Continuo dal mio post del 25, ore 18;16.
Implicitamente risponderò ad alcuni post che sono stati scritti dopo
del mio.
A questo punto bisogna trovare la risposta alla domanda: che cos'è la
tensione in un filo?
Due osservazioni di partenza. La prima è che per rispondere conviene
affrontare il problema 3D, che poi si potrà ridurre facilmente a una
sola dimensione.
La seconda è che bisogna chiarire una certa mescolanza tra due punti
di vista diversi:
- quello microscopico
- quello macroscopico dei sistemi continui.
La difficoltà attraversa un po' tutta la fisica, il che mi permette di
esemplificare in un campo più familiare a tutti: quello
elettromagnetico.
Sappiamo che quando si tratta l'elettromagnetismo nella materia, anche
per il caso più semplice della conduzione elettrica nei solidi,
convivono due visioni, entrambe utili e talvolta necessarie, ma a
rigore incompatibili tra loro.
Una, la più antica, consiste in un modello *continuo* della materia e
della carica elettrica: la carica è un *fluido* e al suo moto si
applicano gli stessi concetti in uso per la meccanica dei fluidi.
Dove del resto nasce lo stesso problema: un liquido o un gas sono fatti
di *molecole discrete*, ma la meccanica dei fluidi lavora con funzioni
continue (anzi differenziabili più volte) dello spazio e del tempo.
Lo stesso accade alla carica elettrica: in un metallo il trasporto
della carica è dovuto al moto degli elettroni, ma la teoria di Maxwell
introduce campi scalari e vettoriali ignorando quelle entità discrete.
Si definisce una densità di carica e una densità di corrente; già
l'eq. di continuità connette le derivate di queste grandezze, e gli
elettroni *non ci sono*.
La giustificazione è prima di tutto storica (ma non solo): la teoria
basata sul fluido e sui campi (elettrico e magnetico) è nata ed è
giunta a maturità ben prima che si scoprisse l'elettrone.
Fu Lorentz, a cavallo tra 19-mo e 20-mo secolo, a cercare di costruire
un raccordo, in cui le grandezze continue figuravano (figurano) come
opportune *medie* delle distribuzioni corpuscolari.
Venendo al nostro caso, se si schematizza un filo come una successione
di punti materiali potremo parlare di coppie azione/reazione tra
questi punti.
Anche per un corpo reale, tridimensionale, avremo un insieme di atomi
o molecole che esercitano forze tra loro (microscopiche) in pratica
solo tra particelle adiacenti.
Dato che le distanze interatomiche sono assai piccole (dell'ordine
della frazione di nm in solidi e liquidi, non molto maggiori nei gas)
su una scala un po' più grande potremo definire delle medie che
tratteremo come funzioni continue e differenziabili quanto occorre.
Come fisici useremo degli "infinitesimi" che sono in realtà lunghezze,
aree, volumi molto piccoli rispetto alla scala macroscopica ma ancora
molto grandi rispetto alla scala atomica.
Così ad es. potremo considerare due porzioni A, B tra loro adiacenti
di un corpo, separate da una superficie regolare, e ridurre l'insieme
delle forze microscopiche agenti fra le due porzioni a una
distribuzione continua di "forze di contatto". Potremo esprimere
questa come una densità superficiale di forza: per ogni elemento dS
della superficie di separazione sarà definita una forza "infinitesima"
dF, dipendente dall'area dS e dal suo orientamento definito dal
versore n della normale, diretta a A a B.
dF(n,dS) è la forza infinitesima che A applica a B attraverso dS.
E' ovvio (mica tanto, se si vuol essere rigorosi dal punto di vista
matematico) che dF sia proporzionale a dS. Non è detto in generale che
dF abbia la direzione di n, ma si può dimostrare (Cauchy) che la
relazione tra dF e n è *lineare*.
Il significato preciso di "lineare" è il seguente.
Consideriamo un punto P e due elementi di superficie dS1, dS2 per P,
coi loro versori normali n1, n2. Siano dF1, dF2 le corrispondenti
forze.
Prendiamo ora il vettore n1 dS1 + n2 dS2: questo può sempre essere
scritto n dS e rappresenta quindi un elemento dS con normale n.
Avremo un corrispondente dF: linearità significa
dF = dF1 + dF2
qualunque siano n1, dS1, n2, dS2.
Questo è un caso particolare della seguente situazione matematica:
dato uno spazio vettoriale V, si chiama *tensore* (di rango (1,1)) una
funzione (operatore) lineare V --> V che manda un vettore u di V in un
altro v, con la proprietà che se
u1 |--> v1 e u2 |--> v2
allora presi due scalari a1, a2 sarà anche
a1 u1 + a2 u2 |--> a1 v1 + a2 v2.
Indicheremo con T il tensore che manda n dS in dF e scriveremo
dF = (T n) dS.
T si chiama il "tensore degli sforzi" (stress tensor).
Vale un corollario del teorema di Cauchy, noto come "osservazione di
Cauchy":
"se T n in un punto P è parallelo a n per ogni n, allora |T n| non
dipende da n, ossia Tn = pn con p costante in P per ogni n".
Se p>0 si chiama "pressione", se p<0 invece |p| si chiama "tensione".
Nota storica e conclusiva di questa puntata: tutto questo ai miei
tempi (1948-49) si studiava a Meccanica Razionale, corso del secondo
anno. Ora non so.
Il seguito ala prossima puntata.
Mi scuso se non riesco a essere più breve, ma così stanno le cose...
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Elio Fabri
Received on Tue Jan 28 2020 - 20:42:53 CET