Re: Due domande sul determinismo di Laplace <lbhi3k$e1c$1@dont-email.me> <bk5hc3F6lu2U1@mid.individual.net> <ziREu.18578$Th2.11131@tornado.fastwebnet.it> <lc9a4i$1qd$1@dont-email.me> <zdNGu.19436$Th2.16790@tornado.fastwebnet.it> <unWGu.19533$Th2.7093@tornado.fastwebnet.it> <94hHu.19703$Th2.17829@tornado.fastwebnet.it>

From: Omega <omega_at_NOyahoo.it>
Date: Mon, 03 Feb 2014 17:45:22 +0100

Loris Dalla Rosa
> "Omega"
>> Loris Dalla Rosa
>>> "Persio"
>>>> Loris Dalla Rosa
>
>> ...
>
> ...
>
>> Non ha posto neppure la limitazione dell'affascinante libro
>> inesistente citato da Borges [la mappa 1 a 1 dell'impero - (Suárez
>> Miranda, Viajes de varones prudentes, libro IV, cap. XIV, Lérida,
>> 1658) - libro appunto inesistente.]
>>
>> No, quell'"intelligenza" è l'"impero" stesso, vale a dire
>> l'universo, con tutti gli enti di ogni specie esistenti in esso con
>> la loro libertà o autonomia esistenziale. Cioè l'"intelligenza" non
>> ha "dentro" di sé la mappa dell'universo, e neppure è essa stessa
>> una mappa alla Suárez Miranda, ma è proprio l'universo.
>
> Ecco, la mappa borgesiana in scala 1:1 dell'impero. Una mappa
> impossibile, perche' coincide con il territorio (o il territorio
> coincide con la mappa). La questione diviene meramente nominalistica.
> Ma non e' questo che intendeva Laplace, che non ne faceva una
> questione nominalistica.

La mappa di Borges, se non ricordo male, non era l'impero, come invece
io sto dicendo, ma qualcosa di "steso sull'impero", mappa di cui, dice
infatti, esistono ancora frammenti qua e là. Quindi tale mappa è "altro"
dall'impero, e semmai vi appartiene come "prodotto" dell'impero, di
qualche suo matto (non ne mancano mai).

>> Dunque la prova della validità dell'ipotesi di Laplace è che
>> *nella realtà* l'"intelligenza universo" tiene conto
>> immancabilmente e ineccepibilmente del passato, essendolo stato, e
>> del presente essendolo, e su tale conoscenza (che è il suo essere
>> stato ciò che è stato e essere ciò che è) costruisce il futuro in
>> assoluta ineccepibilità, non trascurando neppure ciò che è
>> ineffabile come la realtà degli enti in quanto autonomi e liberi
>> (persino volenti) nel presente.(*)
>
> Mmmm..., penso che non dovresti attribuire a Laplace quella che e'
> una tua pseudo-soluzione. Dico "pseudo-soluzione", perche' parlare di
> "intelligenza universo" significa attribuire, del tutto
> gratuitamente, all'universo facolta' tipicamente umane.

Categoricamente: no. :)
*Intelligenza universo* non è "intelligenza _dell_'universo", cosa
ben diversa che si presterebbe alla tua osservazione.
Intelligenza universo è l'essere quello che è dell'universo, il suo
funzionare così come funziona e basta. Questo suo essere quello che è e
funzionare come sa funzionare non è sovrastrutturale, ma i filosofi
direbbero che è *essenza*.
L'universo, in quanto ineccepibilmente funzionante secondo le leggi
fisiche - non certo solo quelle che noi abbiamo scoperto o crediamo che
valgano per l'universo intero, - è "intelligente" nel senso che non
sbaglia (e non può sbagliare) nessuna mossa sulla schacchiera che esso
stesso è. Diceva Cartesio che, fatto salvo il miracolo della creazione,
il mondo si sarebbe fatto da sé col tempo così come lo vediamo oggi
(scusa, è a memoria). E ovviamente aveva ragione (anche se nessuno ha
osservato che questa è la prima dichiarazione relativa all'evoluzione
che, per quanto ne so, si ricordi nella storia).

A parte questo, la mia domanda è: l'universo sbaglia o può sbagliare? La
risposta è che non ha alcun senso pensarlo: funziona come funziona,
ineccepibilmente, e se è vera la questione del tempo, l'universo
realizza il presente su un passato infinitamente vicino e realizzerà un
futuro infinitamente vicino (passato e futuro così infinitamente vicini
da coincidere con il presente, a dispetto dei contraddittori concetti di
limite e di infinitesimo).
L'universo è ineccepibilmente intelligente perché qualunque mossa noi (o
chi altro) facciamo sulla sua scacchiera, la sua risposta è quella
ineccepibilmente giusta (perché la nostra mossa *era già* la sua mossa).
Noi, come tutto, siamo parte integrante della sua mossa presente.

In questo senso io comprendo il "meccanicismo" di Laplace, non come
banale meccanica come intesa dalla fisica, dalla tecnica e dalla
tecnologia, ma come ineccepibile, perfetto legame fra i due infinitesimi
che stanno accanto al presente (ammesso e non concesso che ci siano).
Possiamo dunque dire che l'universo sbaglia? No, assurdo, impensabile,
privo di ogni senso. Sbaglierebbe rispetto a che cosa? All'intelligenza
delle formiche che abitano questo pianeta)? Figuriamoci!
Dunque non sbaglia e non può sbagliare essendo quello che è e non
potendo essere altro da quello che è.
Perciò dico che è la realtà più *intelligente* che si possa pensare.

E non credo che Laplace, le cui lodi tu stesso stai tessendo, pensasse a
un'intelligenza meno "totale" di questa. Non parla neanche di Dio, non
tanto per non scandalizzare gli atei del ventunesimo secolo :), ma
semmai perché pensava a un 'Deus sive Natura' alla Spinoza (la cui idea
discende, a mio parere, direttamente dalla dichiarazione di Cartesio di
cui sopra).
E questa è la mia interpretazione, non un'altra.

> In realta' con tale espressione esprimi solo una tua opinione: che
> l'universo e' razionale (e anche di questo si potrebbe dubitare); ma,
> se e' razionale, di *quale* razionalita' si tratta? La "razionalita'"
> dell'universo e' quella deterministica di Laplace? O e' quella della
> funzione d'onda di Schroedinger? E' quella del big-bang o quella
> della nebulosa primitiva Kant-Laplace?...

Vedi sopra, niente di così umano troppo umano, e penso che neppure
Laplace pensasse a una "razionalità", e tantomeno simile alla nostra -
sulla quale permettimi di nutrire qualche perplessità, visto che stiamo
fottendo il mondo - e ne siamo *tutti* responsabili. E il mondo,
l'universo, nella sua "logica" ineccepibile, fa quello che sa fare,
reagisce ineccepibilmente al fottimento, e ci fotte (nella sua per così
dire, matematica assoluta e priva di indecidibilità). Chiamalo
non-intelligente! :)

>> ... non credo all'ingenuità di un meccanicismo banale in Laplace.)
>
> Caro Omega, non mi riterrai cosi' sprovveduto da considerare Laplace
> uno sprovveduto?:-)

Lo stai dicendo qui sotto, che è uno sprovveduto, con la tua
considerazione sulle invasioni di campo. Lo stai dicendo in stile isf
(per non far nomi) :))

> Non nego certo i suoi contributi circa la meccanica celeste ne', in
> particolare, quelli allo sviluppo della teoria della probabilita'.
> Guarda caso, la citazione da cui siamo partiti (e alla quale sarebbe
> bene attenersi) e' tratta dal "Saggio filosofico sulle probabilita'"
> del 1814. In esso tratta di problemi relativi all'applicazione del
> calcolo probabilistico (appunto) nello studio dei fenomeni naturali.
> Il ricorso a tali criteri probabilistici era in netto contrasto con
> la concezione rigidamente deterministica dominante ai suoi tempi. E'
> per questo che, a un certo punto, per risolvere il contrasto se ne
> vien fuori con quelle affermazioni riportate nella citazione.

Se è vero che il caso interviene in alcuni fenomeni, tale caso prima di
tutto è un'astrazione nostra che applichiamo quando siamo in difficoltà
con certi fenomeni (banalmente: nella fisica dei gas non puoi scrivere
un'equazione per ogni molecola, anche se probabilmente avremmo delle
sorprese se potessimo farlo; ma l'universo in quanto tale "sa"
esattamente cosa fa ogni molecola, essendola). Se il caso fosse reale
nell'universo (ma ovviamente non ci credo), esso sarebbe
*dell*'universo, ossia un *suo* comportamento, non qualcosa al di fuori
o al di sopra di esso. (Perciò dico che l'idea di caso è metafisica in
senso banale, come la intendiamo noi.)

Dunque Laplace in questo non si contraddice affatto, perché
l'"intelligenza" di cui parla potrebbe forse ignorare il caso? No,
parimenti non potrebbe ignorare la realtà dell'autonomia degli enti, di
cui ho già parlato, e che è quella che renderebbe del tutto impensabile
un meccanicismo banale relativamente al futuro. Tale "intelligenza" non
vede ma *include* (*é*) il pensiero e le decisioni degli enti nella loro
libertà, quindi neppure da questa parte può sbagliare le sue mosse.

Spesso succede che i filosofi
> vengono accusati di mettere il becco in questioni scientifiche di cui
> non sono competenti; ecco un esempio al contrario: di uno scienziato
> che sconfino' in questioni filosofiche da cui faceva bene a tenersi
> alla larga.

Qui lo dicono anche di Heisenberg, e sto aspettando che me lo dimostrino.

Questa osservazione comunque la sento troppo spesso, e mi chiedo sempre
che senso abbia al di là dei gerghi specialistici e della tendenza umana
alla parrocchia.
Un serio studioso, di qualunque disciplina o visuale sul mondo, che non
si ponga domande meta-disciplinari fino alla logica e alla filosofia,
che non si chieda cioè il senso dei propri stessi riferimenti
disciplinari, insomma che non eserciti la critica, io non riesco neanche
a pensarlo. E non riesco a pensare uno, la cui disciplina d'elezione è
la filosofia, che non si chieda come funziona il mondo intorno a lui.
Aristotele se lo è chiesto, anche se ha dato risposte che oggi fanno
sorridere anche l'ultimo degli studentelli di fisica (quando non
riflettono abbastanza).

Detto questo, chiudo con una nota: uno, non essendo un credente, su
che basi affermerebbe l'inesistenza di Dio, non appartenendo egli
alla parrocchia a cui Dio appartiene (religiosi, teologi, credenti in
genere)? Gli si potrebbe chiedere: allora di che stai parlando, alla
luce dell'osservazione scritta qui sopra sulle presunte illecite
invasioni di campo?

Che è in sostanza un'osservazione sull'impenetrabilità delle conoscenze.

Alla quale non credo neanche per sbaglio, non credendo affatto che la
mente umana sia fatta per compartimenti, tantomeno stagni.

> Un saluto, Loris

Ricambio il saluto
Omega
Received on Mon Feb 03 2014 - 17:45:22 CET

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