OK, stasera mi dedico all'attrito radente :)
O meglio, a una serie di questioni di contorno che sono venute fuori
nella discussione.
Intanto, mi pare assodato, col contributo di molti, che l'attrito � un
fenomeno estremamente complesso, che non si lascia schematizzare in
poche leggi semplici.
Anche parti basilari delle cosiddette "leggi dell'attrito", come la
proporzionalit� tra forza di attrito e forza premente, l'indip. dalla
superficie di contatto; o l'indipendenza dalla velocit� per l'attrito
dinamico, mi pare che abbiano un campo di validit� mal definito, e
certamente non ampio.
Mi pare anche chiarito che sia estremamente difficile eseguire delle
"verifiche sperimentali" che non siano alquanto grossolane.
Tutto questo non va contro l'uso di quelle leggi come criteri
orientiativi nelle applicazioni pratiche, dove di regola non � poi
necessaria una grande precisione.
Se qualcuno non l'avesse capito, lo spiego meglio: la mia polemica era
ed � contro l'uso, diffusissimo nella didattica della fisica, e non
solo in Italia, di presentare in modo acritico quelle "leggi", a volte
senza dire una parola sui loro limiti e sulla loro portata. Spesso ci
si limita a dire che hanno "validit� approssimata", il che non vuol
dire assolutamente niente, visto che si potrebbe dire lo stesso di
qualunque legge fisica, se non si d� la minima indicazione sulla bont�
dell'approssimazione e sui limiti di validit�.
Viceversa i libri, sia secondari sia universitari, sono pieni di
problemi dove quelle leggi sono assunte come indiscusse; idem per le
prove di esame.
E' questo soprattutto che io ho voluto condannare: questo non � fare
fisica.
Chenickname ha scritto:
> O accademici nelle nuvole! :-)
> Non e' la prima volta che vi vedo in crisi sulle cose semplici
> (sintomo di genialita', non discuto).
>
> Mi ci son voluti pochi minuti per montare un esperimento casalingo
> come questo e verificare la bassa dispersione delle leggi sull'attrito
> radente:
In parte Giorgio Bibbiani mi ha anticipato, ma io (accademico nelle
nuvole) avrei voluto chiederti:
- hai fatto delle misure?
- puoi darci i numeri?
- spiegheresti pi� in dettaglio le condizioni dei tuoi "esperimenti"?
- pensi davvero che un esperimento "casalingo", magari utile per avere
delle indicazioni su un fenomeno, possa permetterti di stabilire una
"legge"?
Aspetto delle risposte, non chiacchiere...
> Prendevo lo spunto per ironizzare sulla tendenza degli accademici a
> svolazzare tra le nuvole, tendenza che ho verificato tante volte da
> poterne estrarre una legge universale. :-) Il prof, dalle sue parole,
> probabilmente ignora tutti gli studi tecnologici all'interno dei
> laboratori industriali che hanno dovuto lavorare con gli attriti
> radenti: ferrovie, costruttori di freni, frizioni, pneumatici...
Forse ricorderai che a suo tempo avevo scritto:
> Piacerebbe anche a me saperlo.
Intendendo con questo che non sono a conoscenza di esperimenti,
chiaramente descritti, che indichino accuratezza e limiti di validit� di
quelle cosiddette "leggi"
Tu che forse li conosci, potresti illuminarmi...
Poi va da s� che non ignoro affatto che moltissime applicazioni in campo
meccanico hanno bisogno di fare i conti con l'attrito, e quindi
debbono avere delle regole su cui basarsi.
Ma da questo parlare di "leggi" ci corre: non so se tu cogli la
differenza, anzi temo di no.
> Qui entriamo in epistemologia: queste leggi fisiche si ricavano per
> aristotelica astrazione dalle osservazioni empiriche. Che altro?
Molto altro: dovresti leggerti quella pagina di Feynman che Giorgio ti
ha citato.
> La "legge" sull'attrito radente si puo' astrarre da un'ampissima gamma
> di materiali.
Dici? Tu stesso subito appresso hai scritto:
> Il "coefficiente di attrito" non e' mica una "costante
> universale" ! :-)
> Dipende da moltissimi fattori tecnologici, in primis dalla rugosita'
> delle superficie. Mi stupisco del tuo stupore. Inoltre c'e' tutta una
> serie di non linearita' dovute a vari limiti e fenomeni prettamente
> tecnici, come il consumo dei materiali, l'autolevigazione,
> l'autolubrificazione (ad es. nella ghisa per cessione di carbonio), il
> surriscaldamento, ecc. Ma tutto cio' non inficia la legge che ci siamo
> ricavati, semplicemente ne osserveremo gli scostamenti.
Bellissima la conclusione: la legge c'�, e quando non � rispettata
diciamo che stiamo "osservando gli scostamenti".
> Non e' che la legge di Hooke nelle molle di una balestra sia piu'
> rispettata che la legge sull'attrito radente nei freni.
Non ho idea, ma sei andato a scegliere un sistema assai complicato,
dove ci sono diversi elementi (le foglie della balestra) sollecitate a
flessione in maniera ampia, e per inciso anche in presenza di forte
attrito (a parte eventuale lubrificazione).
Ci sono casi molto pi� semplici e raffinati, dove la legge di Hooke ha
un largo campo di validit�: penso a tutte le molle di tipo spirale (che
lavorano a flessione) usate cme sai nei bilancieri degli orologi, e
anche (in passato) nei misuratori elettrici basati sul galvanometro di
d'Arsonval.
Oppure penso alle molle elicoidali (sollecitate in torsione) che pure
possono avere ampi campi di linearit�.
Oppure ai molti strumenti di misura del tipo "bilancia di torsione",
nei quali pure si fa affidamento sulla linearit� ossia sulla legge di
Hooke.
Ma sotto c'� una questione pi� profonda, veramente epistemologica.
C'� la distinzione fra leggi empiriche e leggi fondamentali, che a me
pare che ti sfugga del tutto.
Feynman la presenta cos�: in certi casi, pi� si studia a fondo un
fenomeno, pi� diventa complicato e sfugge alla formulazione di leggi
semplici. E' il caso dell'attrito e delle leggi empiriche in generale.
Poi ci sono casi in cui per quanto gratti, la legge che stai usando ti
appare sempre meglio confermata: � il caso delle leggi fondamentali.
Un esempio facile � la legge di gravitazione.
In prima approssimazine puoi calcolare il moto di un satellite
artificiale trattando la Terra come una distribuzione di massa a
simmetria sferica; ma trovi subito che un satellite reale (specie in
orbita bassa) si comporta in modo diverso da quello previsto dalle
leggi di Keplero: per es. il piano dell'orbita precede attorno all'asse
polare.
Dopo di che, ti accorgi che devi tener conto dello schiacciamento della
Terra, e addirittura puoi mettere a frutto la precessione (calcolata
in anticipo) per mantenere il satellite in una certa posizione rispetto
al Sole.
Di pi�: studiando in dettaglio il moto (osservato) del satellite ti
accorgi che presenta delle irregolarit�, che puoi attribuire a
irregolarit� nella distribuzione di massa della Terra.
Addirittura, a questo punto hai tanta fiducia nella legge di
gravitazione che la usi all'inverso: osservando il moto reale del
satellite ne ricavi le irregolarit� della distribuzione di massa.
> O che il motore rispetti esattamente le leggi della termodinamica.
Dicono che questo sia stato un lapsus, perch� � davvero difficile
trovare qualcosa che non rispetti le leggi della termodinamica :-)
Ma io non sono riuscito a immaginare che cosa potevi avere in mente...
> O che l'areodinamica non sia meglio provarla direttamente nella
> gallera del vento perche' se proviamo a calcolarla con la teoria dei
> fluidi vengon fuori patate.
Quindi tutti gi studi teorici di aerdinamica secondo te sono da
buttare?
E quei poveri studenti d'ingegneria che ci devono preparare esami sono
perseguitati da sadici "accademici"?
Vorresti essere un pochino pi� serio?
Certo, lo so anch'io che ci sono moltissimi casi pratici in cui � fuori
questione tentare un calcolo teorico; per� resta il fatto che prima di
testare un (modello di) aereo nella galleria del vento bisogna pure
avere dei criteri teorici per progettarlo e costruire il modello, che
poi verr� corretto in base all'esperienza.
Massimo 456b ha scritto:
> Insomma, quando si passa dal teorico al reale serve anche tanta
> esperienza.
> E non la vendono al chilo o al bit.
Permettimi di dissentire sulla tua contrapposizione "teorico/reale".
Per varie ragioni.
1. La teoria in s� non � mai sganciata dalla realt�: � sempre il frutto
di un'elaborazione (non solo di una banale e mal definita
"astrazione") sulla base di osservazioni ed esperimenti.
2. Quando si vuole applicare la conoscenza (ad es. fisica) a oggetti e
fenomeni reali � necessario un altro passo: l'elaborazione di un
*modello* (cosa diversa dal modello di aereo di cui sopra).
3� Qui sta la difficolt�: � il modello che pu� essere inadeguato, pi�
che la teoria che si mette al lavoro.
Quali siano i parametri e i dati che nel modello bisogna mettere in
conto, non te lo pu� dire la teoria, e neppure la realt� in s� e per
s�.
4. Qui hai ragione: serve "tanta esperienza". Il fisico la chiamer�
"senso fisico", altri potranno preferire termini diversi, ma si tratta
di un passo importante e difficile da insegnare.
Ma non si tratta di "teoria".
--
Elio Fabri
Received on Mon Nov 12 2012 - 22:03:49 CET
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