Re: Rich. pareri su libro "La relatività e la falsa cosmologia" di Marco De Paoli
On 7 Apr, 19:45, "Bruno Cocciaro" <b.cocci..._at_comeg.it> wrote:
Una cosa prima di tutto: nell'ultimo mio post comparso (n. 93),
dicendo della traiettoria perpendicolare del grave in caduta dal treno
in assenza d'aria, ho aggiunto fra parentesi: perpendicolare
prescindendo dal lievissimo spostamento parabolico dovuto al moto
terrestre. Correggo: posta una situazione in assenza d'aria non vi
sar� alcun "lievissimo spostamento parabolico", la caduta �
perpendicolare e basta.
Vengo ora a Bruno Cocciaro.
> non riesci a centrare le tue risposte nel
> merito. E il motivo per il quale non ci riesci e', a > mio avviso, che, senza
> aver capito il punto di partenza della relativita', si corre fortemente il
> rischio di girare a vuoto senza rendersene conto. E
> quel punto di partenza
> tu non l'hai capito.
Bruno,
Il "punto di partenza" della relativit�, a mio avviso, � nel principio
galileiano e nei due postulati della teoria ristretta. Il primo, come
ho mostrato, � comunemente frainteso (Galileo non applica il suo
principio di relativit� ai "sistemi aperti") e da ci� derivano alcune
conseguenze. Invece i due postulati einsteiniani, per l'appunto, sono
postulati: per Einstein era un postulato il principio di relativit�
come per Newton erano postulati lo spazio e il tempo assoluti (come ha
rilevato Holton, Einstein nel celebre articolo nel giro di due righe
trasforma la "congettura di relativit�" in "principio di relativit�" e
poi in "postulato": la cit. dovrebbe essere in Einstein e la cultura
scientifica del XX secolo, Il Mulino). Di un postulato, anche nel caso
funzionasse benissimo, ancora non si afferma con certezza in quanto
postulato la verit�. Non bisogna mai dimenticare questo, che alla base
di tutto sono dei postulati: in linea di principio nulla impedirebbe
di partire da altri postulati, se i postulati accettati apparissero
dubbi e se da altri postulati si ricavasse qualcosa di buono (il che
certo sarebbe da mostrare).
Mi dici: tu non spieghi cos'� il tempo reale. Ho cercato di farlo nei
limiti del possibile, ma non � veramente possibile. "Aion" non � una
parola come tante, che io metto l� perch� mi piace (magari al posto di
Paiort o Vestiq). Deriva dal greco, � usata dai primi pensatori greci.
Vuol dire "aei to on" e cio�: ci� che � sempre (lett. "sempre
essente"). � l'eterno, un eterno immanente. Questo tempo non ha a che
fare (come mi � stato detto il 25.3) con il divenire, col mutamento.
Non � Cronos. Tutto questo non si pu� spiegare, non si pu� capire, non
si pu� misurare. Riguarda l'infinito, e l'infinito nel tempo �
incomprensibile come l'infinito nello spazio: la mente qui si scontra
con i propri limiti. � per questo che sono stato volutamente vago al
riguardo. In questo senso io per primo dico che questo tempo non
riguarda la scienza.
Tuttavia, senza librarci nel cielo metafisico, � forse possibile in
un'accezione pi� ristretta considerare con un simbolo un "tempo reale"
senza impegolarci in impossibili discussioni. Scendendo dunque dal
cielo metafisico, ove a volte manca l'ossigeno e si fatica a
respirare, io ti ho rinviato pi� nel concreto ad alcuni passi di
Guillaume (che poi � solo un piccolo tassello nel mio discorso) e tu
mi hai risposto: "dice che 1 : 60 : 3600 sono diverse misure (ore,
minuti, secondi) della stessa durata temporale, che banalit�". Ma
questo � solo un semplicissimo esempio che fa Guillaume. Bisogna poi
vedere come lo applica ai tempi relativistici, e questo � tutt'altro
che semplice. Penso che Guillaume si riferisca ai sistemi di
trasformazione che permettono il passaggio da un sistema all'altro:
direi che � come tradurre uno stesso "invariante" spartito musicale in
diversi "covarianti" (pianoforte, orchestra di archi, etc.). Guillaume
dice per� che questa trasformazione � possibile appunto perch� �
sotteso un tempo reale (che non scomoda Aion e che lui se ben ricordo
ritiene esprimibile con un simbolo inseribile nelle equazioni: parla
di tempo "monoparametrico"). Al riguardo io ho cercato di
esemplificare non con l'immagine del pavimento e delle mattonelle,
come tu dici, ma con l'immagine pi� astratta del quadrato composto di
50 quadratini. Forse avrei fatto meglio a parlare di un quadrato
composto da figure geometriche diverse di cui sia tuttavia possibile
mostrare l'equivalenza (come nelle immagini classiche del Teorema di
Pitagora in cui si mostra che i due quadrati dei cateti equivalgono al
quadrato dell'ipotenusa pur essendone diversi). Spero che questo, per
quanto in maniera insufficiente, possa chiarire un poco di pi�.
Sul grave in caduta dal treno, ti ricordo: � Einstein che scrive: "io
sto al finestrino di un vagone ferroviario e (...) prescindendo dalla
resistenza dell'aria, vedo discendere la pietra in linea
retta" (Relativit�, Boringhieri, 1967, p. 50). Io critico ci� che egli
ricava da questa affermazione. Dico che nel vuoto il grave cade in
linea retta, ma il viaggiatore (e l'osservatore sulla banchina)
"ricostruisce" una parabola perch�, anche prescindendo dall'attrito,
stante il moto in avanti del treno ne viene un moto orizzontale
apparente della pietra in caduta da cui si ricava una parabola.
Vorrei anche precisare alcune cose sul principio di autorit�. Quando
io dico che la stessa frase fa un effetto diverso se contestata al
signor Rossi o ad Einstein, non intendo dire (anche se per molti penso
sia proprio cos�) che tu la accetti pappagallescamente solo perch�
detta da Einstein. Tu mi dici di ritenere la contestazione di quella
frase come errata (addirittura spassosa) a prescindere dal fatto che
sia contestata al signor Rossi o ad Einstein: ebbene, non ho motivo
per non crederti. Io non intendevo minimamente offenderti, e non ho
detto che tu prendi per buona senza ragionarci una frase solo perch�
l'ha detta Einstein. Quanto io volevo dire � che la contestazione di
una frase del signor Rossi non suscita lo stesso scandalo della
contestazione della stessa frase detta da Einstein.
Proprio qui vorrei dire qualcosa sul principio di autorit�. A costo di
sembrarti contraddittorio devo dirti che io non disprezzo il principio
di autorit�. L'ipse dixit (autos efa) pitagorico � ormai inteso come
segno di dogmatismo autoritario, ma nel suo senso originario esso
voleva dire solo questo: lo ha detto lui, Pitagora, non il primo
venuto. Cio�: se l'ha detto un uomo di provata esperienza e maturit� e
sapienza allora, anche se quanto dice ti pu� sembrare a tutta prima
strano o errato o assurdo, prova a ragionarci su e a capire. Pi�
banalmente, e senza scomodare Pitagora, se un docente di greco mi dice
che l'aoristo � cos� e cos�, io tendo a credergli. Ed � giusto e
comprensibile: la ribellione inconsulta al principio di autorit� �
solo segno di immaturit� e infantilismo (la psicoanalisi vi vedrebbe
facilmente irrisolti conflitti con la figura paterna). Poi per�, e su
questo dovremmo essere d'accordo, il principio d'autorit� non basta:
anche il docente di greco pu� sbagliare e, per quanto la cosa possa
sembrare molto difficile, financo Pitagora potrebbe sbagliare.
Peraltro, io prendo in considerazione la possibilit� di essere in
errore e non mi sembra giusta l'accusa che mi rivolgi, di non avere
capacit� di ascolto.
Non ho avuto pessimi maestri, per il semplice fatto che non ho avuto
maestri. � tutta farina del mio sacco, "da solo pigio l'uva" (� una
bella espressione di Schopenhauer), nessuno mi ha corrotto. Nessuno
dei docenti di fisica di Liceo con cui ho parlato condivide
minimamente le mie idee. I molti libri che posseggo e su cui ho
studiato in tema di relativit� sono libri a diversi livelli di
esposizione e tutti presuppongono un assenso totale. Tutto quello che
posseggo contro la relativit� � un vecchissimo e scanzonato numero di
una rivista ("Frigidaire"). Poi il libro di Bergson, ma quando l'ho
letto gi� ero pieno di dubbi e comunque la mia concezione del tempo
non � quella bergsoniana. Sono andato a rivedere, certo, i vecchi
critici di Einstein soprattutto degli anni venti, ma quando gi� avevo
i miei dubbi (e comunque i loro testi li ho trovati, quando li ho
trovati, citati in contesti di totale stroncatura). Poi i fisici che
io ringrazio non sono affatto concordi con me in tema di relativit�, e
mi guardo bene dall'attribuire loro le mie tesi: semplicemente,
anzich� insultarmi mi hanno rivolto alcune critiche, che in alcuni
casi mi hanno fatto pensare e rivedere alcune cose.
In particolare il professor Vittorio Banfi, a me carissimo. Non
condividendo egli la teoria del Big Bang, accett� di presentare a
Milano e di recensire il mio primo breve scritto in proposito, ma
quando andai a toccare la relativit� fu ben diverso. Gli inviai il
dattilo di quello che poi divenne "La relativit� e la falsa
cosmologia" e poi circa due settimane dopo andai a trovarlo per sapere
cosa ne pensava. Non dimenticher� mai la scena, � come se fosse
avvenuta ieri. L'anziano professore mi accolse una sera in uno
studiolo pieno di libri, scuoteva la testa e mi diceva: "lei mi ha
deluso, mi ha deluso, mi ha deluso. La prego, non si faccia trascinare
dall'ambizione, si fermi. Non pubblichi questo testo, lei � un
filosofo non un fisico, la faranno a pezzi, non lo pubblichi.
Pubblichi solo la seconda parte, sulla critica al Big Bang che � non
in tutto accettabile, ma � nella sostanza accettabile. Ma la prima
parte, mi ascolti, non la pubblichi". A questo punto avvenne la scena
che non dimenticher�. Gli si illumin� il volto e come riandando
indietro con la mente disse: "ma lei non sa cos'� stato Einstein per
noi. Eravamo giovanissimi, quando cominciammo a vedere quelle
equazioni. Restammo tutti a bocca aperta, stupefatti, increduli, pieni
di ammirazione. Che roba, che chiarezza, che meraviglia, un mondo
intero ci si spalancava davanti agli occhi". Poi mi contest� due cose
(una era ci� di cui si sta discutendo qui, sul grave in caduta dal
treno), ma non argoment�: disse solo "non � vero, non � vero, non �
cos�, lei si sbaglia". Aveva la voce spezzata e incrinata, quasi il
fiato grosso, e non insistetti. Lo salutai con affetto e me ne tornai
a casa.
Ora saluto anche te
Marco
Received on Fri Apr 09 2010 - 11:44:39 CEST
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