Ancora su Feynman, QED (UTF-8)

From: Egredior <quousque_at_tandem.com>
Date: Mon, 24 Jan 2011 19:56:29 +0100

Sono consapevole del fatto che, periodicamente, nei gruppi di
discussione di tutto il mondo, capita qualche pirla come me che, non
matematico, non fisico, si imbarca nella lettura del libretto di Feynman
(QED. La strana teoria della luce e della materia) e si imbatte in punti
critici sui quali chiede lumi agli esperti del settore. Capisco (lo dico
per conoscenza diretta) che, dal punto di vista dell’esperto, la
difficoltà può essere simile a quella di chi, in gruppi dedicati ad
esempio alla storia della letteratura o della filosofia, viene posto di
fronte ad improbabili richieste o addirittura proposte di nuove teorie
interpretative prive di quel fondamento di strumenti storiografici,
filologici ed ermeneutici che abbisognano di numerosi anni di studio e
di pratica per essere assimilati e, per così dire, interiorizzati quasi
come riflessi condizionati. Chiedo quindi preventivamente venia agli
esperti del gruppo per l’eventuale (o piuttosto certa) ingenuità del mio
quesito.

Il libretto di Feynman è oltremodo elegante, intelligente e, nella
massima parte, intelligibile. Un punto delicato, tuttavia, senz’altro a
motivo dell’anomala (rispetto al resto del testo) cursorietà della
discussione, è a mio avviso l’illustrazione di quello che Feynman
designa come il primo evento elementare dell’elettrodinamica
quantistica: un fotone si propaga da un punto (dello spazio-tempo) a un
altro. Il luogo in questione è alle pagg. 114-116 dell’edizione
italiana, a cui mi riferirò d’ora innanzi (come edizione americana ho
quella vecchia, del 1985, in cui la discussione si trova alle pp. 87-90).

Feynman, in sostanza, dice: l’ampiezza di probabilità per un fotone in A
di essere trovato in B, ampiezza che egli denomina F(da A a B), è
proporzionale all’inverso moltiplicativo dell’intervallo
spazio-temporale fra A e B; a F(da A a B) contribuiscono anche ampiezze
per velocità del fotone diverse da c; tali ampiezze sono piccole, e si
elidono sulle lunghe distanze. Ma come si arriva a F(da A a B)? Cosa
significano quei “contributi” e quelle “elisioni”?

Per cercare di rispondere a queste domande, non essendo in grado di
produrre o seguire un discorso rigorosamente matematico, e non trovando
in rete alcun aiuto di carattere non tecnico, mi sono costruito un
ipotetico ragionamento, articolato nei sette punti seguenti, che (a)
descrive in generale la mia comprensione del metodo della “somma sui
cammini” per come trasferito nell’ambiente spazio-temporale introdotto
da Feynman nella terza lezione del libro, e (b) estende la discussione
al caso particolare dei fotoni. Il tono dei punti è assertivo ma,
chiarisco, essi non vogliono esporre alcuna idea, teoria o
interpretazione: sono semplicemente il risultato degli sforzi di un
pirla che cerca di darsi ragione di un problema sorto dalla lettura di
un insidioso testo divulgativo e che spera nel buon cuore di qualcuno
che possa dirgli se ha capito bene o no. Le domande alla fine.

   1. La probabilità che una particella in x1 al tempo t1 venga trovata
in x2 al tempo t2 è rappresentata dal quadrato del modulo di una freccia
(raffigurazione di un numero complesso).
   2. Contribuiscono a questa freccia tutti i percorsi che la particella
può seguire da A = (x1, t1) a B = (x2, t2).
   3. Il contributo alla freccia risultante da parte di ogni percorso è
dato da un numero (complesso) che, da quello che ho intravisto altrove,
dipende dall’azione associata al percorso, la quale a sua volta dipende
dalla lagrangiana del sistema (dei concetti di azione e di lagrangiana
ho un’idea, seppure vaga).
   4. La “somma sui cammini” del punto 2 può essere grossolanamente
rappresentata così: i diversi percorsi che congiungono A e B possono
essere approssimati da linee spezzettate in tanti piccoli segmenti; ogni
segmento porta un ‘sottocontributo’ calcolabile sempre con la formula
adombrata al punto 3; il contributo totale di un percorso si ottiene
moltiplicando tutti i ‘sottocontributi’ dei suoi segmenti; la
probabilità della particella di essere trovata in B si ottiene
‘sommando’ i contributi di tutti i percorsi.

Per quanto concerne i fotoni:

   1. Il ‘sottocontributo’ di ogni segmento si comporta come descritto
nella nota di pag. 114 e nella didascalia della fig. 56 (pag. 115): se
l’intervallo spazio-temporale I fra gli estremi del segmento è 0 (cioè
il fotone si muove, nel segmento, con v = c), il ‘sottocontributo’ è un
numero complesso raffigurabile come una (lunga) freccia diretta verso le
12; se I è < 0 (v < c), risulta una (corta, di modulo inversamente
proporzionale a I) freccia diretta verso le 9; se I è > 0 (v > c),
risulta una (analogamente corta) freccia rivolta verso le 3.
   2. I ‘sottocontributi’ per I diverso da 0, essendo piccoli, tendono
nelle moltiplicazioni a ridurre rapidamente l’ampiezza per il percorso.
Su distanze cortissime un fotone ha un’ampiezza non trascurabile per
andare da un qualsiasi punto a qualsiasi punto dello spazio-tempo,
mentre su lunghe distanze l’effetto di riduzione dell’ampiezza è assai
cospicuo, e praticamente ‘sopravvivono’ solo i contributi di tipo luce.
   3. Se il ‘sottocontributo’ dipende dall’intervallo spazio-temporale,
è normale che lo stesso valga per il contributo totale di un percorso e
per la probabilità della particella di essere trovata in B. Il calcolo
porta alla “formula precisa” cui accenna Feynman nel testo e nella
didascalia della fig. 55 (pag. 113), che è un risultato equivalente a
quello cui si giunge tramite la teoria quantistica tradizionale.

Tre domande:

   a. L’illustrazione dei punti precedenti è approssimativamente
corretta? È questo che dice, grosso modo, la matematica che sta dietro
le paginette di Feynman?
   b. Quanto ai fotoni, il discorso dipende per intero da ciò che è
detto nel punto 5. Esiste un modo non troppo tecnico per spiegare come
mai la formula cui si allude al punto 3 porta, per i fotoni, alla
situazione descritta da Feynman con quelle frecce orientate verso le 12,
le 9 e le 3?
   c. Qual è il rapporto fra questo approccio e quello, apparentemente
più ‘ondulatorio’ (fotoni ubiqui pensati come dotati di un cronometro
immaginario), adottato da Feynman nelle prime due lezioni del libro? Più
avanti, rivisitando la riflessione parziale su una lamina di vetro “dal
nuovo punto di vista” (pag. 129), Feynman nota esplicitamente che per un
fotone “non vi è... rotazione della freccia durante il viaggio da un
punto a un altro dello spazio-tempo” (pag. 131).

Ringrazio tutti per l’attenzione e mi scuso per la lunghezza
dell’intervento.
Received on Mon Jan 24 2011 - 19:56:29 CET

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