Re: La misura: il problema irrisolto della meccanica quantistica
Il 07/02/2018 23:37, Giorgio Pastore ha scritto:
> Il 06/02/18 09:49, Persio ha scritto:
>> Sono gli inconvenienti che derivano dall'avere introiettato un modello
>> mentale euclideo. Che va benissimo entro una certa scala
>> spaziotemporale ma che è inadeguato oltre certi confini.
>
> Tu lo vedi come un problema di scala. Ma in realtà e' un problema di
> sistema.
Non di scala, di interpretazione dell'esperienza sensibile e di
concezione generale del mondo.
Estrapolo alcuni passaggi dall'articolo linkato da ADPUF che ha acceso
il mio interesse. Un articolo divulgativo ma che a me sembra rigoroso
nel riassumere le principali questioni aperte dalla MQ.
1."Bell [...] per le questioni che ha affrontato, il suo articolo
costituisce una sorta di testamento scientifico. Un impegno di lavoro
per i fisici che restano: dobbiamo risolvere definitivamente il problema.
Un problema che è fisico, perché assegna all’atto dell’osservare una
funzione essenziale nella dinamica quantistica. Ma che è anche
filosofico, perché modifica lo statuto ontologico della misura,
elevandola da atto di verifica ad atto di generazione della realtà fisica."
2. "Einstein ne mette in dubbio la completezza [della MQ]. I rilievi
critici [...] nascono da considerazioni squisitamente filosofiche. O,
come afferma lo stesso Einstein, da «pregiudizi metafisici». In primo
luogo, quello del ‘realismo’ â€" l’esistenza di una realtà oggettiva,
osservabile e indipendente dall’osservatore â€" messo in discussione
proprio dal ‘problema della misura’. "
Ora, immagina se questi grandi fisici avessero considerato i loro dubbi
alla luce di questa semplice teoria: "L'Essere è uno e continuo", dove
per "Essere" si intende "tutto ciò che è".
Provo a immaginare quale corso avrebbero potuto prendere le loro
riflessioni:
Bell: Se la realtà fisica è continua, l'osservatore è parte inscindibile
dalla cosa osservata. L'atto della misura coinvolge necessariamente chi
la effettua, i suoi strumenti e l'intero Essere continuo. Ciò esclude in
via di principio che la misura possa mai essere esatta. Dunque ritenere
che la sua approssimazione sia una condizione transitoria verso la
precisione assoluta non ha significato.
Einstein: Non è concepibile una realtà oggettiva indipendente
dall'osservatore: se essa è continua anche l'osservatore è parte
ineliminabile della realtà della cosa osservata. Ne consegue che
l'osservatore non può oggettivare nulla in modo assoluto perché dovrebbe
oggettivare anche se stesso.
> Mentre non ha senso scendere sotto l' ordine di grandezza di distanze
> atomiche per la lunghezza della sbarra (anche per la migliore delle
> sbarre possibili), questo no implica che non abbia senso o non sia
> possibile misurare su scala minore. Una distanza di legame molecolare si
> riesce a misurare almeno alla precisione del centesimo di angstrom.
> Capendo cosa vuol dire, la dimensione di un nucleo la si misura e la
> scala e' dei femtometri.
Capisco che è una scala molto piccola. :-) Visto che hai la pazienza di
rispondermi lascia che ti proponga un esperimento mentale.
Vogliamo eseguire la misura *esatta* tra due facce contrapposte di una
sbarra. Per farlo avremmo bisogno di uno strumento privo di tolleranza,
e già non ci siamo, ma poniamo di averlo.
Diciamo che la sbarra è composta di "particelle" non meglio specificate,
che ha una struttura cristallina assolutamente regolare e che,
trovandosi allo zero assoluto (e di nuovo non ci siamo) è indenne dagli
effetti dell'agitazione termica sulle sue dimensioni. Ovviamente la
dobbiamo immaginare in un sistema assolutamente isolato, così che le sue
dimensioni non subiscano variazioni per influenze esterne di qualsiasi
genere.
poiché abbiamo ipotizzato che le facce della sbarra sono assolutamente
regolari, le particelle delle sue facce contrapposte giacciono tutte
sullo stesso piano. Questo ci consente di eseguire la misura della
distanza tra due particelle appartenenti alle due facce contrapposte e
simmetricamente poste ai vertici (per comodità ) delle facce considerate.
Abbiamo stabilito un bel po' di condizioni di dubbia o nulla fattibilitÃ
e corrispondenza con la realtà fisica, ma andiamo avanti.
Volendo determinare la misura massima della sbarra, e supponendo che le
sue particelle costituenti possiedono una dimensione, è evidente che la
misura vada eseguita sulla superficie esterna delle due particelle
considerate.
Per farlo con precisione assoluta occorre che il "confine" delle
particelle, cioè la loro superficie più esterna che separa "l'essere"
della particella dal suo "non essere", sia assolutamente uniforme e
continua, giacché se fossero a sua volta formato da particelle dovremmo
affrontare il problema di una ricorsione indefinita che renderebbe
impossibile una misura esatta.
Ma immaginare che il confine della particella sia "continuo" e
assolutamente impenetrabile, contraddice il modello concettuale della
composizione "discreta", "particellare", della sbarra e della materia in
generale.
Per superare l'ostacolo sarebbe necessario recuperare Democrito e
supporre che le particelle elementari costituenti la materia siano
indivisibili, e quindi non materiali.
Bene, lasciamo in sospeso la questione: posizioniamo lo strumento e
diamo avvio alla misurazione. La prima difficoltà concettuale sorge dal
considerare che la posizione iniziale delle parti "sensibili" dello
strumento di misura (per comodità immaginiamo che si tratti dei rebbi di
un micrometro) è "esterna" rispetto alla sbarra, in una posizione in cui
la sbarra *non esiste* e dove abbiamo supposto che null'altro esista.
Per come abbiamo immaginato l'esperimento, nella regione dello spazio in
cui sono i rebbi prima di toccare la sbarra c'è... "nulla".
In tale condizione per essere certi che girando la vite i rebbi
incontreranno prima o poi la superficie delle due particelle
contrapposte, dobbiamo supporre che il "nulla" possieda una dimensione
spaziale, e nessuna proprietà materiale. Si tratterebbe quindi di un
"nulla misurabile" anch'esso, e questo contraddice la definizione di
"nulla".
Tuttavia l'esperienza ci dice che continuando ad avvicinare i rebbi
prima o poi, e in un tempo determinabile, essi incontreranno i
riferimenti della sbarra che abbiamo scelto, per cui, con ottimismo
positivista, proseguiamo fino ad ottenere una misura leggendola sulla
scala graduata. Qui naturalmente sorge un'altra problematica: le
divisioni sulla scala graduata non sono "infinite", possono essere al
massimo pari alla dimensione delle particelle che la costituiscono,
dunque la misura non può comunque essere "esatta". A meno di non
considerare le particelle inestese, prive di dimensione, come il punto
geometrico.
Non essendo un fisico ha condotto l'esperimento in modo sicuramente non
rigoroso, ma credo di avere comunque evidenziato come la concezione
"discreta" della materia conduca a paradossi apparentemente
ineliminabili e alla conclusione che nelle condizioni date nessuna
misura può essere esatta.
Non potrebbe esserlo nemmeno se la concezione della materia fosse
"continua", ma lo sarebbe in conseguenza non di errori concettuali bensì
di soli due postulati: l'Essere è uno e continuo.
Riguardo alla concezione discreta della realtà si dovrebbe introdurre
una riflessione sul cervello: strumento straordinario, ma che supporre
perfetto sarebbe infondato, giacché la sua percezione della realtà non è
affatto neutra né priva di limiti e distorsioni.
Mi limito ad accennare alcune caratteristiche delle sue facoltà , perché
questo mi consente di precisare alcuni concetti riguardo alla continuitÃ
della realtà fisica.
Con ogni probabilità il cervello ha una funzione "di servizio" rispetto
alle esigenze di sopravvivenza dell'organismo. Salvo che non si sia
credenti nel Dio biblico. la sua missione originaria non è la pura
speculazione: è garantire le migliori possibilità di sopravvivenza
all'individuo e alla specie.
Alla scala dimensionale che occupa l'uomo, il cervello conosce il mondo
attraverso i sensi come un insieme discreto di elementi continui. E
questo ovviamente influenza la qualità e le caratteristiche dei modelli
concettuali che la mente (intesa come prodotto dell'attività cerebrale)
elabora su di sé e sul mondo.
Una pietra non è una pozza d'acqua; una mela non è un albero ecc. ecc.
Gli oggetti (iniziamo a chiamarli "enti") o ci sono o non ci sono per la
percezione. E quando ci sono: ad esempio una mela sul ramo percepita
dalla vista, permangono anche quando escono dal campo della percezione
grazie alla memoria. Per l'individuo il Sole non "scompare" dalla
coscienza quando tramonta solo perché la memoria ne conserva la presenza
ciclicamente costante.
Dico questo perché nei modelli concettuali e nelle rappresentazioni più
astratte della realtà elaborate dalla mente invece gli enti appaiono e
scompaiono: una mela esiste o non esiste.
"Veramente è convinto che la Luna esista solo se qualcuno la guarda?"
Chiede Einstein a Pais riflettendo sui paradossi della MQ.
Immaginiamo di osservare un'onda sinusoidale attraverso uno strumento
(oscilloscopio) tarato su una sensibilità di soglia pari alla metà della
sua ampiezza: lo schermo mostrerebbe un susseguirsi "discreto" di semionde.
Questo credo sia un modello valido dei limiti concettuali che derivano
dalle rappresentazioni mentali degli enti e che rendono impossibile, o
controintuitivo, concepirli come manifestazioni del continuo.
Il continuo a quattro dimensioni (Tempo compreso) è semplicemente
inconcepibile alla mente senza ricorrere ad artifici e approssimazione.
Ma ciò non vuol dire che non sia.
Dunque l'ipotesi è che per la mente gli enti discreti esistono in quanto
approssimazioni necessarie del continuo. E questo sembra dimostrarlo
l'impossibilità della misura esatta, cioè della identità dimensionale
tra due enti.
Una approssimazione che nei linguaggi logico matematici viene racchiusa
e confinata negli assiomi che li reggono. E, per inciso, questo si
verifica anche nel linguaggio naturale, visto che nessun significante è
perfettamente esauriente e che nessuna espressione può dirsi priva di
ambiguità e incompletezza.
Ora, mi metterei nei guai se dicessi che il linguaggio formale usato per
descrivere la realtà fisica discreta è inadeguato a descrivere la realtÃ
fisica continua, e che concetti come "nulla" e "infinito" non hanno
senso in quanto non aderenti alla realtà fisica. O, più probabilmente,
susciterei solo qualche ilarità .
Eppure sono piuttosto convinto che certi paradossi suscitati dalla MQ
derivino proprio dallo scollamento tra linguaggio formale e realtÃ
fisica continua.
Ma come si faccia a sostituire il concetto di "zero" con "quantitÃ
piccola a piacere" e "infinito" con "grande a piacere" non saprei dirlo.
Spero di non averti annoiato troppo, ma esiste sempre la libertà di non
leggere. :-)
Saluti.
Received on Wed Feb 14 2018 - 12:18:09 CET
This archive was generated by hypermail 2.3.0
: Fri Nov 08 2024 - 05:09:56 CET