Re: Per il Prof. Fabri

From: Gianmarco Bramanti <gianmarco100_at_inwind.it>
Date: Fri, 6 Aug 2004 17:15:57 +0000 (UTC)

"nessuno" <depositofiles_at_katamail.com> wrote in message
news:SBoQc.75066$OR2.4257608_at_news3.tin.it

> Mi scuso per il Subject anti-Netiquette
>
> Ho incontrato di nuovo quel laureando in Fisica che l'altra volta mi chiar�
> tanto le idee e si guadagn� da te la considerazioe di essere "abbastanza
> preparato":
>
> Gli ho posto un mare di domande ed ho appuntato le risposte.
>
> Se lui ha detto cose giuste (e la conferma la chiedo a te ed agli altri
> utenti di isf) � evidente che io ero mille miglia lontano dalla
> possibilit� di capire quello che tu mi scrivevi qui.
>
> Ecco in breve il discorso di questo "tutor", fan di Feynman
>
>
> Il fotone � una entit� fisica. Non ha nessun senso riferirsi ad esso n� come
> particella n� come onda, visto che queste sono categorie applicabili ad
> oggetti macroscopici. Ad es. nell'esperimento degli elettroni sparati contro
> le due fenditure, diciamo che l'elettrone arriva in "blocco" sul rivelatore,
> ma che la distribuzione di probabilit� di arrivo di essi sul pannello
> d'arresto va come la intensit� di un unda che � passata per le due
> fenditure, subendo diffrazione, interferenza, ecc ecc. IN questo senso non
> facciamo
> altro che prendere delle cose che succedono nel mondo macrsocopico
> (pallottole ed onde d'acqua) ed applicarle ad una scala a cui essi non
> significano molto. Quindi il fotone, il protone, l'elettrone, ecc. non sono
> piccole pallottole n� piccole onde d'acqua: sono semplicemente fotoni,
> protoni, elettroni, ecc. Quindi il fotone *non* � una particella, *non* �
> un'onda, *non* � neppure tutte e due le cose assieme o ora una ed ora
> l'altra. E' una "cosa" che a volte si comporta come onda ed a volte come
> particella, pur essendo tutt'altro. IN realt� quanto appena detto vale
> paradossalmente anche per "particelle" come elettroni, protoni, ecc. Ed a
> rigore anche per pallottole, libri ed elefanti

Dice Feynmann: non abbiamo alcuna possibilita'
di stabilire la veridicita' di questa affermazione per oggetti
di massa superiore a 10^-5 grammi, che sarebbe la massa di Planck.
Questo specie se risultasse vero che la gravita' non ammette
quantizzazione. Questa scuola di pensiero non era ne' incoraggiata
ne' scoraggiata da Feynmann. Lavoro' a lungo sulla quantizzazione
della gravita' e trovo' delle difficolta' come tutti. Ad ogni modo
non ci sono noti oggetti elementari con masse di 10^-5 grammi,
il piu' pesante oggetto rilevato ha una massa, rilevata
nel 1995 di 175 Gev +/- (adesso non ricordo l'incertezza), mentre
la massa misurata oggi e' di 178+/-4.5 Gev. Significa comunque
un ordine di 10^(-28)g. Allora quel che dice il tuo tutor rimane
valido. Perche' pallottole, libri ed elefenti sono oggetti
composti, la storia, diventa pero' piu' complessa, perche' gli
oggetti composti possono essere descritti come particelle solo
nella misura in cui la loro struttura interna e' relativamente
fissa. Altrimenti la loro descrizione richiede l'opportuna
considerazione dei gradi di liberta' strutturale.


> Il fotone � un quanto di energia elettromagentica. Viaggia alla velocit�
> della luce. Non ha massa, non ha dimensioni, non ha densit� e non ha forma.
> E' un quanto di energia e.m. che viaggia nello spazio.

Sia pure, pero' a me questa spiegazione fa sorgere una domanda:
cosa e' un quanto? Questa osservazione e' corretta nell'ambito
della teoria dei quanti appena dopo Planck, non piu' nella teoria
dei campi quantistici, nella teoria dei campi quantistici esistono
gli operatori elettromagnetici, che sono costruiti a partire dalla
quantizzazione della lagrangiana dell'elettromagnetismo, il
sistema di Maxwell-Dirac, teoria incompleta peraltro, difficile
da applicare a particelle composte di tipo bosonico, ad esempio.

Il mio personalissimo punto di vista e' che si puo' parlare di
quanti di luce solo in riferimento a processi di emissione ed
assorbimento ottici, nella generalita' dei casi uno stato
associato ad un processo fisico con un continuo di stati
accessibili si guarda bene dal produrre stati ad un fotone.

Ne occorrono infiniti, nello schema della qed basta una infinita'
numerabile, come base, ma questa infinita' numerabile puo' essere
combinata in modo continuo.

Non voglio fare del terrorismo psicologico, quello che voglio
dire e' che con gli strumenti della teoria dei campi quantistici
si riesce a rispondere a molte domande sul cosa capita quando
un sistema concreto, come un atomo, un cristallo, una molecola,
il fascio di un tubo catodico incidente su dei microfosfori,
producono luce. La produzione di luce e la misurazione sono
prevedibili entro questo schema, ed in che termini, mi chiederai:
campo, particelle, onde?

La risposta e': operatori di Heisenberg indicizzati
con la posizione, che seguono una dinamica tratta dalla quantizzazione
delle equazioni di Maxwell e dalla quantizzazione della dinamica
degli spinori, e' la risposta parziale: campi ondulatori
quantizzati, e' una risposta piu' pertinente e generale. Sono tre
concetti che arrivano da contesti differenti e che trovano una
sintesi nella teoria quantistica.

Campo: ovvero una funzione che ad ogni punto dello spazio associa
una grandezza numerica questa la definizione originaria, con qualche
emendamento al concetto di numero, De Witt ha tentato di conservare
questa nozione, ma il modo piu' semplice di esprimersi e' di evitare
incertezze e dire: una funzione che ad ogni punto dello spazio associa
un operatore che agisce su uno spazio di Hilbert.

Ondulatorio: ovvero il campo obbedisce un'equazione d'onda, nella
fattispecie ci si riferisce al sistema di Maxwell Dirac.

Quantizzato: gli operatori e gli operatori coniugati sono vincolati
ad obbedire alle regole di quantizzazione di Dirac Heisenberg.

Da questi campi quantizzati e' possibile costruire, con opportuni
accorgimenti le ampiezze di probabilita' a cui si riferisce
il nostro bravo tutor. Cosa sono queste ampiezze? Sono ampiezze
di probabilita' di misure effettivamente realizzabili o immaginabili,
elementi di matrice fra stati asintotici assegnati dalla specificazione
della misura desiderata, di un propagatore.

Questi elementi di matrice si esprimono per mezzo di integrali
fra lo stato che descrive il sistema che emette luce e lo stato
che descrive il sistema che assorbe luce, esistono delle proprieta'
che rendono spesso superflue le indicazioni di dettaglio di
questi stati specie per quanto riguarda il sistema che assorbe
luce.

Un tipico esempio di ampiezza che si calcola utilizzando
gli operatori quantistici e' l'ampiezza di probabilita' che
un atomo emetta luce, e come ti ho scritto in un'altra risposta
questa probabilita' ha la forma di un campo di ampiezza di
probabilita'.

> Come rappresentarlo? Cos�:
>
> Un pacchetto d'onde 3d che per semplicit� considereremo ad estensione 1D, di
> lunghezza Delta(x); una regione dello spazio (della retta in 1D) in cui al
> tempo t c'� una probabilit� non nulla di rivelare la presenza del fotone (o
> elettrone, ecc).

Esattamente questa alternativa. Pero' la QED permette maggior
dettaglio, in particolare permette di andare in maggior dettaglio
e valutare la probabilita' di osservare, ad esempio, un certo
stato di polarizzazione, ammesso di possedere uno strumento capace
di questo tipo di misura, oppure un certo numero di fotoni di un
tipo definito, ammesso di possedere uno strumento capace di contarli.
In rappresentazione di Heisenberg gli operatori di campo obbediscono
alle equazioni di Maxwell, lo stato del sistema e' il depositario
della informazione, nei casi in cui puoi disaccoppiare lo stato
elettromagnetico dallo stato delle sorgenti, perche' stati considerando
un grande numero di misure nel campione statistico a cui riferirai i
risultati, in questo caso dicevo puoi studiare, il valore delle
ampiezze come se obbedissero a particolari equazioni la cui
specificita' dipende in generale dal setting di misure. Cio' che non
dipende dal set di misure e' l'evoluzione dinamica degli operatori,
ammesso che sia possibile disaccoppiare le sorgenti.

Nel tempo questa regione di spazio si muove e pu� anche
> cambiar forma ed estensione. Quindi diremo che la funzione che esprime la
> probabilit� di trovare al tempo t nello spazio il fotone � del tipo
> psi(x,y,z,t) o nella nosra semplificazione 1D psi(x,t). In realt� la
> probabilit� � legata al quadrato dell'ampiezza psi di quest'onda nel punto
> (x,y,z) al tempo t.

Non e' necessario pensare al movimento della regione di spazio,
e' sufficiente pensare all'evoluzione nel tempo dell'ampiezza
di probabilita', questa a sua volta individua regioni spaziali
che cambiano nel tempo, ad esempio puoi disegnare, nota l'ampiezza
di probabilita', i punti per i quali il modulo quadro di osservare
un fotone supera una soglia minima. Secondo della geometria delle
sorgenti troverai una grande varieta' di situazioni, in quelle
situazioni piu' macroscopiche, ma a volte anche per situazioni
piu' strettamente "quantistiche" sono guida orientativa i
proprio i risultati classici dell'ottica.

> La freq. di un pachetto d'onde non � univoca. Trasformando con Fourier il
> pacchetto d'onde (funzione dello spazio e del tempo) avremo il suo dominio
> delle freq. e quindi il suo spettro.
> Lo spettro del pacchetto � anche lo spettro dell'energie possibili per il
> fotone (o meglio quantit� di moto), ognuna con un probabilit� defint�.

No. Questa e' una confusione che ti trascini dietro gia' dal contesto
classico. Ripeto: un conto e' la trasformata di Fourier dell'ampiezza
di campo, un altro conto e' la trasformata di Fourier della densita'
di energia o del flusso di energia. I due conti sono connessi dal
teorema di Wiener Kintchine e da altre semplificazioni specifiche
che derivano dalle medie e dalla struttura Maxwelliana. La situazione
classica e' che devi fare la trasformata di Fourier di E^2+B^2
(a meno di importantissime costanti da andare a valutare di volta
in volta secondo il sistema di unita' di misure adottato) e che
questo di per se non e' ancora lo spettro occorre fare delle medie
spaziali e temporali. Oppure mediare gli operatori sugli stati,
in questo caso puoi avere a che fare non con un singolo fotone,
ma con l'effetto di stati a piu' fotoni sulle misure.

> I pacchetti d'onde non sono statici, ma mutano di dimensione (che in realt�
> � la regione di spazio entro la quale la pprobabilit� di trovare il fotone �
> non nulla) e di spettro. Ad esempio un elettrone che passa attraverso un
> foro o un fotone che attraversa un prisma o che viene rivelato da un
> rivelatore, vedr� la sua funzione d'onda mutare nel tempo e nello spazio.

In accordo con l'equazione di Dirac.

> Non � importante sapere cosa succede tra una emissione del fotone e la sua
> rivelazione: � importante che se riveliamo il fotone e/o ne misuriamo
> l'energia, troveremo che l'incertezza circa la sua quantit� di moto e quella
> relativa alla sua posizione devono rispettare la relazione di
> indeterminazione. E se aumentiamo la precisione di misura di una delle due
> grandezze, riduciamo proporzionalmente quella dell'altra.

No, al contrario, e' importante sapere se succede qualcosa fra
una emissione e la sua rivelazione, ad esempio e' importante
sapere se fra la sorgente ed il rivelatore hai messo un
altro rivelatore, un atomo isolato, un poco di polvere,
del gel, della colla, oppure un pezzo di legno. Questo pero' e'
cosi' ovvio che interpreto che tu o il bravo tutor, se hai riferito
correttamente il suo pensiero, volessi dire che non importa
se devi rinunciare ad ogni informazione circa i valori assunti
da eventuali osservabili intermedi, perche' se andassi a
misurare gli stati in tempo di volo altereresti lo stato finale.

> La misurazione interferisce con il pacchetto d'onda, mutandone dimensioni e
> "forma": tuttavia non bisogna cadere nel tranello di chi crede che sia
> necessario un osservatore senziente perch� avvenga ci�: sono caratteristiche
> che prescindono dalla conoscenza umana; sono caratteristiche intrinseche
> delle osservabili quantistiche. In effetti sono molteplici e differenti le
> diverse intepretazioni del fenomeno e spesso sono ispirate da "filosofie"
> varie (antropocentrismo, ad. es). La nostra � una posizione minima, che si
> attiene ai fatti e non specula su cose come "cosa sia la realt� del fotone",
> "cosa sia l'elettrone mentre esiste per i fatti suoi prima di essere
> rivelato", ecc.

Quello che sappiamo e' ad una scala talmente macroscopica rispetto
al livello atomico, che sapere prevedere cosa succede con schemi "di
fortuna" sviluppati a questo nostro livello umano di conoscenza ha
del miracoloso, di questo strano miracolo non finiro' mai di
stupirmi, senza ritenere con questo di sapere cosa sia un elettrone,
oltreche' un'invenzione della nostra fantasia avallata da dati
sensibili misurati (per molti da altri) in laboratorio e da un
quadro ipotetico deduttivo che usa strumenti avanzati di conoscenza
matematica.

Io ho avuto la fortuna di osservare raggi cosmici e di distinguere
diversi tipi di evento in laboratorio didattico, e per me quello che
erano dei click, e le foto di tracce in camere a bolle, non poteva
essere
distinto dall'ignoranza e dal desiderio di farmi piccolo piccolo
piccolo,
quanto una particella per capire cosa fossero, ma questo non e'
possibile
ed allora mi accontentavo di sapere misurare la carica, o sapere che
era possibile, la velocita', etc... Figurarsi la meraviglia quando
al corso di fisica teorica mi spiegarono che quelle particelle erano
state classificate, inquadrate in uno schema unitario, che si conosceva
per molte di loro la genesi, che si prevedevano cose molto piu'
elaborate rispetto a quello che gli strumenti che la mia universita'
mi aveva prestato riusciva a risolvere.


> ATTENZIONE! Non bisogna confondere la funzione d'onda con un pezzo di campo
> e.m. Non bisogna neanche pensare che essa sia quell'onda che vediamo subire
> diffrazione nel passaggio di un fotone attraverso una fenditure. E' un'onda
> diversa. Che ha la caratteristica che se elevata al quadrato d� una misura
> della probabilit� di trovare la particella nel punto dello spazio
> considerato, e se trasf. con F, ci d� lo spettro delle energie possibili per
> il fotone e quindi una misura dell'incertezza, deltaE, circa la sua energia.

A patto di una elaborazione ulteriore della trasformata. Attenzione,
perche' probabilmente il tuo tutor ha chiaro questo passaggio, la tua
interpretazione delle sue parole potrebbe ancora risentire del problema
che avevi evidenziato qualche tempo addietro. L'energia che attribuisci
ad un evento di rivelazione ha una base spesso teorica, le energie che
effettivamente sono misurabili implicano spesso conoscenze strutturali
molto sottili di stato solido per essere escogitate ed interpretate
correttamente. Infine, ripeto: un conto e' la dispersione misurata,
che coinvolge una grande quantita' di fotoni relativi a processi
distinti ognuno con una propria larghezza, un altro la dispersione
dei singoli fotoni. Che riesci, in
alcuni casi, sotto ipotesi di stazionarieta' del campo, a misurare
entrambe in tempi diversi.
Un altro ancora la densita' di energia che puoi andare a misurare
senza riguardo al numero di fotoni effettivamente misurati.

> Brevissime domande...(fuorch� la prima e la quinta))
>
> 1) una lente che focalizza i raggi di luce in un punto, si pu� dire che
> modifichi, attraversata da un fotone, la sua funzione d'onda (il suo
> "pacchetto" d'onda)? Al di la della lente dovrebbe essere molto pi�
> probabile per il fotone finire nel fuoco che in un punto differente.

Esiste una nota aberrazione cromatica associata con una dispersione
focale caratteristica delle lenti, che fu studiata dai primi astronomi
e dallo stesso Newton, ammesso di possedere una sorgente monocromatica,
come oggi e' possibile grazie all'uso di laser a stato solido che
garantiscono righe estremamente sottili, esiste sempre il problema
che uno stato coerente (che e' il risultato di una sorta di selezione
statistica naturale fra tutti gli stati pensabili) comporta una
dispersione quantistica ineliminabile, che comporta una imprecisione
nella localizzazione del fuoco ed infine che la riduzione
dell'aberrazione
diffrattiva richiederebbe lenti e laser molto grandi.
La dispersione ha una origine duplice: da una parte esiste una
dispersione intrinseca sulle misure di frequenza del singolo fotone,
dall'altro questa dispersione puo' essere molto ridotta usando un
rivelatore che medi su ampiezze di fenomeni a molti fenomeni.
Se mi chiedo quant'e' la probabilita' di misurare un fotone ad una
distanza d dal fuoco, trovo un numero che da solo puo' non essere
affatto correlato con la probabilita' di misurare una energia h omega in
quel punto. Perche' la misura di energia e' una misura che coinvolge
anche eventi multifotone. Nel caso in specie pero' una correlazione
esiste a causa del particolare tipo di sorgente che vai a guardare,
il numero di fotoni (ovvero di click) puo' dipendere dallo strumento
utilizzato, se l'assorbimento di un fotone rende il sensore trasparente
alla radiazione per un transiente, otterrai una probabilita' di
assorbimento relativa ad un singolo fotone fra, eventualmente,
tanti fotoni, se il rivelatore ha una buona efficienza, e puo'
assorbire e contare piu' eventi di assorbimento, e ti
chiedi la probabilita' di contare un solo fotone in una certa
finestra temporale otterrai una probabilita' certamente diversa
perche' hai cambiato lo spazio degli eventi.

> Premetto che credo di caver capito che per l'indeterminazione di H. si ha
> che se un rivelatore a banda stretta mi rivela la presena di un fotone, ecco
> che tanto pi� � stretta la banda di sensibilit� del rivelatore e tanto
> maggiore deve essere l'indeterminazione circa la parte di superficie del
> rivelatore stesso che ha raccolto il fotone.



 Nel caso di una lente,
> posizionando nel fuoco un rivelatore a banda molto stretta, coem stanno le
> cose?

Come e' fatto un rivelatore a banda molto stretta, che dimensioni
richiede? E' un atomo, posto nel fuoco? Una stima: supponi di avere
un rivelatore cubico di 50 nanometri di lato, la lunghezza d'onda della
luce e' di circa dieci volte maggiore. Dentro questo rivelatore
hai elettroni che cambiano banda di conduzione solo quando sentono
una differenza di energia di 4.5 eV, e' possibile questo?
Piu' riduci la dimensione del rivelatore meno questo e' preciso,
perche' le sue fasi stazionarie hanno numeri d'onda multipli
interi di (2 pi L / N). Cosa succede ad esempio se per misurare
la larghezza del fuoco tu prepari un pennellino estremamente
sottile di elettroni usando un doppio pannello con
fori di diametro d,
oppure addirittura un elettrone per volta? Bene, quanto sara'
precisa la direzione di un elettrone, la lunghezza di De-Broglie
di un elettrone da un Kev di energia cinetica e':

h/sqrt(2mE)

1 keV = 1600 e -19
h = 6 e -34
m = 0.8 e -30

unita' del sistema internazionale circa L = 6 e -16 m
Pertanto a costo di una dispersione angolare di L/d
riesci a dire che l'elettrone e' focalizzato, con una
sorgente di elettroni abbastanza luminosa ed un
pannello metallico con un foro di 10 nm ad esempio,
riesci a costruire un pennello con una dispersione angolare
di 6 e -8 frazioni di angolo giro. Se il fuoco sta a distanza
di un millemetro dal tuo rudimentale microscopio hai una
risoluzione spaziale di .6 Angstrom, che e' migliorabile
usando altri sistemi di focalizzazione ed uno spreading
di impulsi minimo. Con un laser a larghezza di riga di
3 nm ed una lente di materiale poco dispersivo su quel range
avrai dispersioni ottiche minime, dovute ad
effetti diffrattivi, con una lente da 1 cm
ad esempio, e con focale venti centimetri, hai una larghezza
focale diffrattiva per luce verde dell'ordine di .1 mm.
La sezione d'urto compton sebbene molto bassa permette con
luminosita' adeguata di osservare una deviazione di singoli
elettroni. Un fascetto di atomi e' molto meglio collimabile
di un fascetto di elettroni (perche' gli atomi pesano 1000
volte di piu') e permette misure molto selettive, grazie alla
struttura discreta dei livelli. Pero' anche gli atomi,
come dispositivi hanno dei limiti di precisione imposti dalla
meccanica quantistica, inoltre assorbono su una sola frequenza.



Ho che i fotoni dovrebbero "passare" con elevatissima probabilit� per
> il fuoco (che � puntiforme) e quindi dovremmo avere una buona consocenza
> della sua posizione; tuttavia la stretta banda di sensibilit� fa si che
> anbche le'nergia sia ben determinata. Come stanno realmente le cose? Cosa
> avviene al fotone che attraversa la lente?

Quello che ho spiegato prima. E' tutto un campo fatto da una
sovrapposizione di stati ad una, due, tre, tanti (soprattutto
tanti nel caso di luce monocromatica, nel senso che da a questa
affermazione la struttura di uno stato coerente) fotoni quello
che attraversa la lente. Gli operatori quantistici da adottare
per valutare l'evoluzione temporale di questo stato fino al momento
della misura sono sempre gli stessi, gli elementi di matrice da
valutare sono fissati dalla forma dello stato.
 
> 2) Lo spettro delle freq. del pacchetto d'onda 1D come visto sopra, dovrebbe
> avere le dimesnioni di una densit� di energia (o potenza). Inoltre
> l'indetermionazione dell'energia del fotone deltaE dovrebbe corrispondere
> all'ampiezza di tutta la banda. Come si passa da questa (la densit� di
> energia) alla "probabilit� di energia" (la prob, cio�, che il fotone abbia
> questa o quella energia)?
>

lo stato della luce implica un'ampiezza di assorbire un fotone
ad esempio, oppure una probabilita' di assorbire tot energia,
entrambe le grandezze si ottengono dallo stato del sistema
in un caso valutando l'ampiezza di assorbimento per un singolo
fotone, nell'altro il valor medio del quadrato del campo in x
al tempo t ovvero E* E sullo stato elettromagnetico. Come spiegavo
prima queste due grandezze sono correlate. Tuttavia emerge un problema
pratico che quando vai a misurare effettivamente la densita' di
energia con un dispositivo di materia condensata possono essere
importanti gli effetti non lineari ovvero l'assorbimento simultaneo
di piu' fotoni. Queste grandezze non sono valutate dagli elementi
di matrice che ho indicato.

>
> 3) cambia qualcosa in termini di spettro di freq. se operiamo su un
> pacchetto d'onda reale e quindi 3D anziche 1D (come nelle nostre
> semplificazioni)?

guadagnamo quasi tutta l'ottica significativa. E tu mi chiederai:
si ma se vado a guardare la lunghezza d'onda questa va a cambiare?
perche' possiamo spiegare la diffrazione angolare anche con
una assunzione esattamente monocromatica. Esatto. Quanto piu'
la sorgente e' monocromatica tanto piu' necessaria e'
l'aberrazione angolare prevista. In linea del tutto teorica se
potessimo controllare la composizione spettrale di un singolo
fotone (o meglio la trasformata di Fourier dell'ampiezza
di fotodetezione) potremmo focalizzarlo in un punto senza
indeterminazione? La risposta e': non lo so, sospetto che la sola
condizione che l'energia disponibile e' limitata lo vieti, pero'
devo pensarci meglio. Tuttavia quello che potremmo in linea di
principio ottenere e' una focalizzazione piu' sottile.

 
> 4) Se non si pu� dire quale sia la traiettoria del fotone, come si fa a dire
> che esso si muove di moto rettilineo? Potrebbe seguire qualunque strada
> dall'emissione alla rivelazione.
>
>
> 5) Fino ad ora ho incontratto due tipi di rivelatori. Il semplice
> spettrografo che al di la di un prisma ha un monocromatore che seleziona una
> porzione limitata di spettro e ne conta i fotoni ricevuti nell'unit� di
> tempo. Poi abbaimo i rivelatori veri e propri di fotoni che sono dei
> dispositivi che assorbono fotoni in una certa banda: se c'� sovrapposizione
> tra le due bande (quella del fotone e quella del rivelatore, allora c'� una
> probabilit� non nulla che il fotone venga assorbito. Una volta assorbito
> possiamo dire che di certo la energia "scelta" dal fotone nell'ambito di
> quelle a lui disponibili � compresa nella banda di sensibilit� del
> rivelatore. Giusto fin qui?

No. Il fotone non e' costretto a scegliere una energia se ha una
banda di energie che puo' cedere. Quello che dici prima e' quasi
corretto, pero' non tiene conto della possibilita' che il fotone
rimbalzi piu' volte dentro il rivelatore, quindi anche il rivelatore
che conta i fotoni ricevuti nell'unita' di tempo deve avere una
certa selettivita' per evitare di contare un fotone piu' volte.

> Ho un emettitore fotonico puntiforme e cos� cospargo lo spazio circostante
> di una matrice di rivelatori: pi� sono piccoli ed a banda stretta, maggiore
> � la risoluzione del dispositivo.

piccoli ed a banda stretta non sono parole che vanno necessarimente
d'accordo in meccanica quantistica. Esistono dei limiti, con oggetti
piu' piccoli riesci a discretizzare meglio i livelli, i limiti dipendono
da dispositivo a dispositivo. Puoi costruire ed utilizzare piu' tipi di
rivelatori in tempi diversi ed arricchire la conoscenza dello stato
stazionario che hai costruito ed il modo di modificarlo.

 E' ovvio che dovr� mettere moti rivelatori
> uguali in banda un po' ovunque nella matrice di rivelatori, altrimenti
> potrei non leggere il fotone ad energia Ei solo poich� �sso � andato a
> finire non in direzione del rivelatore giusto. Opure potrei metterne alcuni
> solo da una parte, scegliendo di ignorare semplicemnte i fotoni emessi non
> verso la matrice di rivelazione. Ad esempio nella retina abbiamo tre diversi
> coni a banda ampia e parzialemnte sovrapposta in una matrice in cui queste "
> terne" sono rieptute molte volte e ci� perch� l'occhio deve rivelare un
> pattern bidimensionale di fotoni, tutti contemporaneamente. I coni hanno una
> sensibilit� diversa per le diverse freq. e cio' non significa che la
> risposta di un cono sia diversa a seconda della lunghezza d'onda che lo
> copisce, ma solo che la probabilit� di rivelazione � diversa da punto da
> freq. a freq.

Non sono certo di cogliere il significato delle
locuzioni:

1) la risposta di un cono in funzione della frequenza

2) la probabilita' di rivelazione

I coni per funzionare richiedono un processo di attivazione
fotochimico, molto complesso e non completamente compreso,
suppongo che il modello piu' semplice, dal punto di vista
fenomenologico potrebbe essere qualcosa del tipo: il cono
una volta fotoattivato con una intensita' media I, quando
riceva N fotoni di frequenza f in intervallo df produce
una frazione dello stimolo sensoriale R(N,f,I) df
Una semplificazione che ho visto usare e' dire
che R(N,f,I) non dipende dalla intensita' se questa e'
sopra la soglia di attivazione e sotto quella di saturazione.

 


> La domanda �: perch� � necessario mettere pi� rivelatori a banda stretta per
> avere una alta risoluzione di freq.? Non � pensabile costruire un rivelatore
> capace di assorbire i diversi fotoni e rispondere semplicemente "questo
> fotone ha una freq. copmpresa tra X e Y"?

Si questo e' semplice, e' possibile immaginare un rivelatore
che nell'ipotesi che gli sottoponi molti fotoni tutti uguali dica
quale e' la composizione spettrale. Per il singolo fotone, usando
un rivelatore a banda compresa fra X e Y puoi dire che se il
rivelatore percepisce un fotone, ha percepito un fotone di
frequenza compresa fra X ed Y.

La mia domanda in particolare �:
> il fatto che un rivelatore non possa fare tutto da solo � un limite
> tecnologico o puramente fisico?

Ogni rivelatore ha dei limiti tecnologici che derivano dalla
sua struttura fisica.

E' pensabile ocstruire un rivelatore solo ad
> alta risoluzione?

Dovresti specificare meglio cosa intendi per alta risoluzione.

> Io pesnavo, alla luce della lunga premessa di prima, che se avessi due fasci
> di luce quasi monocromatica a diversa freq. (m e n) e conoscessi il umero
> di totoni per unit� di tempo di ciascun fascio, potrei utilizzare un solo
> rivelatore a banda larga per capire se la luce proiettata sul rivelatore �
> quella a freq. m o quella a freq. n, sfuttando la diversa sensibilit� del
> rivelatore alle diverse energie (freq.). Certo questo sarebbe macchinoso e
> richiederebbe delle info importanti sin dall'inizio ( due luci distinte a
> banda stetta, il numero di fotoni di ogni fascio inviato, la curva di
> sensibilit� del rivelatore ecc. Tuttavia con questo espediente avrei la
> possibilit� di riconoscere come differenti due diverse freq. comprese nel
> range di sensibilit� del rivelatore e cio� ne avrei aumentato il potere di
> risoluxione tra le varie energie. No?
>

No direi che avresti utilizzato un certo rivelatore in un
modo intelligente per risolvere un problema specifico, combinando
un poco di idee intelligenti potresti anche ottenere soluzioni di
portata piu' generale, pero' non avresti cambiato la struttura fisica
dei rivelatori di partenza.

>
> 6) quando Feynam parla di pallottle dice che non vediamo diffrazione ed
> interferenza per via della piccola lunghezzaa d'onda dell'ogetto: come si
> calcola questa lungjhezza d'onda e *soprattutto* che relazione ha con le
> citate caratteristiche del pacchetto d'onda viste sopra?

In regime non relativistico quindi per energie cinetiche molto
inferiori alla massa applichi la formula

T = [h^2 (2pi/L)^2]/2m

dove L e' la lunghezza d'onda, m la massa h la costante di Planck
T l'energia cinetica. La struttura della funzione d'onda e'
associata con una dispersione di lunghezze d'onda e frequenze
in accordo con l'equazione di Schroedinger.

Per la luce l'approssimazione non relativistica non vale, la
massa del fotone e' nulla ed il numero di fotoni non ha limite
superiore. Occorre utilizzare uno schema descrittivo calibrato sul
caso specifico, passare per le forche caudine della
teoria dei campi o accontentarsi di descrizioni semiclassiche o
classiche del campo elettromagnetico, per il campo elettromagnetico
le equazioni che vincolano le diverse componenti di fourier sono
relazioni algebriche desumibili dalle equazioni di Maxwell.

Esiste un libro che a me piace dedicato alla questione della
interpretazione di DeBroglie delle onde di materia ed ai suoi
sviluppi, e' un poco difficile, si tratta del libro di
Peter Holland che racconta la storia dell'analogia ondulutaria
applicata alla materia non relativistica. E' solo l'inizio
della teoria dei campi, e discute in modo molto esauriente
i limiti di applicabilita' e di descrizione, e le potenzialita'
di questa analogia.
 
> 7) Ultimissima cosa: se � vero che attraversare una lente pu� alterare lo
> spettro del pacchetto d'onda, un fotone che entra nella nostra pupilla,
> attraversa lenti varie, ecc, quando impatta sulla retia, come si pu� dire
> che veicoli ancora le informazioni che veicolava alla sua emissione dalla
> sorgente? Se la funzione di riflettanza dice che i fotoni devono avere un
> certo spettro (o meglio devono "formare" un certo spettro), questo dovrebbe
> arrivare tale e quale alla retina, no? Altrimenti che informazioni circa la
> superficie riflettente porta con se?

Qualcosa e' cambiato e qualcosa e' conservato. Il flusso di energia,
il numero di fotoni, ...

> Scusate la lunghezza e grazie per l'aiuto che mi darete!

Spero sia sufficiente, non potro' sempre dedicarti tanto tempo.



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Received on Fri Aug 06 2004 - 19:15:57 CEST

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