così, posta e ricevuta la definizione del moto uniformemente
accelerato. Ma se tale sia poi l'accelerazione della quale si serve la
natura nel moto de i suoi gravi descendenti, io per ancora ne resto
dubbioso; e però, per intelligenza mia e di altri simili a me, parmi
che sarebbe stato opportuno in questo luogo arrecar qualche esperienza
di quelle che si è detto esservene molte, che in diversi casi
s'accordano con le conclusioni dimostrate.
==========================E' chiarissimo (e modernissimo) l'approccio di G.: prima sviluppiamo
uno schema matematico, basato su assiomi, definizioni, teoremi.
Poi ci chiediamo se questa teoria corrisponda ai fenomeni.
Nel far ciò dovremo tradurre i termini del discorso teorico in
operazioni, concetti, strumenti della fisica sperimentale.
Il tempo sta tra questi.
Segue il famosissimo brano che inizia
"In un regolo, o vogliàn dir corrente, di legno, lungo circa 12
braccia"
dove descrive i suoi esperimenti sul moto lungo un piano inclinato.
Più oltre si legge:
===========================Quanto poi alla misura del tempo, si teneva una gran secchia piena
d'acqua, attaccata in alto, la quale per un sottil cannellino,
saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d'acqua, che s'andava
ricevendo con un piccol bicchiero per tutto 'l tempo che la palla
scendeva nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell'acqua,
in tal guisa raccolte, s'andavano di volta in volta con esattissima
bilancia pesando, dandoci le differenze e proporzioni de i pesi loro
le differenze e proporzioni de i tempi; e questo con tal giustezza,
che, come ho detto, tali operazioni, molte e molte volte replicate,
già mai non differivano d'un notabil momento.
==========================Come si vede, qui G. usa un "orologio ad acqua".
A titolo di curiosità, è anche interessante notare l'ultima parola:
"momento" inteso nel senso generico di "quantità".
Un secondo esempio, sempre di G., è molto più indiretto.
Riguarda il moto dei satelliti di Giove, descritto nel "Sidereus
Nuncius".
Come Giorgio ricorderà, perché era presente alla mia lezione ai
ragazzi del Liceo "Galilei" a Trieste nel 1910, dalle misure di G. si
ricavano i seguenti dati su periodi e raggi orbitali:
Periodi Raggi
(giorni) (unità arb.)
16.667 35.97
7.131 22.09
3.551 14.33
1.770 9.15
se calcoliamo T^2/R^3 troviamo
0.00597 0.00418 0.00429 0.00409
C'è un evidente discrepanza nel primo risultato, che corrisponde a uno
scostamento (che già conoscevo) del raggio di Callisto dal dato
moderno. Non ne so dare una spiegazione.
A parte questo, per gli altri tre satelliti la verifica della terza
legge di Keplero è soddisfacente.
Vediamo che cosa ciò significa per la presente discussione.
G. pubblica nel "Sidereus Nuncius" (1610) le sue osservazioni sui
satelliti di Giove.
Fornisce le posizioni e *i tempi*, ottenuti con qualche orologio, di
cui non dice niente.
Non riesce a ricavare i periodi: i dati qui sopra sono elaborazioni
moderne sulle sue misure.
Comunque la terza legge è pubblicata da Keplero solo nel 1619.
Nè G. né Keplero si pongono (credo) il poblema di che cosa sia il tempo
di cui parlano.
Ritengo sia per loro sottinteso che si tratta di un tempo
"universale", che sta sotto tutti i fenomeni e movimenti.
Newton nei "Principia" deduce le leggi di Keplero dalla sua teoria.
Nei "Principia" il libro primo sviluppa le conseguenze matematiche
degli assiomi.
Il terzo libro ("Sistema del Mondo") applica quei teoremi al sistema
solare.
Comincia proprio coi satelliti di Giove, passa poi a quelli di Saturno
e infine ai pianeti.
Ciò che qui interessa è che per far questo deve usare da un lato la
teoria, basata tra l'altro sul tempo assoluto ("matematico [che con
altro nome è chiamato 'durata'"). Ma dall'altro deve basarsi sulle
misure fatte dagli astronomi, che hanno usato i propri orologi,
diversi dall'uno all'altro, e che segnano quelli che N. ha chiamato
"[tempo] relativo, apparente e volgare, [...] misura (esatta o
inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che
comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tsli sono l'ora,
il giorno il mese, l'anno."
Va da sé che non condivido il disprezzo che N. ostenta verso il tempo
relativo. Del resto lui stesso si contraddice nel terzo libro: le
verifiche della sua teoria non possono essere fatte altro che col tempo
"volgare".
Ciò che si deve sottolineare è che quei tempi "volgari" non solo
sembrano concordare col tempo assoluto (questo per definizione non si
può dimostrare) ma oggettivamente concordano tra loro: questo è
dimostrabile dalle diverse osservazioni dello stesso fenomeno
astronomico. Ma questa concordanza sarebbe inspiegabile se *sotto* a
tutti quei tempi non ci fosse un sostrato comune, che una posizione
rigidamente operazionista non può né spegare né accettare.
Sapete già come io vedo tutta la questione.
Esiste una teoria, che non può non avere una base matematica, più o
meno rigorosamente assiomatica.
Poi esiste il mondo reale, col quale la teoria deve confrontarsi.
Ciò richiede che vengano individuati e definiti dei "fili di
collegamento", che ci dicano per ciascun elemento della teoria
quale/quali elementi della realtà dobbiamo fargli corrispondere.
Nel caso del tempo della teoria (quello assoluto di N.) i fili
collegano quel tempo con gli orologi.
Con termine più sofisticato i fili verranno chiamati "regole
d'interpretazione". Non è necessario che ce ne siano per tutti i
termini della teoria: di questo si era accorto già Bridgman.
Ma sono necessari, e sono epistemologicmente distinti dagli assiomi
della teoria.
Ancora un'osservazione.
I fili possono cambiare nel tempo, con lo sviluppo delle conoscenze e
della tecnica.
Nel Q16, a pag.1-16, si racconta brevemente la storia della
transizione da TE a TA. Si sottolinea che nel 1967
"l'astronomia ha perso il privilegio, che aveva da millenni, della
determinazione del tempo, e il tempo è diventato ormai un affare di
fisici ed elettronici, con gli orologi atomici."
e poco più oltre (pag. 16) trovate:
"Concludo il discorso sulla storia del tempo con un problema aperto:
TA = TE? Visto che dal '67 il campione di tempo è il TA, nasce il
problema: ma TE e TA sono lo stesso tempo? Che è un altro modo di
porre la domanda di prima: il TE fornisce un orologio uniforme?
Ammesso che quello atomico lo sia, i due orologi vanno d'accordo?"
In concreto, visto che il TE era basato sul moto dei pianeti, la
domanda è: la variabile t che figura nelle leggi del moto e nella
gravitazione, è la stessa che compare nelle leggi che determinano il
funzionamento degli atomi?
Questo non è logicamente necessario: la risposta potrebbe essere
negativa.
Al tempo in cui tenni quel corso da cui sarebbe nato il Q16 (2000)
tutte le ricerche fatte non avevano mostrato differenze rilevabili.
Non so che cosa sia successo nei 20 anni trascorsi, ma scommetto che
se fosse venuto fuori qualcosa di nuovo l'avremmo letto sui giornali,
anche se detto chissà come.
Quindi a tutt'oggi TA=TE. Ma come si spiega questo?
Mi pare che non possiate eludere un tentativo di risposta...
--
Elio Fabri
Received on Mon Dec 30 2019 - 16:59:32 CET