Re: La Causa [era: Cosa c'era prima del Big Bang?]

From: Aanselm <aanselmb_at_gmail.com>
Date: Fri, 6 Aug 2010 07:25:28 +0000 (UTC)

Enrico SMARGIASSI:
> Aanselm wrote:
>
>> Ma esiste il moto di un oggetto da un punto A ad un punto B
>> con A diverso da B?
>
> Certo. Ma questo "moto" coincide con il "divenire" della proposta di
> dimostrazione? Io dico di no - o meglio, non necessariamente.

Quindi siamo d'accordo che il moto esiste.
Io non sostengo che il moto "coincide" con il divenire
dico che il divenire e' un concetto piu' generale del moto
e descrive anche cambiamenti non riconducibili a spostamenti spaziali:
generazione, corruzione, variazione di stato, cambiamenti d'umore, ecc.

>> Se tutto si ripete non vuol dire che il divenire non esiste.
>
> Non sto dicendo che tutto si ripeta.

Ok, mi basta aver stabilito che esiste il moto
che e' un sottoinsieme del divenire.

>> Ma bisogna che tu definisca che cosa intendi per divenire
>
> No, *tu* devi definire esattamente cosa intendi per divenire. Nella
> proposta di dimostrazione pare essere "avere una proprieta' che in un
> altro momento non si ha, o si ha in maniera diversa". Ho argomentato che
> in un mondo deterministico questo divenire non esiste, perche' lo stato
> del sistema puo' essere visto come sempre lo stesso.

Ma l'obiezione e' stata che le parti di questo sistema
si muovono ed esiste un moto da A a B,
quindi la configurazione del sistema e' cambiata
anche se il modo con cui e' determinato il sistema
non cambia.

[Innanzitutto bisogna mettersi d'accodo,
per evitare perdite di tempo linguistiche,
soprattutto quando ci riferiamo
a campi semantici diversamente estesi
che riconosciamo ai termini.
Cio' richiede un po' di tempo
e pazienza ma e' inevitabile].

Poiche' parli dello "stato del sistema"
mi pare che tu limiti il concetto del divenire solo
al sistema nella sua interezza
e non consideri come divenienti
il moto delle parti del sistema.
Non vedo la necessita' restringere il divenire
solo al sistema e non alle parti.
Per divenire, di solito, lo si intende applicato
ad ogni essente (e per essente si intende una qualsiasi
cosa di cui possiamo dire che e', dove per il verbo essere
si puo' intendere sia il senso dell'esistenza e sia quello
piu' generale possibile della pensabilita').

>> Ma la sciarpa se esiste nel nostro mondo,
>> diviene o no?
>
> Credo che tu non abbia afferrato il senso di questo esempio. La sciarpa
> semplicemente "muta" in funzione di un parametro "distanza", mentre il
> moto della meccanica e' in funzione di un parametro "tempo". Ma in
> Meccanica Analitica i due parametri sono sostanzialmente dello stesso
> tipo, quindi il "divenire" non e' diverso dall' "essere multicolore"
> della sciarpa. Ma ti inviterei a commentare l'esempio, piu' pregnante,
> delle cure espresse in forma parametrica.

Probabilmente non mi sono spiegato,
tale esempio della sciarpa esiste nella tua mente
o esiste da qualche parte nell'universo?
E in ogni caso, da qualche parte, dev'esserci
qualcosa che indichiamo come un osservatore
che si rende conto dell'esistenza di questa sciarpa.
Rispetto a questo osservatore la sciarpa,
dopo che l'osservatore fa partire un orologio,
diviene pur restando sempre la stessa,
o no?
Voglio dire che la sciarpa in se stessa
non rende evidenza dell'esistenza di osservatori
che scrivono le funzioni matematiche.
Detto in altro modo, se esistesse solo la sciarpa
e la sciarpa non diviene allora noi non potremmo
esistere e intenderla, ma poiche' noi esistiamo
e ne scriviamo le funzioni allora la sciarpa
non esaurisce tutto l'esistente e come parte
di cio' che esiste non puo' pretendere
di valere per la totalita' dell'esistente.
Non posso pensare di fare un esempio
che elimina il mio stesso pensare,
infatti l'esempio deve tener conto
del pensiero che lo pensa.
Questo tipo di contraddizione si chiama
contraddizione pragmatica o perfomativa:
affermo qualcosa
che cerca di negare se stessa.
Affermo che esiste una sciarpa
che se esistesse solo la sciarpa
allora il pensiero che pensa la sciarpa
non deve esistere.

Non so se sono riuscito ad esplicitare
la mia obiezione ad una sciarpa che nega
il divenire nel mondo.


>
>> Voglio dire, nel nostro mondo il divenire c'e' o non c'e'?
>
> Dipende dalla definizione. E secondo certe definizioni il fatto che ci
> sia va dimostrato.

Quindi tutto dipende da una definizione
e da una dimostrazione di esistenza.

L'obiezione usuale che si fa a tale impostazione e' la seguente:
poiche' non possiamo eseguire dimostrazioni infinite
bisogna prima o poi fermarsi nella catena delle implicazioni
e postulare assiomi e, appunto, postulati, di partenza.
A questo punto il noto confutatore solitario
ha buon gioco nell'affermare che ogni
dimostrazione dipende dalla validita'
degli assiomi-postulati (e dalle regole di inferenza).
Dira', inoltre, in modo inconfutabile,
che se si cambiano gli assiomi
si ottengono altre dimostrazioni,
quindi si possono ottenere solo sistemi ipotetici
perche' non ho nessuna dimostrazione assolutamente innegabile
che dimostri la validita' degli assiomi.

>> Allora supponi che il moto fisico e' in relazione con il divenire
>> quindi sostieni che il divenire esiste ed e' reale.
>
> No, non ho supposto questo. Ti ricordo che il mio intervento e'
> puramente destruens: vuole mostrare che la dimostrazione e' vuota.

Ma hai appena detto che tutto dipende dalla dimostrazione
e quindi ho dedotto assieme al confutatore solitario,
e dovresti concedermelo,
che ogni dimostrazione, sia pure "destruens",
si basa su assiomi condivisi ma non assolutamente certi.
Quindi, per sferrare il tuo attacco distruttivo
hai necessita' di prendere per buoni i presupposti
della teoria dimostrativa (negativa).
Inoltre devi ammettere che quando inizi a dimostrare
qualcosa devi distinguere l'inizio della dimostrazione,
la sua esposizione e la sua conclusione,
ovvero nel corso del tempo il tuo interlocutore
osserva come diviene la tua dimostrazione.
Quindi devi ammettere che esiste il divenire
e che ti permette di esporre la tua argomentazione.

Se la tua argomentazione volesse distruggere
anche questo tipo di divenire,
che ti permette di eseguire la dimostrazione,
allora nel momento stesso
in cui si accingesse a distruggere il corso diveniente dimostrativo
verrebbe istantaneamente annientata
perche' distrugge se stessa.
Questo e' un noto risultato, gia' descritto da Aristotele,
ogni dimostrazione distruttiva che tenta
di negare i presupposti per cui essa stessa si realizza
annienta se stessa.

Detto in altre parole, a me sembra
che la tua dimostrazione destruens si basa
sul concetto del divenire classico
(fenomenologicamente inteso).
Il tuo organismo e i tuoi pensieri
quando elaborano il processo dimostrativo
presuppongono un divenire,
un cambiamento dell'essente
che nel corso del tempo espone i passaggi dimostrativi.

> Ed
> aggiungo che volendo si potrebbero fare altre critiche: io p.es. ho
> sempre trovato l'argomentazione parmenidea come una specie di gioco di
> parole e poco piu'.

Concedo che i giochi di parole sono ineliminabili
nell'attivita' di ricerca e spesso le idee vere
quando appaiono la prima volta sono confuse con quelle false,
ma bisognerebbe chiedersi,
ad esempio,
se ha senso che tanti professori universitari,
tra cui il noto Severino,
siano giustificati a percepire uno stipendio,
pagato con le nostre tasse,
ma qualcun altro potrebbe far notare che se i greci
non avessero argomentato cosi' appassionatamente
sull'essere e la verita' forse non avremmo avuto
un progresso scientifico, ecc.

>> mi pare di capire che sostieni che esiste il divenire,
>> ad esempio quello fisico,
>> ma non condividi che la spiegazione che viene fornita in metafisica
>
> No, in questa discussione sto negando che il moto fisico osservato sia
> dimostrato identico al "divenire" della tua dimostrazione.

Non affermo che sia *identico*.
Alla domanda: esiste il divenire?
abbiamo visto quali sono le possibili risposte
che ripeto per semplicita':
1- il divenire non esiste (Parmenide, Severino);
2- il divenire esiste ma e' totalmente arbitrario
(buona parte del pensiero contemporaneo);
3- il divenire esiste e sottosta' alle cause metafisiche
(pensiero classico);
4- il divenire esiste ed e' quello descritto
dalla fisica e non coincide con quello metafisico
(questa posizione dovrebbe essere la tua).

In sintesi mi pare di capire che per te il divenire
esiste e puo' sottostare a regole matematiche o di altro tipo.
Lo so che la tua posizione e' puramente distruttiva,
ma tale posizione proprio perche' vuol dire qualcosa
e distruggere qualcosa deve basarsi su presupposti
da cui prendere le mosse e poiche' la fine della dimostrazione
e' in relazione necessaria con l'inizio della dimostrazione
e' evidente che ammetti l'esistenza del divenire che segue
leggi non arbitrarie, perche' se fossero del tutto arbitrarie
non potremmo connettere l'inizio con le fine della dimostrazione.
Gia' da questo si evince che il divenire deve esistere
almeno per poter tentare di distruggerlo.

Se questa e' la tua posizione e la condividi
non ho difficolta' ad accettarla
in quanto le cause metafisiche che sostengo
si riferiscono alla possibilita' ontologica (essere in senso generale)
che ci siano le cause fisiche.
Non e' compito della metafisica occuparsi
delle specifiche leggi fisiche
ma nel momento in cui il pensiero scientifico,
sulla base della sua esperienza fenomenologica,
argomenta riguardo ambiti piu' estesi di quello fisico,
come ad esempio l'etica, la politica, l'economia, ecc.
allora qualcosa puo' esser detta
ed un confronto tra i vari punti di vista
puo' essere positivo.

Cordiali saluti.

-- 
A
Received on Fri Aug 06 2010 - 09:25:28 CEST

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