Giorgio Pastore ha scritto:
> il quadro che ne esce è esattamente quello: la diffusione delle
> particelle alfa avviene in corrispondenza di nuclei estremamente ben
> "concentrati spazialmente". In modo incompatibile con il modello di
> atomo avanzato da Thomson nel 1904.
Questo è indubbio: il risultato essenziale degli esperimenti è di
confutare il modello di Thomson.
Col che però si aprono problemi non da poco:
1) come mai allora gli atomi non si avvicinano di più?
2) dove stanno gli elettroni?
Non ho idea di come e se il libro di cui parlate discuta o almeno
accenni a questi problemi.
Certo non è facile dare un reseconto acccettabile di che cosa
pensassero i fisici di quegli anni (ammesso di saperlo).
Vorrei però dire qualcosa sul "vuoto".
Sicuramente se pensiamo in termini di particelle (nucleo, elettroni)
lo spazio occupato da un atomo è in estesissima parte uno spazio
vuoto.
In esso debbono stare o muoversi in qualche modo gli elettroni.
Nasce un altro problema, di cui non si dice spesso ed è male, visto
che lo si risolve facilmente ed è fonte di istruttivi esercizi:
come mai le particella alfa non si accorgono degli elettroni?
Saranno anche piccoli, ma sono tanti e hanno carica totale uguale in
grandezza a quella del nucleo...
Tra l'altro "piccoli in questo contesto significa poco.
Anche per l'interazione alfa-elettrone deve valere lo scattering
Rutherford e quella che conta è la sezione d'urto (che incidentalmente
per lo scattering Rutherford è infinita ... ma la sez. d'urto
differenziale è finita).
La risposta sta nelle masse: un'alfa ha massa circa 7000 volte un
elettrone.
Che cosa succede quindi nell'urto?
Risposta qualitativa: l'alfa non se ne accorge neppure, l'elettrone
viene sbattuto via.
La situazione inversa dell'urto alfa-nucleo: visto che un nucleo di
oro ha massa circa 50 volte l'alfa, questa del nucleo se ne accorge e
come. Però raramente, perché i nuclei per unità di superficie sono
pochi: 79 volte meno degli elettroni.
Eaminiamo un po' meglio la dinamica dell'urto alfa-elettrone.
Viste le masse, in prima appross. conviene mettersi nel rif.
dell'alfa.
L'elettrone gli arriva incontro, con una certa velocità v, e rimbalza
con la stessa velocità e con una distribuzione angolare data dalla
formula di Rutherford.
(Vale la pena di osservare che se l'energia dell'alfa è 8 MeV, come
negli esperimenti, la velocità è circa c/16: si tratta ancora di
scattering non relativistico.)
Nel caso estremo di urto frontale l'elettrone nel rif. del laboratorio
avrà velocità 2v ed energia cinetica 1 keV.
Per consumare l'energia dell'alfa ci vorrebbero migliaia di urti.
Quello che succede globalmente è che (trascurando l'interazione coi
nuclei) l'alfa perde pochissima energia, ionizza gli atomi che
incontra, ma gli elettroni emessi non vengono rivelati
nell'esperimento a causa della modesta energia.
Ecco spiegato perché agli effetti dell'esperimento tutto va (quasi)
come se lo spazio tra i nuclei fosse davvero vuoto.
A proposito delle funzione d'onda monoelettronica:
> Purtroppo sopravvive nei testi di chimica e nel "parlare".
Credo sia anche peggio.
Considera un atomo di sodio: 11 elettroni.
Troverai dappertutto la "configurazione" 1s^2 2s^2 2p^6 3s.
Poi troverai scritto che l'elettrone 3s è l'elettrone "ottico" o "di
valenza".
Che la riga gialla del sodio è la transizione dell'elettrone ottico da
3p a 3s, eccetera.
Sicuramente l'avrò scritto anch'io quando ho insegnato Istituzioni di
Fisica Teorica.
Che c'è sotto? In che misura questo è vero e in che misura è
grossolanamente falso?
E' vero solo se si fa un calcolo perturbativo: la configurazione
indica lo stato imperturbato (che però avrà una f. d'onda
multielettronica che non è il semplice prodotto di funzioni
monoelettroniche, ma il prodotto antisimmetrizzato (determinante di
Slater).
Introducendo l'interazione tra gli elettroni come perturbazione, si
ottengono dei livelli perturbati, ma al primo ordine non si ha la f.
d'onda perturbata. E' però intuitivo che differirà dall'originario
determinante di Slater.
Per es. per lo stato fondamentale del litio la configurazione è 1s^2
2s: due elettroni nello stato fondamentale tipo idrogeno e uno nel primo
stato eccitato. Quest'ultimo è l'elettrone ottico: quello che viene
tolto nell'atomo ionizzato. (Non ho indicato gli stati di spin per
brevità.)
Ma una volta antisimmetrizzata questa f. d'onda, non si può più dire
*quale* sia l'elettrone nello stato eccitato, ma solo che *uno* sta in
tale stato.
Nella soluzione esatta (di cui non si sa dare un'espressione finita in
funzioni elementari) ma anche in una qualunque soluzione meglio
approssimata, questa relazione tra singoli elettroni e una "propria" f.
d'onda va completamente persa.
Ecco un tipico esempio di qualcosa di assolutamente fondamentale per
capire la struttura atomica e che è impossibile trasmettere a livello
divulgativo: qualunque tentativo "a parole" non può essere che un
mucchio di vaghe chiacchiere. Sfido chiunque a dimostrarmi il
contrario.
Mi pare che Giorgio la pensi allo stesso modo:
> Invece considero un errore abbastanza grave, sia nel contesto
> divulgativo sia di fisica tour-court, quello di confondere particelle
> e loro funzione d'onda. Questo sì che indurrebbe misconcezioni
> gravi.
Ancora due parole sul "vuoto".
A mio parere la parola andrebbe bandita da qualsiasi discorso non
tecnico, dove può assumere un signiicato preciso,
Questo perché già in ambito scientifico si parla di vuoto in vari
contesti con significati diversi.
Peggio ancora fuori della fisica, dove la parola ha vari usi nel
linguaggio comune ma ne ha poi in filosofia e in altri ambiti.
Non ci si può aspettare che il lettore generico abbia l'indispensabila
capacità di discriminazione, e d'altra parte qualsiasi tentativo di
chiarire e precisare non potrebbe, di nuovo, che ridursi alla solita
montagna di chiacchiere, destinate a essere totalmente fraintese.
Infine vorrei dire qualcosa su campi e galassie. Per cominciare, chi
l'ha detto che le galassie passino "l'una attraverso l'altra
incolumi"?
Mai sentito parlare di forze di marea?
Mai visto foto di galassie reali in collisione, o di simulazioni?
Ma il punto secodo me più importante, che volere o volare imperversa
su *tutta* la divulgazione (quindi scommetto anche nel libro di cui
parlate e che non conosco) è l'immensa confusione che esiste nella
testa dei lettori (anche quando non c'è già all'origine) consistente
nell'incapacità di distinguere paradigmi diversi, contesti diversi, in
un pesto unico dove tutto si mescola, dalle idee della fisica del '700
a quelle di oggi, senza neppur sapere di quando e quali sono queste
idee.
Faccio un esempio che è anche un'affermazione categorica.
L'idea che la repulsione tra cariche sia dovuta ai campi nasce con
Faraday (primi dell'800) come "repulsione delle linee di forza";
concetto vago come non poteva essere in quel geniale autodidatta. Si
sostanzia con Maxwell (~1870) col suo "stress tensor".
Una descrizione divulgativa (in un senso che oggi non riusciamo più
neppure a immaginare) la trovate nel famoso libro di Einstein e Infeld
("L'evoluzione della fisica"). Ci sono due capitoli se ricordo bene
intitolati "il campo come rappresentazione" e "il campo come realtà".
Non vado neppure a controllare, anche se dovrei soltanto alzarmi dalla
sedia e arrivare a uno scaffale in questa stessa stanza.
Se per caso non l'avete presente, avete il preciso dovere morale di
leggerlo o di rileggerlo.
Basandomi su quella visione, dico chiaro: finché si resta alla
meccanica atomica (eq. di Schroedinger) di campi non c'è nessun
bisogno, se non come rappresentazione. Basta la legge di Coulomb e
l'energia potenziale, che è un concetto di meccanica.
(Il primo punto in cui occorre una visione più sofisticata
dell'interazione e.m. è il calcolo della struttura fina come
interazione spin-orbita: l'elettrone in moto che "vede" un campo
magnetico. Il secondo ovviamente è l'emissione spontanea, che ci porta
dritti alla QED.)
Nella divulgazione e certamente nela testa dei lettori, tutto si
confonde: elettroni, campi, particelle virtuali...
Quanti sono quelli convinti che la forza tra due cariche *sia* uno
scambio di fotoni virtuali?
E poi si chiedono: quanti sono questi fotoni? Uno? Due?
(Se gli rispondessi che sono infiniti, penserebbero che li sto
prendendo in giro :-) )
Quindi lasciamo perdere: non c'è nessun bisogno di riempire il "vuoto"
atomico di campi.
Gli elettroni "quantistici" sono particelle "sui generis" (tanto per
chiarire: "sui" è genitivo di "suus", non è il plurale della
preposizione articolata "sul"; s'intende dire che sono particelle di
un genere tutto proprio, senza analoghi nel mondo dell'esperienza
comune.)
Quindi possono essere benissimo particelle (addirittura puntiformi,
per sovrappiù) e al tempo stesso "riempire" un atomo, nel senso che
non hanno una localizzazione spaziale.
Assurdo? Astruso? Sissignore! Ve l'hanno detto in tutte le salse, da
Bohr a Feynman, ma non vi entra in testa (mi sto rivolgendo a quei
lettori, non a chi mi sta leggendo in questo momento).
C'è un solo modo per uscirne: *studiare, studiare e studiare*. Una
laurea (magistrale) in fisica basta appena, e non a tutti.
Chi vi dà a intendere che siano possibili scorciatoie, vi sta
imbrogliando, che sia o no in buona fede (ci sono tutte le possibili
sfumature).
Non sperate di farmi cambiare idea (ora mi rivolgo a chi mi sta
leggendo). Ci ho pensato troppo a lungo e con una troppo vasta
esperienza a tutti i livelli, perché ciò sia possibile.
Se non avessi l'età che ho potrei pensare di scriverci un libro, anche
se sicuramente non troverei un editore.
Invece sono ridotto a sfogarmi ogni tanto in siti come questo: "vox
clamantis in deserto". Dove "clamantis" non è attributo di "vox": è
complemento di specificazione. Grammaticalmente genitivo di "clamans",
participio presente di "clamo": "voce di uno che grida nel deserto".
--
Elio Fabri
Received on Mon Jan 31 2022 - 17:00:06 CET