Re: Contenuti aggiornati libro di fisica (un po' lungo)
Paolo Cavallo wrote:
....
> Anch'io credo che non si possa presentare degli argomenti di fisica del
> Novecento nella scuola secondaria a un livello tale da svolgere problemi
> significativi. I temi di "meccanica quantistica" nelle prove scritte di
> Fisica all'esame di Stato negli ultimi anni lo dimostrano. Si possono
> costruire esercizietti su E=hf o dp*dx>h/2pi, ma non molto di pi�. Ci ho
> provato, anche in classi dove eravamo arrivati a discutere i
> quadrivettori o le implicazioni dell'esperimento di Stern-Gerlach, ma
> senza risultati apprezzabili.
Ma lo scopo dell' insegnamento della fisica deve sempre essere quello
di arrivare a risolvere problemi significativi *carta e penna* ?
(provero' a chiarire piu' avanti il senso di questa domanda provocatoria).
...
> Ma non riesco a convincermi di ci� che tu
> affermi: che dovrei semplicemente lasciar perdere e cedere il campo - un
> campo che non vedo per altro particolarmente affollato.
> Il motivo � semplice. Non trovo accettabile l'ignoranza della fisica del
> Novecento alla quale � condannato oggi chiunque non abbia una laurea in
> Fisica. Credo che per superare questo stato di cose sia utile l'impegno
> di chiunque se la senta, anche se il lavoro di alcuni sar� pi� utile di
> quello di altri.
Penso che l' alternativa non sia "lasciar perdere" ma ripartire da una
definizione realistica degli obiettivi formativi realizzabili.
Provo a chiarire il mio punto di vista anche se non mi e' facilissimo
per l' estrema complessita' dell' argomento.
Andro' quindi avanti a colpi d'accetta cercando di toccare quelli che
per me sono i punti essenzali, anche se ci sarebbero diversi distinguo
e considerazioni a margine da aggiungere...
Partiamo da due considerazioni "banali" ma non troppo per capire che
condizioni a contorno ci sono nella scuola superiore per definire certi
obiettivi anzicche' altri.
1. su cosa si innesta l' insegnamento della Fisica alle superiori ?
Purtroppo, in moltissimi casi sul nulla piu' assoluto. Di fatto in
moltissime situazioni si deve iniziare da zero non solo dal punto di
vista della disciplina in se' ma anche rispetto a considerazioni del
tutto generali su metodo scientifico, regole del gioco, ruolo dell'
esperienza etc.;
2. quanto tempo e' disponibile ? anche qui, la risposta non e'
particolarmente soddisfacente (e mi sembra che in certe situazioni la
cosa peggiorera' in breve tempo se certe bozze di quadri orari
corrisponderanno alla realta'). Un' ipotesi ragionevole potrebbe essere
quella di 3 anni di fisica a 66 ore annuali. Potrebbe essere anche un'
ipotesi riduttiva ma non e' verosimile che la situazione reale
differisca di un ordine di grandezza.
Naturalmente, delle 66 ore non tutte sono utilizzabili come ore di
"lezione frontale". Non saprei quantificare perfettamente la percentuale
ma facciamo pure l' ipotesi che si possa confinare in solo 1/4 del
tempo totale tutto cio' che non e' lezione frontale. Immagino che sia
una stima utopistica, ma questo e' il tuo campo e quindi correggimi se
sbaglio. Questo ci lascerebbe con circa 48 ore di lezione per ciascuno
dei 3 anni.
48x3 ore potrebbero essere tante se l' ottica dell' insegnamento fosse
solo quella di dare informazioni: se prendo come riferimento un tipico
libro di testo da ~200 pagine per anno, significa in media coprire tutto
al ritmo di ~4 pagine a lezione. Ma se invece si richiede che gli
studenti arrivino ad un minimo grado di autonomia nell' utilizzo , e'
decisamente poco, dovendo partire da zero o da valori negativi
(facendo anche i conti con le pre-conoscenze ingenue che permeano la
nostra cultura...).
Allora la chiave e' di ridefinire l' obiettivo in modo ragionevole e
non voler mettere quanto piu' possibile "a priori".
In modo grossolano io penso a tre obiettivi estremi:
1. solo informazione (in modo caricaturale si potrebbe dire "lezioni
divulgative" ma non lo liquiderei solo con una battuta);
2. raggiungere un livello di comprensione dei concetti fisici che
garantisca capacita' autonome di utilizzo di questi per descrivere e
spiegare almeno le situazioni piu' semplici presentate a lezione;
3. raggiungere una comprensione operativa di come funziona la Fisica in
un numero significativo di esempi;
Naturalmente si puo' (e probabilmente si dovrebbe) interpolare tra
questi estremi. In modo artificiale pero', preferisco considerarli come
tre modelli alternativi.
Consideriamo seriamente il modello 1. Privilegia l' "estensione".
Permetterebbe, evitando di "perdere tempo" a fare esercizi, di
massimizzare gli argomenti di fisica "presentati". E quindi
permetterebbe di far avvicinare i programmi svolti al contenuto di certi
libri di testo (penso p.es. all' Amaldi che arriva al Modello Standard e
dintorni!). Quali sono i lati negativi ? Secondo me il problema e'
riducibile alla domanda "cosa vogliamo che resti a distanza di anni in
una persona di media cultura nella nostra societa' ?". Ci va bene che i
principi della dinamica vengano ricordati (se verranno ricordati) allo
stesso modo della periodizzazione della Guerra dei trenta anni ?
Personalmente vedo in modo negativo l' adozione del modello 1. puro.
Da notare che e' il modello di fatto adottato da gran parte dell'
insegnamento in biologia.
Modello 2. Mi sembra quello soggiacente la maggior parte delle
impostazioni per cui, alla fine di ogni argomento, occorre "saper fare
gli esercizi". E, sempre come sensazione, mi sembra abbastanza diffuso
almeno a livello liceale, nella scuola attuale. Per certi aspetti,
riproduce (su scala minore) il modello di gran parte della didattica
universitaria. Ha l' evidente vantaggio sul modello 1. di non
accontentarsi di una ricezione passiva ma di richiedere un impegno
costante nella appropriazione di concetti e tecniche. Ovviamente (ma non
troppo!) richiede maggior tempo su ogni singolo argomento e comporta
spesso un taglio piu' o meno pesante al numero totale di argomenti
trattabili. Inoltre, proprio sulla "Fisica Moderna" mostra i suoi
limiti, in quanto si tratta di una fisica che richiede una estrema
maturita' nell' uso del formalismo (anche non necessariamente
complesso). E questo e' alla base del problema di non poter trattare
esempi significativi.
Devo dire che personalmente non sono convinto neanche di questo modello.
Da una parte mi sembra che, con i tempi a disposizione, riesca a
funzionare con una frazione minoritaria di studenti (per la maggior
parte, esagerando, il messaggio che resta e' "che formula devo usare ?"
). Dall' altra mi sembra che cloni in modo acritico l' atteggiamento
dell' insegnamento della matematica (che, statistiche alla mano,
definirei fallimentare) senza far entrare in nessun modo le specificita'
della Fisica.
Sara' chiaro allora che le mie simpatie vanno ad un modello 3 che pero'
mi sembra ancora di nicchia (forse questo non e' vero e dipende dal
mio punto di osservazione, smentite benvenute).
Cosa significa pero' il modello 3 ?
Per me, come prima cosa significa privilegiare fatti ed esperimenti.
Dimostrazioni e laboratorio. Laboratorio non tanto per "taroccare i
dati al fine di riconfermare la validita' della legge XY"
ma come strumento per insegnare che le conoscenze in fisica hanno
*sempre* un' origine e un limite nelle nostre capacta' di costruire ed
usare strumenti concreti.
Se 3 anni di fisica alle superiori servissero solo a imprimere nella
mente del futuro cittadino cosa vuol dire un' affermazione basata su
dati sperimentali, mi sembrerebbe un ottimo traguardo. Ma per questo
fine si passa per casi concreti propri della Fisica. Non esaustivi,
certo. Ma in quest' ottica i problemi formali diminuiscono di
importanza e molta Fisica del Novecento potrebbe essere presentata in
modo non banale.
Certamente non si arriva all' equazione del campo gravitazionale di
Einstein ne' all' equazione di Schroedinger. Ma anche solo con un
microscopio ed una telecamera, un interferometro, un diodo a
incandescenza, una cella fotoelettrica, un transistor, con immagini di
figure di diffrazione di X, neutroni ed elettroni, di camere a bolle si
potrebbero toccare "con mano" una enorme quantita' di argomenti di
Fisica del Novecento, restando sui fatti, senza bisogno di formalismi e
soprattutto dando la prova concreta che certi sviluppi formali hanno
sempre avuto un riscontro fattuale che ha richiesto altrettanti sforzi e
abilita' di "problem solving".
Insommma, lasciamo a chimici e biologi l' "idolo" dell' equazione di
Schroedinger :-) e poniamoci come obiettivo quello di far capire per
bene come i dati sulla corrente che passa per una cella fotoelettrica ci
dicono qualcosa sulla quantizzazione della radiazione o come l' analisi
del moto delle particelle browniane ci permetta di introdurre argomenti
probabilistici non banali in un contesto fisicamente piu' significativo
del lancio dei dadi.
Giorgio
Received on Thu Jun 11 2009 - 18:22:15 CEST
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