Re: Deformazioni di un continuo

From: Elio Fabri <elio.fabri_at_tiscali.it>
Date: Sun, 22 Oct 2006 20:50:37 +0200

Alessandra Gionti ha scritto:
> Una tua spiegazione la considererei preziosa indipendentemente dal
> fatto che possa tornarmi utile in sede d'esame ^_^
> Ma ovviamente se non vuoi/puoi fa nulla.
Sono stato qualche giorno fuori Pisa, e vedo che nel frattempo e'
ricomparso Valter, che qualcosa ti ha gia' detto.
Pero' forse una spiegazione con un maggior numero di parole non fara'
male ;)
A patto che tu accetti, come avevo detto, una presentazione abbastanza
diversa, anche se nella sostanza sempre la stessa.

1. Abbiamo a che fare con un sistema continuo, del quale
identifichiamo i diversi punti (P, Q...) che occorrendo potremo
descrivere con opportune coordinate.
E' anche importante che ricordiamo che dovremo stabilire un _sistema
di riferimento_ rispetto al quale quei punti vengono riconosciuti come
punti dello "spazio", cosi' che abbia senso poi dire "il punto P,
inteso come un punto del sistema in esame, si e' spostato in una nuova
posizione P'": il punto e' sempre lui, ma la posizione geometrica e'
diversa.

2. Cio' posto, consideriamo uno _spostamento_ del sistema, in cui ogni
punto P va a occupare una nuova posizione P': potremo allora definire
il _campo degli spostamenti_, definito dall'insieme dei vettori
applicati d(P) = P'-P (per usare la notazione grassmanniana che ha
usato Valter).
Dunque d(P) e' un _campo vettoriale_, come il campo elettrico ecc,
solo che ha un significato geometrico.

3. Occorrera' fare qualche ipotesi di regolarita' su questo campo: che
sia continuo e differenziabile. In poche parole, che punti vicini
abbiano spostamenti poco diversi, e addirittura che a meno
d'infinitesimi di ordine superiore al primo, d(Q) possa essere
scritto:

d(Q) = d(P) + T(P) s

dove con s ho indicato il vettore Q-P e T e' un _tensore_ (spero che
il termine "tensore" non ti metta paura, ma in sostanza lo puoi
pensare cone una matrice 3x3).
In altre parole, la differenza d(Q)-d(P) tra gli spostamenti di punti
vicini dipende linearmente da s (sempre a meno di termini di ordine
superiore, che potremo quindi trascurare se q e' abbastanza piccolo).
Osserva che in generale il tensore T varia con la scelta di P: si
tratta dunque di un _campo tensoriale_.

4. La condizione di regolarita' e' sempre soddisfatta, a meno che
il sistema non si rompa o si strappi, e a patto che restiamo nello
schema del continuo.
Voglio dire che se tu andassi a guardare nel microscopico cosa fanno i
singoli atomi nel corso della deformazione, potresti trovare delle
anomalie, tipo dislocazioni, formazione di microfratture... Tutte cose
che su scala macroscopica pero' non sono visibili.
Nota che l'ipotesi di regolarita' non richiede ne' che la deformazione
sia piccola, ne' che sia elastica o reversibile. Ma su questo torno
fra poco.

5. Ora tutto si riduce a studiare le proprieta' del tensore T.

5.1. Se il campo di spostamenti e' una traslazione rigida (quella che
ti dava da pensare) la cosa e' assai semplice: il campo degli
spostamenti e' costante, d(Q)=d(P), quindi T=0.

5.2. Se abbiamo a che fare con una rotazione rigida, allora (per
definizione) la distanza PQ non cambia.
Non solo: non deve cambiare neppure la distanza QR tra due punti
qualsiasi, il che equivale a dire che nel triangolo PQR tutti i lati e
tutti gli angoli restano costanti, e quindi che il prodotto scalare
tra i vettori s(Q), s(R) resta inalterato.
Dunque:

(s(Q),s(R)) = (s(Q)+T(P)s(Q), s(R)+T(P)s(R)).

(indico con (a,b) il prodotto scalare dei vettori a, b).
Sviluppando:

(s(Q), T(P)s(R)) + (T(P)s(Q), s(R)) + (T(P)s(Q), T(P)s(R)) = 0

o anche

(s(Q), T(P)s(R) + (s(Q), T'(P)s(R)) + (s(Q), T'(P)T(P)s(R)) = 0 (1)

dove T' indica il tensore "aggiunto" di T (insomma, la matrice
trasposta).
Dato che la (1) deve valere per tutti i possibili s(Q), s(R), ne segue
la condizione su T:

T + T' + T'T = 0 (2)

che caratterizza il tensore della piu' generale rotazione rigida.

6. Fin qui al campo degli spostamenti abbiamo solo imposto la
regolarita', ma non abbiamo richiesto che fosse "piccolo".
Quindi tutto cio' che precede si applica a spostamenti molto generali.
Esempi:
1) Prendi un cubetto di plastilina, e schiaccialo con un dito. Ne
verra' una strana forma, ma il corrispondente campo degli spostamenti
e' perfettamente descrivibile come abbiamo visto sopra (naturalmente
non si tratta di una rotazione ne' di una traslazione!)
2) Prendi una molla elicoidale e tirala: puo' darsi che ti riesca di
allungarla al doppio della lunghezza originaria.
Il campo degli spostamenti e' complicato e certamente non piccolo , ma
va bene ugualmente.
3) Prendi un filo di ferro e attorciglialo come vuoi, magari
facendone una gruccia per abiti :) Ancora tutto bene.
4) Fai rotolare una palla da un angolo all'altro di una stanza: ancora
uno spostamento accettabile.

7. Se pero' il campo degli spostamenti e' piccolo, la teoria di
semplifica e si possono dire altre cose.
Campo piccolo vuol dire semplicemente che possiamo trascurare le
potenze di T rispetto a T stesso (nota che dimensionalmente T e' un
numero puro..).
In quest'ipotesi, T lo chiamero' "tensore di deformazione" (in
inglese, "strain tensor").
Allora gia' la (2) si semplifica, e diventa

T + T' = 0

che caratterizza un tensore _antisimmetrico_.
Dunque una rotazione ha tensore di deformazione antisimmetrico.
Ecco perche' torna utile separare in T la parte simmetrica da quella
antisimmetrica: quella antisimmetrica e' poco interessante, perche'
non e' una vera deformazione, ma solo una rotazione.
Infatti spesso si da' il nome di "tensore di deformazione" alla sola
parte simmetrica.

8. Ma anche sul tensore simnetrico possiamo fare qualche altro
gioco...
Immagina di prendere un pezzo di ferro e riscaldarlo uniformemente: si
dilatera' in modo tale che tutte le distanze aumenteranno nello stesso
rapporto, mentre non ci sara' cambiamento negli angoli del solito
triangolo PQR.
Questo significa che s+Ts differisce da s solo per un fattore scalare
k>1:

s + Ts = ks

che e' come dire che T e' un multiplo dell'identita':

T = cI e k = 1+c, c>0.

Duqnue una dilatazione _isotropa_ ha un tensore che e' multiplo
dell'identita'.
Ovviamente se il pezzo di ferro lo raffreddi, avrai k<1, c<0; ma T
resta sempre isotropo (multiplo scalare di I).

9. Se i tuoi ricordi di geometria non sono troppo arrugginiti,
dovresti sapre che una matrice simmetrica puo' essere sempre resa
diagonale, cambiando il sistema di coordinate.
In altre parole, che esistono sempre tre direzioni ortogonali tra
loro, tali che se s ha una di quelle direzioni anche Ts conserva la
stessa direzione: gli _assi principali_ di T, detti anche
"autovettori".
Dunque ogni tensore di deformazione puo' essere visto come tre
dilatazioni lungo tre assi ortogonali, ma in generale con fattori di
dilatazione 1+c diversi (i tre c sono gli _autovalori_ di T).

10. Il prodotto (1+c1)(1+c2)(1+c3) dice quanto cambia il volume, ed e'
ovvio che e' il determinante della matrice diagonale; quindi anche il
det. di quella di partenza, visto che cambiando assi il det. non
cambia.
Lo possiamo chiamare "dilatazione cubica" (o "volumica").
Ma la condizione di deformazione piccola significa che i c sono <<1, e
quindi la dilatazione cubica vale 1 + c1 + c2 + c3, ossia

1 + traccia(T).

Ne segue che se traccia(T)=0 non c'e' dilatazione cubica: la
dilatazione in una direzione e' compensata da una contrazione
in un'altra direzione...
Riesce quindi utile separare in T la parte isotropa (multipla di I)
dalla parte senza dilatazione cubica (traccia nulla). Si fa cosi':
posto t = traccia(T) abbiamo

T = (t/3)I + (T - (t/3)I)

e ti lascio verificare che il secondo termine ha traccia nulla.


Dato che sono arrivato al punto 10, penso che possa bastare :-)
 

-- 
Elio Fabri
Received on Sun Oct 22 2006 - 20:50:37 CEST

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