Re: Mie curiosità... e altre malattie
Elio Fabri <mc8827_at_mclink.it> wrote:
Ok quanto precede.
>
> 4) Ma per me il problema non risolto e': gli autori si rendono conto
> di quello che fanno?
> Oppure pensano che vada bene cosi'?
> O addirittura, non hanno nessuna intenzione di far capire la scienza,
> ma per loro va benissimo anche che il lettore associ indeterminazione e
> spiritismo? (per qualcuno sono pressoche' sicuro che e' proprio cosi').
Prescindendo dalla buona o dalla cattiva fede degli autori che fanno
divulgazione scientifica, in questi giorni ho riflettuto un po' su
quello che ho scritto (e che mi fa piacere scoprire che, in sostanza,
parlavo di problemi che, pur vissuti in una cornice personale, non sono
affatto personali).
Partendo dalla tua osservazione che, oggi in special modo ma di fatto
non solo oggi, la scienza � arrivata nel suo sviluppo a rappresentazioni
della realt� che poco o punto hanno a che fare con il senso comune (e su
questo va detto che comunque, come rilevato da un articolo delle
"Scienze" di alcuni fa, gi� le leggi del moto della meccanica newtoniana
possono apparire controintuitive ai pi�; del resto gi� il "Dialogo sui
massimi sistemi", scritto prima di Newton, � tra le altre cose, proprio
una confutazione "dell'ovvio" che ad una analisi pi� attenta dei fatti
si rivela tutt'altro che tale), mi � venuto da formulare qualche
consiglio empirico sulle linee di condotta che dovrebbero seguire chi fa
divulgazione scientifica.
La prima precauzione fondamentale � che, nel ridurre i concetti
antituitivi di cui � piena la scienza, ad una forma o analogia pi�
comprensibile agli addetti ai lavori, si dovrebbe sempre e comunque
stare attenti a non generare rappresentazioni ANTISCIENTIFICHE, non
tanto nella sua forma espositiva quanto nelle conseguenze che uno pu�
trarre o dedurre riflettendo a partire da queste stesse analogie.
A mio avviso, i concetti pi� antiintuivi dovrebbero semplicemente essere
DESCRITTI COME SONO, senza analogie e senza indulgere in "spiegazioni"
che possono portare a considerazioni fuorvianti. Un esempio � il solito
principio di indeterminazione: esso andrebbe descritto COSI COM'E senza
indulgere in alcun tipo di filosofismo o, peggio, di misticismo
mascherato da "saggezza del grande vecchio" perch� alle volte il
passaggio dal "grande vecchio" al "grande rincoglionito" pu� essere pi�
breve di quel che si sospetta...
Quando comunque si ritiene di poter utilizzare delle analogie per
rendere pi� "comprensibile" un concetto, andrebbero contestualmente
definiti I LIMITI DI VALIDITA' di queste analogie, precisando fin da
subito quali possono essere le deduzioni "lecite" da quelle "illecite" o
semplicemente ANTIFISICHE.
Un problema un po' pi� subdolo lo si pu� ritrovare in quel tipo di
divulgazione scientifica che, in moderato sprezzo del pericolo di non
vendere molte copie, comunque un po' di matematica ce la mettono, almeno
sotto forma di equazioni algebriche molto semplici. Il caso pi� ovvio
che mi viene in mente � quello della teoria della relativit� che, cos�
come � generalmente esposta, non rende secondo me abbastanza chiaro come
"c" sia un limite FISICO del nostro mondo e che quindi le formulette che
vengono usate includono una condizione di validit� (sono valide per
valori di "v" al di sotto di "c" mentre per valori superiori cessano di
avere senso fisico anche se, aritmeticamente, possono funzionare
benissimo... peccato solo che i numeri che ne vengono fuori sono numeri
fini a se stessi). Dello stesso genere, penso, sono tutte quelle
esposizioni di argomenti "esotici" (i buchi neri e i "positroni" che ho
citato nel post precedente) che, date in pasto al pubblico senza una
messa in guardia critica, possono condurre a una forma di "misticismo
scientificizzato" che tutto pu� fare tranne che bene.
Questo discorso vale in realt� per tutte quelle circostanze in cui, di
tutte le possibili soluzioni che possono sortire dalla trattazione
matematica di un fenomeno fisico, occorre separare quelle che hanno
senso fisico da quelle che non ne hanno - almeno per tutti quei casi in
cui gli strumenti di analisi matematica non separano, per cos� dire,
"automaticamente" le soluzioni "buone" da quelle "cattive". Nei casi in
cui i "numeri buoni" non si scelgono da soli ma devono essere scelti con
un qualche criterio esterno al processo che li ha generati, occorre nel
divulgare i risultati ad un pubblico "non vaccinato", trasmettere pure
la nozione di questi limiti, o "criteri di scelta", che funzionino a mo'
di "panettoni stradali", indicando chiaramente dove si pu� e dove non si
pu� "passare". Altrimenti, piuttosto che dare una informazione
fuorviante, � meglio non darla del tutto - come dicono gli americani,
"peggio del non saper nulla � il sapere cose sbagliate o non vere".
Infine non posso non segnalare quella che a mio avviso � una mancanza
molto grave del modo di funzionare di buona parte della divulgazione
scientifica: la mancata "verifica sperimentale" degli effetti provocati
da questa stessa divulgazione. L'unica informazione di ritorno � quasi
sempre solo il volume di vendita dei libri che � quantomeno un criterio
un po' riduttivo per giudicare l'effettiva bont� della divulgazione
scientifica. Per dirla sinteticamente: manca, e alla grande, qualsiasi
"verifica sperimentale" non solo di "quanto" � stato capito ma anche di
"come" � stato capito il materiale divulgato. E scusate se � poco!
Ora non saprei come si potrebbe fare una verifica efficace dell'impatto
che la divulgazione scientifica esercita sul pubblico a livello di idee
e concetti. Posso solo dire che l'usuale sistema di "preverifica" dei
testi solitamente basato sull'utilizzo di amici e colleghi pi� o meno
addetti ai lavori alla stregua di "panel di referees", pur utile per
filtrare molti possibili errori e castronerie, � tuttavia molto meno
utile di quel che comunemente si creda. Un pubblico "esoterico" (gli
addetti ai lavori) si differenzia da un pubblico "essoterico" (cio� la
marmaglia a cui mi onoro di appartenere) almeno in un tratto essenziale:
la formazione e il bagaglio di conoscienze che permettono ai primi non
solo una sorta di "correzione automatica degli errori" ma anche di non
impantanarsi negli errori di qualcun altro, non � in genere disponibile
ai secondi (se lo fosse non avrebbero alcun bisogno di "divulgazione").
Al riguardo gi� il fatto che i primi, a differenza dei secondi, possano
conoscere "come va a finire" costituisce una differenza tutt'altro che
di poco conto: i primi, conoscendo il punto di arrivo, possono
accorgersi in tempo di star andando fuori strada mentre i secondi
possono anche arrivare a non accorgersi mai di aver sbagliato strada e
quindi anche arrivare a convincersi di esser arrivati a "capir qualcosa"
quando in effetti non stanno facendo altro che che contar cucche. E non
solo: mentre i primi, nel dare "senso" a quello che leggono, possono, in
virt� del loro bagaglio di conoscenze, apportare inconsciamente delle
rettifiche senza neppure rendersi conto di farlo, i secondi sono da
questo punto di vista molto pi� vulnerabili: per questi ultimi il
leggere di scienza � comunque un tentativo di "capire i marziani" senza
conoscerne nulla a priori e quindi, in prima istanza, sono praticamente
obbligati a prendere per oro fino tutto quello che gli viene "venduto".
Rispetto a questo problema, l'attuale modo di far divulgazione
scientifica non d�, nella gran parte dei casi, alcuna garanzia di fare
effettivamente quello che nominalmente dice di fare: senza verifica dei
risultati sul pubblico a cui � destinata, la divulgazione scientifica si
riduce in effetti ad essere solo un "blind transfer" (o "blind
publishing" se si preferisce) in cui informazioni, dati, teorie e
concetti vengono "sparati al buio"; e al buio, anche la migliore delle
mire non serve a nulla.
Ciao!
Piercarlo
Received on Mon Nov 17 2003 - 00:04:37 CET
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