Re: primo principio della termodinamica

From: Andrea <andrea.panizza_at_hotmail.it>
Date: 19 Feb 2006 04:09:51 -0800

Valter Moretti ha scritto:

> Ciao, ti ho gi� risposto su ism facendoti notare che
> il lavoro nei sistemi termodinamici e per trasformazioni quasi-statiche
> � un funzionale che prende curve nello spazio degli stati e gli
> associa
> numeri.

[..]

>
> Il funzionale lavoro � ottenuto integrando una certa forma
> differenziale
> (non esatta) caratteristica del sistema fisico. Questi oggetti hanno
> uno status matematico ben definito ed indipendente dalla termodinamica.

Ciao, Valter,

grazie mille per il post, � davvero interessante: questa
caratterizzazione matematica della termodinamica, e gli accenni di
storia della fisica che hai fatto, mi hanno grandemente incuriosito.
Per tale ragione vorrei porti alcune domande allo scopo di approfondire
questi discorsi.
Identifichiamo lo spazio degli stati con |R^n, e consideriamo lo spazio
delle funzioni da un intervallo I di |R in |R^2, che siano derivabili e
la cui derivata non si annulla mai, cio� le curve regolari. Su questo
spazio, che chiamer� spazio delle trasformazioni quasistatiche,
definisco un funzionale che chiamo lavoro, l'integrale di p dv o di
sigma dA, V dq o altro secondo il problema in esame: fin qui ok.
Domanda: di che struttura doto lo spazio in questione? Intuitivamente
penserei a quella di spazio vettoriale topologico: la "somma" di due
trasformazioni, a patto che abbiano un estremo in comune, sarebbe la
trasformazione complessiva. A questo punto il nostro funzionale � pure
lineare e posso ricorrere ai vari strumenti criminali dell'analisi
funzionale. Si procede cos� o si segue un'altra strada? Testi
"leggeri" su cui ci sia quest'impostazione?

> La questione del calore a cui si riferisce il testo che citi � pi�
> complessa.
> Perch� il calore lo hanno dovuto *definire*, in termodinamica, prima
> di poterlo
> calcolare (la nozione di lavoro era gi� nota dalla meccanica).
> Il testo presenta un po' la storia del concetto di calore. Quello che

[..]

Mi sa che non ho capito quello che dici, complice anche la mia
ignoranza della storia della fisica. Perch� i fisici del periodo di
Joule dovevano definire il calore prima di poterlo calcolare? Il
concetto di calorimetro a ghiaccio non penso fosse troppo avanzato per
il 1840 o gi� di l�. Mettiamola sotto un altro punto di vista: quando
cerco di giustificarmi l'introduzione dell'energia interna, ragiono
cos�. Che il lavoro dipenda dalla trasformazione e non solo da stati
iniziali e finali lo vedo dagli esperimenti (basta pensare ad un
qualsiasi ciclo su cui il lavoro � non nullo). Allo stesso modo, se
definisco il calore operativamente tramite il calorimetro a ghiaccio,
vedo che anche il calore dipende dalla trasformazione e non solo da
stati iniziali e finali. Dopodich�, osservando che il rapporto fra
lavoro e calore � sempre costante per qualsiasi sistema che percorra
una trasformazione ciclica, concludo che la somma di calore e lavoro su
di una qualsiasi trasformazione quasistatica � la variazione di una
funzione di stato, o, con terminologia matematica, un funzionale che �
l'integrale di linea di una forma differenziale esatta.
Ovviamente mi dirai: � facile fare questi ragionamenti col senno di
poi! E sono d'accordo. Ma allora che senso davano questi al calore,
come lo misuravano? Se avessero usato il calorimetro, non avrebbero
dovuto notare che il calore non si conservava? Esempio: tu dici che il
calorico lo consideravano un fluido a tutti gli effetti, con tanto di
equazione di continuit� come ogni continuo materiale degno di questo
nome. Ma allora come spiegavano il fatto che, preso un sistema fisico,
io ottenere quantit� di calorico grandi a piacere <=> sciogliere
"montagne" di ghiaccio, eppure riportare sempre il sistema fisico nello
stesso stato di temperatura, pressione, ecc.? Questo si sembra
difficile da conciliare con l'idea di una conservazione della "massa"
di calorico. Naturalmente, i fautori del calorico potevano sempre dire
che il calorico si "infilava dentro" dall'ambiente esterno: per
esempio, se martello il pezzo di ferro (sistema) a contatto con il
blocco di ghiaccio (calorimetro), dir� che pezzo di ferro riceve
calorico dal martello, che il martello lo riceve da me e cos� via. Ma
allora si pone il problema opposto: se questo calorico "ce lo posso
sempre infilare", diviene impossibile dimostrare che non esiste. Come
fece Joule ad demolire l'ipotesi del calorico? Forse dimostr�
piuttosto che era un concetto non necessario, come l'etere, insomma?
Oppure ide� un esperimento in cui eliminava ogni possibile
"infiltrazione" esterna tramite particolari isolamenti, e se s� quale?


Ciao e grazie ancora per gli spunti di riflessione,
Andrea
Received on Sun Feb 19 2006 - 13:09:51 CET

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