Giorgio Pastore ha scritto:
> Infatti non ho scritto che non ci sono relazioni forti. Solo che
> insistere sugli aspetti ondulatori è a mio parere fuorviante. Rafforza
> il dualismo ingenuo (quello che afferma che a livello quantistico le
> particelle sono contemporaneamente onde e particelle). Molto meglio
> lasciar perdere le ontologie ambigue e concentrarsi sulle misure.
Intervengo ora, dopo aver letto 6 post e averci pensato un po' su.
Dico subito che il mio punto di vista sarà un po' diverso, anche se
forse non nuovo: credo di aver sottolineato in altre occasioni certi
aspetti dell'insegnamento della MQ.
Mi riferisco a quello che secondo me è un difetto molto diffuso:
l'insufficiente distizione tra ciò che è fisica e ciò che è matematica.
Mi riferisco soprattutto ai postulati, nei quali si deve fare (secondo
me) una distinzione chiara tra quelli che definiscono la teoria, nel
senso delle sue basi matematiche, e quelli che sono solito chiamare
"interpretativi", che invece stabiliscono la connessione tra oggetti
matematici e operazioni fisiche.
Ripeto, a scopo cautelare, una cosa che ho espresso molte volte.
Per ragioni ovvie non sono aggiornato né sulla pratica didattica né
sui libri di testo più in uso negli ultimi anni (ormai dovrei dire
decenni). Quindi potrebbe darsi che i difetti che ho accennato siano
risolti in casi importanti. In tal caso almeno Giorgio mi correggerà.
Gli assiomi "matematici" della MQ sono semplici da enunciare:
1) Dato un sistema quantistico, i suoi stati sono elementi di uno
spazio di Hilbert (H) separabile sul campo complesso.
Più esattamente, gli stati sono in corrispondenza ai "raggi" di H,
ossia ai sottospazi unidim. di H privati dell'elemento nullo.
2) Le osservabili del sistema sono gli operatori autoaggiunti in H.
Nota: la definizione che ho dato esclude le regole di superselezione,
ossia l'esistenza di operatori autoaggiunti non osservabili. La cosa è
importante in QFT, ma nel presente constesto posso tralasciarla.
I postulati interpretativi sono ben noti e posso limitarmi ad
accennarli:
3) I possibili risultati della misura di un'osservabile sono gli
autovalori (nec. reali) dell'operatore.
Più precisamente, per coprire il caso degli "autovalori continui",
dovrei parlare non di autovalori ma di punti dello spettro.
4) Come risultato di una misura il sistema passa in uno stato che è
autostato per l'autovalore risultato della misura. (Andrebbe precisato
il caso degli autovalori degeneri).
5) Il risultato che si ottiene nell'insieme di quelli possibili si
presenta in modo casuale, con una probabilità data dal quadrato del
modulo del coeff. per quell'autovettore nello sviluppo dello stato in
serie di autovettori dell'osservabile misurata.
Nota: qui occorrerebbe chiarire meglio che cosa accade con autovalori
degeneri e nella misura simultanea di più osservabili.
Un accenno (ne avete già discusso).
E' possibile la misura simultanea di un insieme di osservabili
commutabili.
Se l'insieme è massimo la misura determina un preciso stato, con la
probab. come sopra relativa allo sviluppo in serie multipla di
autovettori comuni all'insieme di osservabili.
A proposito della misura simultanea di osserv. non commutabili, questa
è impossibile perché tali osservabili per definizione non possono
avere una base comune di autovettori.
Notate che possono avere *alcuni* autovettori comuni (facile trovare
esempi) ma questo non basta perché *tutti* i possibili risultati della
misura debbono lasciare il sistema in uno stato che è autostato comune
delle osservabili.
Ora torno indietro, ai postulati 1) e 2).
Per capirne il significato occorre aver presenti un paio di teoremi
generali sugli spazi di Hilbert:
a) Uno spazio di Hilbert è separabile se e solo se possiede una base
ortonormale numerabile. In tal caso *tutte* le basi ortonormali sono
numerabili.
(Qui "numerabile" include la cardinalità finita, ma se lo spazio è a
dim. finita tutte le basi hanno una cardinalità pari alla dimensione
dello spazio.)
b) Tutti gli spazi di Hilbert separabili di uguale dimensione (sullo
stesso campo) sono isomorfi. Il che vuol dire ad es. che in senso
astratto esiste *un solo* spazio di Hilbert di dim. infinita
separabile sui campo C.
Il teorema b) è importantissimo e non viene di regola evidenziato
quanto meriterebbe.
Per vedere alcuni esempi, in senso matematico: gli spazi
- l^2 (successioni di complessi a somma finita dei moduli quadrati)
- L^2([a,b]) (funzioni [a,b] --> C a modulo quadrato integrabile
secondo Lebesgue)
- L^2(R) (funzioni R --> C come sopra)
- L^2(R^3) (funzioni R^3 --> C come sopra)
sono isomorfi.
Cautela: a rigore avrei dovuto parlare non di funzioni, ma di "classi
di equivalenza di funzioni uguali quasi ovunque").
Dal teorema b) segue che per sviluppare un qualsiasi calcolo abbiamo
diritto di procedere
- o in senso astratto, senza far riferimento a uno specifico
modello/rappresentazione di H
- oppure, se ci torna più comodo, su uno specifico modello.
Nel secondo caso, qualunque risultato valido per il modello è anche
valido in astratto o in qualunque altro modello.
Questa osservazione è rilevante per quanto concerne la relazione
d'indet. e le sue dimostrazioni.
Esiste una dim. astratta della relazione generale di
Robinson-Schroedinger, e una volta troavata questa, il discorso
potrebbe essere finito, salvo andare a guardare casi particolari.
Ma anche una dim. ottenuta ad es. dal modello L^2(R) per mezzo delle
trasf. di Fourier ha validità generale.
Quello che non bisogna fare è introdurre più o meno esplicitamente
i'interpretazione fisica, che necessariamente sarà diversa a seconda
del modello.
Resta poi vero che la dim. com le trasf. di Fourier è meno generale,
perché si applica solo a due osservabili X, P con le seguenti
proprietà:
- entrambi sono operatori autoaggiunti con lo stesso spettro,
coincidente con l'intero R
- il loro commutatore [X,P] ha dominio denso in L^2(R) e in questo
dominio è identico a iI (oper. identità moltiplicato per l'unità
immaginaria).
Non è invece necessario per la dimostrazione introdurre
l'interpretazione di X come posizione e di P come impulso.
Questo purtroppo accade quasi sempre, e qui do ragione a Giorgio.
Sicuramente un'impostazione come quella che ho appena proposta si
scontra con esigenze didattiche: richiede infatti che lo studente sia
stato prima adeguatamente preparato su argomenti di matematica
tutt'altro che semplici.
Ne segue la tendenza a bypassare la matematica sostituendola con
argomenti "fisici" semi-intuitivi
La questione se la rel. d'indeterminazione abbia il suo fondamento
nelle operazioni di misura è ancora diversa.
Sebbene storicamente fosse questa la visione di Heisenberg, non siamo
obbligati a seguirlo su questa strada, anzi ritengo necessario
prenderne le distanze.
Non aggiungo altro, perché sull'argomento scrissi ampiamente oltre 9
anni fa: puntata 81 della "Candela".
Magari l'avete già letta, ma mi permetto d'invitarvi a una rilettura:
http://www.sagredo.eu/candela/candel81.pdf
--
Elio Fabri
Received on Wed Feb 01 2023 - 12:32:03 CET