R: xche' il mondo e' matematico?
Elio Fabri scrive:
> 2) ... credo che l'evoluzione
> del nostro cervello sia stata fortemente influenzata dal mondo esterno
> in cui l'homo sapiens si e' trovato a vivere; quindi non solo le
> capacita' pratiche, ma anche il suo modo di pensare e' stato modellato
> dal mondo.
E' ragionevolmente probabile. Ma anche il mondo � stato modellato dall'homo
sapiens e ancor pi� dal sapiens-sapiens. Allora sembrerebbe mancare una via
d'uscita logica a questo anello apparentemente ricorsivo. In altre parole
l'uomo, e probabilmente anche le altre specie, hanno modellato il proprio
"cervello" anche sulle proprie opere; ed � cos�: si chiama cultura, la quale
non ha solo esiti psicologici. Inoltre si dovrebbe considerare che non �
sufficiente registrare un dato o una serie ricorrente di dati per trarne un
linguaggio come la matematica.
Io ho ipotizzato nel mio posto di risposta (oggi non ancora in rete,
oggi) che la via di evasione da questo anello rigidamente darwiniano
sia la capacit� di astrazione. E ho anche supposto che, trattandosi
di una capacit� perlomeno umana, sia a sua volta una capacit� della
natura, dato che indubbiamente l'uomo ne fa parte, e questo fatto
potrebbe avere implicazioni non marginali sulle riflessioni che
riguardano la natura.
Aggiungo anche che neppure l'astrazione, da s�, potrebbe bastare a
giustificare la formazione di un linguaggio come la matematica, non
specificamente o non soltanto rivolto alla comunicazione ma piuttosto
dedicato alla soluzione dei problemi e persino, spesso, solo dei propri
problemi, come anche tu ricordi. Nel mio post ho considerato
l'astrazione come una propriet� non passiva, ma attiva, ossia
intrinsecamente creativa. Ho l'impressione che sia questa qualit� essenziale
a motivare la formazione di ogni linguaggio, e non soltanto, ripeto, le
finalit� tipicamente comunicative del linguaggio. Sto dicendo, in sostanza,
che forse ha maggiore responsabilit� questa qualit� nel movimento verso
l'espansione delle capacit� umane, e che la selezione potrebbe avere, cos�
come accade nalla ricerca e nella progettazione, un ruolo piuttosto,
appunto, di selettore fra le molteplici soluzioni messe a disposizione dal
processo astrattivo-creativo: alcune "idee" hanno successo una
volta poste sul terreno, altre no. Alcune l'avranno dopo un secolo, come tu
hai ricordato, altre dovranno lottare per molti anni anche solo per
convincere della loro validit�. Forse alcune anche millenni. E' sempre
difficile giudicare in giornata.
E di nuovo mi chiedo se questa capacit� di auto-espansione e
auto-costruzione, essendo dell'uomo, non sia prima di tutto una propriet�
della natura.
> 3) A un certo punto lo sviluppo del cervello, e quindi del pensiero, e'
> divenuto cosi' complesso da essere capace di produrre una mat.
> "universale", ma non forse nel senso che intendi tu. Intendo nel senso
> in cui e' universale una macchina di Turing: un congegno cosi' ricco e
> flessibile, da essere adattabile a qualunque (?) compito.
(?) Non ne era tanto convinto neppure Turing. Solo circa i problemi
strettamente deterministici lo era abbastanza. La mente (direi, piuttosto
che il "cervello") non tratta solo quelli, ed � capace di definire in
qualche modo anche l'indeterminato (il non-finito) e di trarne interi
capitoli della matematica e della geometria, oltre che trattare problemi per
loro natura non deterministici (per non parlare di quelli metalinguistici).
La complessit� quindi, a sua volta, non basta. Occorre un altro elemento,
oltre all'attiva (creativa) capacit� di astrazione: occorre una sua
intrinseca "unit� guidata", ossia quella capacit� di correlazione interna
"pilotabile" che chiamiamo capacit� di associazione.
Dico "pilotabile" perch� la sua attivit� dimostra diversi gradi di
autonomia o di libert� ed � fortemente soggetta a processi
difficilmente accessibili alla consapevolezza (quando parliamo di
"intuizione" stiamo parlando di correlazione inconscia).
Perci� prenderei con le molle l'affermazione "lo sviluppo del cervello,
e quindi del pensiero". Non per orgoglio di specie, ma mi permetto
di dubitare che un cervello umano, trapiantato (qualora fosse
possibile) in un altro animale (eventualmente un altro primate)
continuerebbe a lungo a dare gli stessi risultati (o che quell'animale
rimarrebbe quell'animale). A parte la fantachirurgia, lo stesso DNA che si
preoccupa dei neuroni si occupa di tutto il resto, determinando una tale
intrinseca unit� e continuit� del soma e del suo sviluppo che � difficile
pensare che la sua forma non sia strettamente correlata al suo modo di
leggere la natura e di agire in essa, e quindi anche alla risposta specifica
della natura e alla sua interpretazione.
>
> 4) Inoltre non e' detto che ci sia un solo modo di interpretare la
> realta':
appunto; anche la diversit� all'interno della medesima specie determina
rapporti differenziati con la natura e quindi diverse interpretazioni
>
> quindi potrei dire che noi pieghiamo l'interpretazione ai mezzi
> (anche matematici) di cui disponiamo.
Giustamente "anche" matematici, proprio perch� non entrano in gioco solo i
linguaggi e non solo quelli formalizzati. A piegare l'interpretazione a ci�
che abbiamo gi� acquisito ci proviamo sempre, per cercare di conservare i
nostri pilastri. Anzi, probabilmente questo � sempre il primo passo; poi o
proprio non vogliamo rinunciare a quei pilastri o prima o poi cambiamo
modello e linguaggio. Se non noi, i nostri nipoti.
>
> Come avrai capito, non condivido una visione platonica: la vera realta'
> e' matematica, il mondo "reale" ne e' solo una vaga immagine.
Forse Platone intendeva qualcosa di diverso: il mondo delle idee � il
motore, la realt� ne � un riflesso imperfetto, una realizzazione, come il
prototipo o l'esemplare di produzione rispetto all'idea del progettista,
il quale non � mai soddisfatto del risultato. E' la propriet� creativa
propria dell'astrazione, oltre alle capacit� associative della mente,
a produrre ci� che � nuovo, nella matematica come in ogni altro
territorio dell'attivit� umana, e mai perfetto come pensato o meglio
immaginato. Platone vedeva questo processo nell'uomo, perch� non
pensare che dovesse essere una propriet� della natura, dato che
l'uomo vi appartiene?
> Ne' una visione alla Spinoza-Leibniz: e' Dio che ci ha dotati della
> capacita' di capire il mondo (adaequatio rei et intellectus, armonia
> prestabilita).
Spinoza e Leibniz erano persone essenzialmente razionali (Spinoza ha
dimostrato in concreto una coerenza rara, affrontando isolamento e miseria
per rimanere fedele a se stesso, e Leibniz ha dato non pochi contributi alla
matematica) e il loro punto di vista non mi sembra tanto diverso, appunto,
da quello di Platone, anche se si servono del concetto di Dio per esprimere
la medesima dominanza dell'idea rispetto ai suoi prodotti.
Il passo che questi signori hanno fatto � in tutto simile a quello che ho
esposto poco fa: se questa � una propriet� umana, non � forse allora una
propriet� della natura, essendone l'uomo un'espressione? Che poi abbiano
usato una terminologia del loro tempo, che per noi ha perso molto del suo
significato, non cambia il senso intrinseco della loro interpretazione, che
mi sembra invece non affatto obsoleta. Tolto insomma il fumo degli incensi,
che a nessuno di quei tre signori piaceva molto, resta appunto un'idea di
persone che hanno dimostrato notevoli doti di razionalit� e di libert�
intellettuale. La prima, a dispetto del linguaggio, � il canale attraverso
cui l'idea, prima o poi, eventualmente dopo anni o millenni, fa
comparire le sue orme sul terreno concreto; la seconda � condizione
necessaria e persino sufficiente per l'espressione ottimale della
comune dotazione creativa.
Forse il loro non � stato o non � un punto d'arrivo (quale mai lo �?)
ma potrebbe essere una tappa significativa del percorso, di cui tenere
conto malgrado la difficolt� o la riluttanza a comprendere un
linguaggio che non � pi� il nostro.
Il linguaggio, appunto, � solo un'ombra dell'idea che lo genera; fra
l'ombra e l'idea ci siamo noi che dall'idea congegnamo il linguaggio, uno
dei tanti progetti in continua evoluzione proprio perch� imperfetti rispetto
all'idea che ne indica la necessit�.
Alcune cose diventano antiche e preziose, non vecchie, proprio perch� meglio
di altre conservano una particolare vicinanza fra l'idea
e se stesse, sue ombre; acquistano maggiormente la qualit�, per cos� dire,
di incorruttibilit� delle idee, perlomeno quando le idee sono come
quella di Platone, che mi sembra decisamente geniale.
Opinioni, come ovvio.
Salve
Maurizio
Received on Thu Nov 11 1999 - 00:00:00 CET
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