Andrea Barontini ha scritto:
> su "spazio proiettivo complesso" mi preoccupo un po', ma colgo il
> punto che una proiezione, al di la' di quanto sia astratta, debba
> portare alla perdita di una dimensione, un po' come una palla (3D)
> che proiettata su un foglio diventa un cerchio (2D)
Mi ci vorrà un bel po' per mettere insieme il tuo post con quello che
già avevo in mente di dire...
Per ora posso sbrigare un questione marginale, ossia l'origine del
nome "spazio proiettivo".
Si tratta di una questione di storia della matematica, che attraversa
diversi secoli e non ha niente a che vedere né con la fisica né col
nostro tema.
Mi va di parlarne perché quand'ero studente lo trovai un argomento
appassionante..-.
Magari invece a te non interessa affatto, e puoi saltarlo senza danno.
La storia comincia nel '400, coi pittori del primo Rinascimento
italiano.
Come saprai, è lì che vieme scoperta la *prospettiva* come modo per
riprodurre sul piano del dipinto una scena tridimensionale in modo che
dia l'esatta impressione visiva della scena reale.
Ci sono molti dipinti dove si riconosce quella tecnica; il più famoso
credo sia la "Città ideale" che si tova nel Palazzo Ducale di Urbino, e
di cui non so se sia stata fatta un'attribuzione certa.
Piero della Francesca? Francesco di Giorgio Martini? O forse Leon
Battista Alberti?
Sta di fatto che quei pittori (alcuni anche matematici) stabiliscono
le regole della prospettiva, ma su base ancora empirica.
Le cose cambiano lentamente, con uno sviluppo più deciso quando la
palla passa ai matematici francesi: Desargues, Pascal, Poncelet, Monge
... che cominciano a trasformare la scoperta pittorica in un capitolo
della matematica: la *geometria proiettiva*.
Si tratta di rispondere alla domanda: che cosa accade quando una
figura che sta su un piano pi vieme *proiettata* su un altro piano
pi', non parallelo al primo, da un punto O esterno a entrambi?
La domanda ha a che fare con la pittura, perché se O è l'occhio
dell'osservatore, la figura di partenza e quella proiettata
produrranno la stessa impressione visiva.
Quindi scoprire come la figura proiettata si trasforma ci darà le
precise regole per dipingere in prospettiva.
Alcune cose (negative) sono subito evidenti:
- rette parallele su pi non lo sono più su pi': il loro punto
d'intersezione si chiamerà "punto di fuga"
- circonferenze di pi diventeranno ellissi, ma perfino parabole o
iperboli su pi': sempre coniche, del tutto diverse.
Ma questo fornisce un primo risultato *positivo*: le coniche si
trasformano in coniche (come dimostrarlo?), quindi il fatto di essere
una conica è un *invariante proiettivo*.
Eccetera...
Per gran parte dell'800 la geometria proiettiva (g.p.)si sviluppa come
capitolo a sé della matematica, e così resta anche nell'insegnamento,
fin ben avanti nel '900.
Ancora a Roma, nel 1948, agli studenti di matematica veniva insegnata
la g.p. classica; dovevano (dovevamo) fare perfino tavole di
costruzioni geometriche...
Una delle idee principali della g.p. nasce dal fatto che la relazione
di parallelismo fra rette non è invariante per proiezioni.
Ma lo diventa se si esegue un'astrazione: chiamare *punto improprio*
(punto all'infinito) la classe di equivalenza di quella relazione.
Ossia: tutte le rette parallele tra loro hanno in comune un punto: il
loro punto improprio.
(Nota che il punto improprio di una retta è uno solo: la retta
proiettiva è *chiusa*.)
Fatto questo, la relazione più generale fra rette "avere un punto in
comune" diventa invariante per proiezioni.
In due sensi:
a) Il postulato della geom. euclidea secondo cui due rette distinte
hanno sempre uno e un solo punto in comune, a meno che non siano
parallele, si enuncia senza eccezione:
"due rette distinte hanno sempre uno e un solo punto in comune"
(proprio o improprio)
Il che tra l'altro lo rende simmetrico rispetto all'altro postulato:
"per due punti distinti passa sempre una e una sola retta".
(Una caratteristica della g.p. del piano è la *dualità* tra punti e
rette.)
b) Se tre o più rette di pi passano per uno stesso punto, lo stesso è
vero per le loro proiezioni su pi'.
L'insieme dei punti impropri del piano proiettivo è la *retta
impropria*.
Non è banale chiamarla retta, perché ciò implica che in ogni
proposizione quando si parla di retta si possa intendere anche la
retta impropria.
Ma le proprietà proiettive possono essere molto più complesse.
Ti faccio l'esempio del teorema di Pascal:
Data una conica e su di essa 6 punti A,B,C,D,E,F, le intersezioni
- P di AB e DE
- Q di BC e EF
- R di CD e FA
stanno su una stessa retta.
Ed ecco un esempio di quanto detto dopra circa la retta impropria.
Come caso particolare del teorema di Pascal, se P e Q sono improppri,
lo è enche R.
Nel linguaggio della geom. euclidea questo si enuncia come teorema a
parte:
"Se AB e DE sono parallele, e così pure BC ed EF, anche CD e FA sono
parallele."
E' evidente che il teorema di Pascal appartiene alla g.p., perché fa
uso di "conica", di "appartenenza" e di "intersezione": tutti
invarianti proiettivi.
Ora nel mio excursus storico debbo cambiare discorso, e parlare della
"algebrizzazione della geometria".
Ho già detto che in origine la geometria è un capitolo a parte della
matematica, distinto dall'aritmetica e anche dall'analisi.
Tuttavia un ponte era già stato gettato da Cartesio, con l'invenzione
della geom. analitica:
- un punto è una coppia ordinata (x,y) di reali
- una curva è un'equazione cui soddisfano (x,y)
- in particolare:
-- una retta è un'eq. lineare (anche non omogenea: ax + by + c = 0)
-- una conica è un polinomio di secondo grado uguagliato a 0.
Intersezione di due curve è un punto che soddisfa il sistema delle due
equazioni, ecc.
La geom. analitica permette di trasformare qualsiasi problema
geometrico in problema algebrico o più in generale in problema di
analisi.
Ma c'è di più: non occorre disporre di un sistema di assiomi
indipendenti per la geom. euclidea: questi seguono dagli assiomi sui
reali e dai teoremi sulle funzioni di due variabili reali.
Questo procedimento di riduzione della geometria ad analisi è appunto
detto "algebrizzazione" della geometria.
(Dovrei spiegare perché si parla di algebra, ma debbo limitarmi...)
Anche nella didattica, niente più tavole, niente più figure nei libri
di geometria!
Questo processo inizia (forse) col secolo scorso ed è oggi del tutto
compiuto.
Basta vedere il contenuto dei corsi che hanno "geometria" nel titolo
:-)
Ma che cosa ha a che fare questo con la g.p.?
E' stata algebrizzata anch'essa? Risposta affermativa.
La chiave è stata l'invenzione delle "cordinate omogenee".
Nella geom. analitica le coord. (x,y) sono reali, ovviamente finiti.
Come si può rappresentare un punto improprio?
Soluzione: al posto di due coordinate ne usiamo tre: (xi,eta,zeta) con
x = xi/zeta, y = eta/zeta.
Che bell'affare, dirà il lettore: usare tre coord. dove ne bastano
due, perdendo così la biunivocità...
Infatti (xi,eta,zeta) e (k*xi, k*eta, k*zeta) rappresentano lo stesso
punto, per ogni k reale non nullo.
Vero, ma poniamo zeta=0: non esiste nessuna coppia (x,y) che
corrisponda a (xi,eta,0).
Abbiamo quindi *ampliato* il piano euclideo, e si può intuire che
l'ampliamente consiste proprio nell'aggiunta dei punti impropri.
Quindi le terne (xi,eta,zeta) *a meno di un fattore moltiplicativo*,
rappresentano il piano proiettivo.
"A meno di" sta a significare un quoziente: il piano proiettivo è R^3/R'
dove R' = R\{0}.
E siamo arrivati: in generale, se V è uno spazio vettoriale su un
campo K, il corrispondente spazio proiettivo è V/K'.
Nel nostro caso (sistema quantistico a due stati), lo spazio degli
stati è C^2/C'.
(Dove al solito con C' indico C\{0}.)
Si dà il caso che questo quoziente sia omeomorfo a una sfera S^2: la
sfera di Bloch.
Ma non è finita. Al posto delle coord. cartesiane omogenee si possono
introdurre le più generali "coordinate proiettive", di cui le prime
sono un caso particolare.
Non posso darti dettagli (se no, alle solite, scrivo un libro :-) ) e
mi limito a dire, senza dimostrazione, che se introduci coord.
proiettive nei due piani pi e pi', la proiezione di cui ho parlato
all'inizio si rappresenta con una semplice *trasf. lineare* delle
coordinate.
Come esempio dell'utilità delle coord. proiettive, in queste cord. una
conica ha come equazione P(xi,eta,zeta) = 0, dove P è un polinomio
*omogeneo* di secondo grado: una *forma quadratica*.
Così ci si può servire di tutto l'amamentario di cui si dispone per le
forme quadratiche.
Diventa immediato dimostrare ciò che avevo asserito: che la proprietà
di essere una conica è invariante per proiezioni.
Infatti una forma quadratica rimane tale se si opera un trasf. lineare
sulle variabili.
Le cose da dire sarebbero ancora moltissime, ma qui mi fermo.
Concludendo quindi che quando senti parlare di spazio proiettivo devi
pensare a Piero della Francesca, a Leon Battista Alberti, ma anche a
Leonardo (L'ultima cena) o a Raffaello (La scuola di Atene).
--
Elio Fabri
Received on Tue Oct 20 2020 - 14:35:23 CEST