Re: Spettro della luce solare

From: Gianmarco Bramanti <Gianmarco100_at_inwind.it>
Date: Mon, 02 Aug 2004 22:22:47 GMT

                    Il 31 Lug 2004, 19:57, "nessuno" <depositofiles_at_katamail.com> ha scritto:
> Giacomo Ciani wrote:
>
> > Certo, l'hai misurato! Ovviamnete, come ogni altra misura di variabili
> > continue, avr� il suo grado di incertezza, ma in linea dimassima la
> > direzione l'hai determinata...
>
> Ma se il fotone non � unidimensionale, allora se i rivelatori fossero
> piccolissimi e vicinissime, pi� rivelatori rivelerebbero un unico fotone
> (bello ciotto come un salsicciotto) .-)
>
>
> Cmq � meglio essere onesto con tutti.
>
> Non vogli che mtentiate di farmi capire cose sottili e profonde sui
fotoni,
> chiedo solo se considerarli come delle onde unidimensionali, come dei
> segmenti di lunghezza deltax, viaggianti a velocit� c in ogni direzione,
> possa essere un approccio accettabile. Insomma, vorrei evitare di
limitarmi
> a pensare: sonop particelle puntiformi di massa zero. Vorrei introdurre il
> concetto di pacchetto d'onda per rappresentarli (spesso � utile, lo so
> benissimo poich� lo vedo ovunque) e vorrei sapere solo questa benedetta
onda
> localizzata, con tutte le approssimazioni del caso, cosa effettivamete sia
> da un punto di vista strettamente fisico (n� filosofico, n� troppo
> sottilemnte "quantisdtico")
>
> Insomma, quando nei libri ti fanno vedere il fotone come pachetto d'onda,
lo
> considerano come? Quando lungo? Di quante dimensioni?
>
> E badate che lo so che anche il campo classico pu� essere considerato
> unidimensionale, semplificando la realt� ed immagonando che sia realmente
> unidimensionale. Ma io non voglio delle semplificazioni, voglio capire il
> fotone *come pacchetto d'onda" che razza di caratteristiche dimensionali
ha?
> Grazie
>
     
Hai avuto tante risposte, molto impegnate. Ognuna tentava di approssimare
con immagini tratte dall'esperienza quotidiana delle rappresentazioni di una
fenomenologia semplice, descritta con strumenti matematici complessi in
grado
di prevederla. Perche' dico semplice. Perche' sebbene valga il pensiero di
J. Donne che "non esiste fenomeno dell'esperienza quotidiana che non
apparirebbe come prodigioso se avvenisse una volta soltanto", tuttavia credo
che la fenomenologia quantistica abbia un grado di regolarita' e di
sistematicita'
che non ha pari nell'esperienza quotidiana, almeno al livello di risoluzione
con il
quale noi guardiamo. Tuttavia cosa rende questa
sistematicita' complessa per i nostri schemi quotidiani? Io credo che la
ragione
stia in questo: quello che riteniamo semplice ha una storia, una
consuetudine,
una evoluzione ed una stratificazione estemamente complesse. Allora
quando guardiamo con strumenti, che diciamo semplici, noi stiamo utilizzando
in
verita' complessi di informazione sintetizzati in un modo operativo adatto
ad un
contesto (e' la consuetudine che crea la semplicita') per studiare fenomeni
che
soggiacciono ad un livello basale della nostra esperienza, troviamo delle
difficolta',
delle incongruenze, la semplicita' delle esigenze della vita quotidiana di
un uomo puo'
essere molto complessa per il sistema che le deve integrare, e viceversa la
semplicita'
delle azioni quotidiane di un sistema possono essere percepite come molto
complesse
per un uomo. Cio' che crea la semplicita' e' la consuetine con una
convenzione, con un
codice potentissimo basato sulla comune complessita', che rende simili i
nostri diversi
modi di essere e percepire e, per lo meno, comunicare. Con questa premessa,
che non
vuole sconfinare nella sociologia, ma vuole fornire una analogia, non
dovrebbe
meravigliarti il fatto che le descrizioni di fenomeni frequenti e basilari
della nostra
esperienza, come quelli che avvengono su scala
atomica siano tanto complesse da rappresentare e richiedano astrazioni
matematiche
e strumenti appositamente calibrati. Il fatto che alla nostra scala
quotidiana appaia
incredibile che due fotoni possano intercambiarsi nei ruoli in modo
perfettamente
simmetrico anche se questi ruoli sono diversi e si svolgono a distanze
chilometriche
e nello stesso istante, non esclude che questa non soltanto sia una
predizione
dello schema matematico che rappresenta il campo elettromagnetico, ma che
abbia
degli effetti osservabili in concreto. Non soltanto non sappiamo quanto
intricato sia il
modo in cui questa fenomenologia si compia in concreto, ma e' davvero
esperienza
comune che isolare una parte dal tutto nella fenomenologia concreta richieda
un'azione
che modifica lo stato complessivo, quando allora chiedi notizie su un
semplice fotone
stai in verita' parlando, ad esempio, del fotone prodotto da un filtro che
agendo su una
radiazione solare estremamente complessa e molteplice, pure se relativamente
ordinata (dalla localizzazione della sorgente nello spazio lontano) ha
prodotto altro, ti stai
chiedendo in verita' quale sia la larghezza di banda del filtro che hai
adottato, quanto questo
filtro conservi e trasmetta degli stati originali, puo' darsi che in qualche
modo tu riesca a misurare
le proprieta' dispersive di questo materiale usando sorgenti piu' adeguate
ed a quel punto
saprai quale effetto quel materiale avra' avuto. Quando chiedi qual'e' la
larghezza di banda di
un singolo fotone emesso in un singolo atto di emissione da parte di un
atomo, ti stai
chiedendo qual'e' la larghezza di banda di quel fenomeno, ma se vai a
guardare un
insieme di atomi in interazione reciproca ed a stretto contatto ed in
equilibrio termico
oppure no, e la domanda di partenza richiede degli emendamenti
estremamente raffinati. Ogni fotone lo misuri una volta, in un punto in un
range di frequenza
che dipende dalla precisione e sensibilita' dello strumento. Questo nella
pratica concreta,
in seguito cerchero' pero' di considerare la tua domanda in modo piu'
diretto astraendo
per un momento dalla effettivita' dei rivelatori disponibili e dalle
proprieta' dispersive dei
materiali utilizzati.

L'ampiezza di probabilita' del fenomeno "rivelazione di un fotone" che si
svolge nel tuo
rivelatore e' necessariamente la somma lineare di tutte le ampiezze di
probabilita' di tutti
i fenomeni possibili in linea di principio dentro la sorgente. Allora quando
misuri un evento
da una certa direzione ad una certa frequenza in un regime di luminosita'
elevato come
quello solare hai da una parte uno stato contenente una sovrapposizione di
stati a molti
fotoni, ciascuno dei quali risulta dalla simmetrizzazione di un prodotto di
stati indipendenti,
dall'altro hai uno strumento che misura fotoni con una certa precisione
temporale, spaziale,
di frequenza, etc...

puoi riuscire a risolvere la forma degli stati che compongono la tua miscela
da questa
informazione? In verita' abbiamo stati che sono una miniera inesauribile di
informazioni
ciascuno preso singolarmente e nel complesso uno stato complessivo che e'
una miniera
inesauribile di informazioni. Cerchero' in seguito di rispondere a questa
domanda
difficilissima per me, ma che tu hai posto con legittima semplicita'.

Prima pero' parliamo di quello che possiamo attenderci dalla radiazione
solare.
L'unico modo di trarre predizioni diventa quello di utilizzare strumenti
statistici e/o
simulazioni che riproducono la parte
piu' significativa dei fenomeni possibili. La conoscenza del singolo atto di
emissione
da parte dell'atomo nel vuoto deve essere integrata con la conoscenza del
modo in cui
le collisioni producono lo stato di emissione e con la conoscenza simultanea
del
modo in cui le collisioni inducono emissione. Se la densita' della materia
che consideri
aumenta non e' piu' possibile separare idealmente una fase dall'altra, un
atomo da un
altro e le strutture elettroniche le une dalle altre. Perche' gli atomi
sono in contatto continuo gli uni con gli altri e formano fasi collettive.
Quando la temperatura
di un gas diventa elevata diventa importante il continuo interscambio di
radiazione fra gli
atomi o i plasmi che costituiscono lo stato che stai considerando.

Premesso questo provo a rispondere alla tua domanda nel caso
ultrasemplificato in cui un
singolo atomo emette. Nella ipotesi fittizia che l'atomo che emette sia
vincolato a star fermo
dove si trova, l'ampiezza di probabilita' di osservarlo con un rivelatore ad
una certa distanza
dipende dalla distanza come l'inverso di r moltiplicata per una funzione
spaziale
che va come sum_z,k,om f(k,om,z) P_z(1/|r|)*cos(k*r-om*t) Yz(theta, phi)
Dove f e'
una funzione che dipende dallo stato iniziale dell'atomo, P_z e' un
polinomio di 1/|r|
Y e' una funzione che dipende dall'indice discreto z ed ha come variabili le
coordinate
angolari. Se l'atomo puo' muoversi liberamente dopo l'emissione, la forma
dell'ampiezza
di probabilita' non cambia moltissimo. Il risultato che ottieni dalla
valutazione concreta porta
ad un'ampiezza f(r,z,t) che essenzialmente ha la forma di un'oscillazione
con periodo spaziale
dell'ordine di grandezza del centinaio di nanometri modulata diversamente
secondo la
direzione di osservazione con una parte principale che decresce come 1/r
exp[(t-r/c)/tau]
L'osservazione di un fotone in un punto esclude l'osservazione in un altro
punto.

Se i fotoni emessi da un atomo possono essere due come nel caso in cui sia
importante il coefficiente di ampiezza relativo ad un livello che e' inibito
a decadere
nel fondamentale in modo diretto a causa di regole di selezione
sull'impulso, in
tal caso dicevo, ha senso parlare di ampiezza di osservare un fotone in un
punto r1 ed un fotone in un punto r2 con stati di polarizzazione eps1 ed
eps2
rispettivamente. Questa ampiezza di probabilita' prende la forma simmetrica
di
somma di funzioni simmetriche del tipo f(1)f(2)+f(2)f(1). La forma di questo
vincolo,
ovvero che la funzioni di base devono essere simmetriche, implica
incompatibilita'
con una descrizione statistica ad ampiezze fattorizzate H(1)H(2) come spiega
Fabri nei suoi appunti sull'entanglement. La conseguenza di cio' implica una
conseguenza osservabile come ho provato a spiegare a Riccardo Ferraro nella
nota sulle disuguaglianze di Bell.



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NOTA DAL PASSATO AL PRESENTE PER COLLOCARE IL PROGRESSO
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Ogni punto dello spazio si comporta come se fosse sorgente di un'onda
diceva Huyghens, la presenza della materia agisce sui fotoni deviandoli
dalla loro direzione obiettava Newton. In seguito Newton aggiungeva:

DEFINIZIONE. Chiamer� accessi (fits) alla facile riflessione i ritorni della
disposizione di un raggio qualsiasi ad essere riflesso, e impulsi alla
facile
trasmissione i ritorni della sua disposizione ad essere trasmesso, e
chiamer�
intervalli fra i suoi impulsi lo spazio esistente tra ogni ritorno ed il
successivo ritorno.

La ragione per la quale le superfici di tutti i corpi trasparenti spessi
riflettono una parte della luce incidente su essi, e rifrangono il resto,
� che alcuni raggi al momento della loro incidenza si trovano in accessi
alla facile riflessione, ed altri in accessi alla facile trasmissione.

Questa definizione arrivo' dopo che Hooke insistentemente ebbe
a rilevare che la teoria corpuscolare avrebbe avuto difficolta' senza
considerare una forma di oscillazione, a spiegare le frange prodotte
dalle lamine sottili o gli esperimenti di diffrazione. E non e' affatto
evidente
come Newton potesse spiegare, da questa semplice definizione i fenomeni
ottici citati, rifiutandosi, come sembra, di concedere alcuna possibilita'
al
principio di Huyghens riguardo alla formazione delle ombre.

Quello che sembra e' che Newton considerasse tutto quello che era alla
portata della teoria di Huyghens anche alla portata del proprio modello
induttivo-ipotetico-deduttivo, e non il contrario, oltre alla (a mio parere
eccessivamente citata) convinzione di Newton che il modello ondulatorio
non spiegasse la formazione delle ombre, esiste un solo punto in cui
Newton critica effettivamente la teoria di Huyghens come incompleta,
ed e' il caso delle rifrazioni multiple come dice lui.

La questione e' stata rivista con molta attenzione nel corso dell'ottocento
e del novecento, quando si disponeva ormai della teoria di Maxwell e di
una prima forma di teoria vettoriale ondulatoria dell'interazione con la
materia. Fu Kirchhoff uno fra i primi a studiare per primo la questione di
come dedurre il principio di Huyghens dalla teoria di Maxwell, la
conclusione
fu che il principio di Huyghens funziona effettivamente per campi scalari,
mentre e' un'approssimazione nel caso di campi vettoriali, e che i modelli
macroscopici per la materia proposti fino ad allora non erano consistenti
con gli effetti osservabili a densita' elevate.

Nonostante questo quello che possiamo dire oggi e' che:

Ogni punto dello spazio,
si comporta come se fosse la sorgente di un
campo quantistico in accordo le regole di
"selezione" che dipendono dal contenuto di
campi presenti, e dalle regole di selezione
imposte dai vincoli lagrangiani. I comportamenti
macroscopici sono effetti emergenti di statistica.
Almeno si spera. Finora sembra funzioni per gran
parte dei fenomeni misteriosi del settecento ed
anche oltre. Sono gli integrali di cammino di
Feynmann sa. (io so poco, mi piacerebbe
sapere di piu', in particolare funziona anche
nel caso di materiali densi?)


Perche' l'idea di Einstein che i fotoni fossero aghiformi ed indipendenti,
purche' indistinguibili, e' efficiente ed ha successo nella spiegazione
delle proprieta' della radiazione di corpo nero, come fu dimostrato da
Bose? A dire tutta la verita' non lo so, provo a cercare una risposta:
Forse perche' quello che importava ad Einstein era la statistica su un
gran numero di eventi elementari ed in qualche senso indipendenti,
dove l'indipendenza era dovuta all'evento di misurazione. E se per tutta
onesta' devo riconoscere di non essere in grado di ricavarne una
dimostrazione elementare, quel che credo e' che sia possibile dimostrare che
il formalismo delle matrici densita' estratto da una descrizione di stato
stazionario
e di equilibrio renda ragione del successo dell'idea di Einstein. Non
soltanto,
l'idea di Einstein e Bose ha successo anche quando si vada a guardare la
correlazione a piu' fotoni. Almeno all'equilibrio termico. Il fatto e' che
non
e' facile sviluppare una teoria cinetica e fare i conti in dettaglio per
questo
tipo di fenomeni come in generale in meccanica statistica. La cosa meno
peggio che si incontra e' la gerarchia di equazioni integrodifferenziali
BBGKY. Che non e' semplice. Risolverle e' un mestiere sopraffine per
gente molto in gamba e strumenti molto potenti. Poi c'e' uno straordinario
miracolo che si compie quando uno guarda la radiazione di corpo nero,
se studi i fotoni dentro una scatola come fosse un fluido, con una equazione
di stato e calcoli le proprieta' ondose di questo fluido, mannaggia, trovi
la
velocita' della luce nel vuoto. E questo e' un miracolo che fa riflettere su
quale
sia la vera natura della luce.

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FINE DELLA NOTA
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Con questa premessa consideriamo uno stato che e' la
simmetrizzazione di tantissimi stati:
sum_n c(n) |f(1)>|f(2)>....|f(n)> Puo' aver senso chiedersi
quanti stati di quelli scritti in questo prodotto simmetrico
ha una certa larghezza di banda, ma se dovessi dire
come si fa a misurarne il numero mi troverei in grave
difficolta'. Un'idea potrebbe essere questa: uso un
prisma di un materiale molto rifrangente sulla cima di
una altissima volta (magari per usi astronomici) ed uso
rivelatori estremamente precisi in basso. Ogni rivelatore
di una batteria deve essere in grado funzionare sia in
regime di interferenza sia in regime di coincidenza.
Alternativamente.

Pero' c'e' da pensare ai dettagli, oltreche' alla fattibilita'.
Aggirandosi nell'oscuro labirinto in questo mondo puramente di
principio quel che penso e' che raggiunto l'ideale regime
in cui i fotoni emessi vengono rivelati uno per volta il che
significa precisioni di risoluzione temporale inferiori ai limiti
di fattibilita' (anche di principio?) posso stabilire le forme di
autointerferenza con l'uso di misuratori di autocorrelazione.

Qual'e' un prototipo di misuratore di autocorrelazione, supponendo
indipendenti le fasi dei diversi fotoni direi che un buono strumento
dovrebbe essere il Fabry-Perot, che pero' ha il limite di fornire la
correlazione di una frequenza con se stessa o con i suoi multipli
armonici, poi ci sono strumenti piu' complicati come i lock-in, ma non
saprei come e' fatto un lock-in ottico, magari ha bisogno di un laser
di aggancio. Poi posso immaginare strumenti futuribili (che puo' far
rima non per caso con impossibili) capaci di diventare trasparenti o
opachi in tempi inferiori al tempo di transito di un singolo fotone,
oggetti come quelli citati da Newton a doppia o tripla rifrazione, chissa'
se ne conosceva un esempio?

Che larghezza di banda mi aspetterei per i singoli fotoni?
Dipende dalle funzioni di autocorrelazione alla superfice
del sole. Supponendo si tratti di un gas all'equilibrio
termodinamico avresti modi stazionari e righe strette, a
meno dei fattori di opacita', questa e' una previsione teorica
dovuta al fatto che la creazione di uno stato eccitato, l'emissione
di luce ed il ricaricamento di questo stato avvengono in modo
continuativo. Pero' per rispondere esattamente occorrerebbe
sviluppare una teoria cinetica della materia solare in superfice
ed e' complicata.

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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/
Received on Tue Aug 03 2004 - 00:22:47 CEST

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