alessandro volturno ha scritto:
> Per la cronaca aggiungo che provai a leggere il libro di Dirac sulla
> meccanica Quantistica (lettura iniziata una 15na di anni fa ma non
> conclusa) e incredibilmente riuscivo a seguire l'algebra dei Bra e dei
> Ket che si costruisce nel testo, ma al solito non avendo le basi
> matematiche necessarie a capire gli spazi vettoriali a più
> dimensioni, l'analisi di funzioni complesse etc, ho dovuto abbandonare
> quella strada.
Questo post è dedicato a Dirac, bra e ket.
Spero non ti riesca troppo ostico.
Alberto_Rasà ha scritto:
> Guarda che usando la trattazione "astratta" con bra e ket non c'è
> molto di più da sapere rispetto all'algebra lineare e gli spazi di
> vettori "di tutti i giorni" come i vettori del piano. Da ricordarsi
> che i bra sono trasformazioni di questi vettori. Poi, il fatto che
> questi vettori possono essere funzioni loro stesse e vivere in uno
> spazio vettoriale infinito-dimensionale, puoi anche dimenticarlo
> completamente mentre li tratti come vettori con quel formalismo (ecco
> uno dei motivi per il quale è stato inventato!)
Vai avanti a leggere e vedrai se è come dici...
> Quello che intendo è che non è essenziale saper risolvere l'eq. di
> Schr. tridimensionale per capire le fondamenta.
Mi permetto di osservare sommessamente che "fondamenta" sono quelle
delle case (che però si chiamano anche "fondazioni"). Quando si tratta
di una scienza si dice "fondamenti". V. ad es.
https://www.treccani.it/enciclopedia/fondamenti-o-fondamenta_%28La-grammatica-italiana%29/
Giorgio Pastore ha scritto:
> I bra e i ket sono una notazione neanche tanto felice inventata da
> Dirac. Purtroppo oggi si tende a pensare che basti usare bra e ket
> invece di notazioni più standard dal punto di vista matematico per
> fare MQ. Ci sono approcci "moderni" alla MQ dove si lavora
> praticamente solo in spazi a dimensione finita. Personalmente penso
> che sia diseducativo al massimo. Può forse funzionare per chi si deve
> occupare di quantum computing ma già a livello chimico mi sembra
> eccessivamente riduttivo.
Già sai che io sono molto più filo-Dirac di te, anche se non ometto
critiche.
Del resto ho una lunga esperienza di uso di bra e ket nei miei corsi
di Istituzioni di Fisica Teorica, poi di Fisica Teorica, poi di Teoria
dei Gruppi.
E se ci sono campi dove bisogna stare attenti, sono la teoria dello
scattering e quella delle rappresentazioni dei gruppi di simmetria; ma
non ho mai avuto difficoltà.
Quello che dici sulla tendenza moderna lo condivido solo in
superficie.
Secondo me il problema oggi è che moltissimi usano bra e ket senza
sapere che cosa sono e come vanno usti, già al livello di notazione.
E sicuramente la radice sta nell'insegnamento. Quando scrivevo su PSE
scrissi diversi post per correggere cattive abitudini, spiegare i
concetti di base, ecc. Poi ho desistito, perché ogni volta dovevo
ricominciare da capo. Posso divertirmi a fare il bastian contrario, ma
alla lunga la battaglia "Elio Fabri contro il resto del mondo" non la
posso reggere :-( Ti cito un esempio:
https://physics.stackexchange.com/questions/637945/from-bra-ket-vectors-to-wave-functions
dove la confusione del poverino che scrive sicuramente non è colpa sua.
E fai attenzione alle risposte, che non si sono curate di correggergli
se non in parte la notazione balorda.
E andiamo a cominciare...
Possiedo la terza edizione (1947) del Dirac, comprata credo nel 1950
alla Lion Bookshop di Roma e pagata 2750 lire.
Il primo capitolo (The Principle of Superposition) è pieno di
sottolineature (a matita) e porta anche qualche mia nota.
Questo sta indicare quanto lo considerassi importante e quanto mi
piacesse l'approccio.
Infatti Dirac porta passo passo il lettore a costruire la struttura
matematica della MQ alternando considerazioni fisiche sperimentali
alla definizione degli enti e concetti che ne costituiscono la
matematizzazione.
Ricordo che un'impressione simile me la fece, pochi anni dopo, un
altro libro classico, che non parlava di fisica e che forse pochi di
voi conoscono: "Theory of Games and Economic Behavior" di von Neumann
e Morgenstern.
Anche questo procedeva allo stesso modo in un campo dove una
trattazione matematica pareva inverosimile. Non che la matematica non
fosse stata applicata all'economia, ma qui è tutt'altra musica...
Fu questo libro a mostrarmi l'illimitata potenza della matematica...
Ma basta con questa divagazione.
Sebbene non usi queste parole, nel §5 Dirac introduce i ket come
elementi di uno spazio vettoriale sul campo complesso. Osserva che la
combinazione lineare di due ket fornisce di regola un nuovo ket che
rappresenta un diverso stato, sovrapposizione dei due di partenza.
Questo però non è vero quendo si fa la sovrapposizione di un ket con
se stesso. In altre parole, i multipli scalari di un ket rappresentano
lo stesso stato.
Quindi la corrispondenza stato-ket non è biunivoca: uno stato
corrisponde a un'intera retta (0 escluso) nello spazio dei ket.
Insomma, lo spazio degli stati è uno spazio *proiettivo* (ma Dirac non
usa questa parola).
Nota: per molto tempo ancora Dirac non dirà niente sulla dimensione di
questo spazio, vettoriale o proiettivo che sia.
C'è solo l'esempio degli stati di polarizzazione dei fotoni, che
formano uno spazio (complesso) 2D, come provano le proprietà di
polarizzazione della luce, che valgono anche a livello del singolo
fotone.
La notazione di Dirac la conoscete: i ket sono scritti |...> dove al
posto dei puntini si può mettere qualsiasi cosi si reputi utile per
individuare il ket. Volendo anche un verso di Dante :-)
Io aggiungo una mia regola, che prende ispirazione da un racconto di
Borges: "Il giardino dei sentieri che si biforcano."
Non importa riassumere il racconto. Basta ricordare che a un certo
punto uno dei due protagonisti chiede all'altro:
- In un indovinello sul tempo, qual è l'unica parola proibita?
L'altro risponde subito:
- La parola "tempo".
Quasi per la stessa ragione, fra le infinite possibilità come etichetta
per un ket, pongo un unico divieto: la lettera greca psi.
Guarda un po', proprio quella che viene usata più spesso oggigiorno :-(
Perché la vieto? Perché dopo Schroedinger la psi è la *funzione
d'onda*: tutt'altra cosa che un ket. Per cui scriverla dentro un ket è
un modo sicuro per fare casino (vedi il post su PSE che ho citato).
Taglio un po' di cose, e passo al §6, dove si comincia a parlare di
bra.
E qui bisogna fare attenzione. Dirac definisce lo spazio dei bra come
il *duale* di quello dei ket.
Se V è lo spazio dei ket, lo spazio duale V* è formato dalle funzioni
lineari V-->C.
E' noto ma è facile dimostrare che V* ha una struttura naturale di
spazio vettoriale complesso. Gli elementi di V* sono i bra.
A questo punto mi distaccherò provvisoriamente dalle notazioni di
Dirac. Il motivo apparirà tra poco.
Userò le ultime lettere minuscole dell'alfabeto, da "p" a "z", per
indicare un generico ket; le lettere da "f" a "n" per i bra, qualle da
"a" a "c" per i numeri complessi.
Invece Dirac usa le stesse lettere per bra e ket, alimentando a questo
punto una buona confusione.
Infatti bra e ket appartengono a spazi vettoriali *diversi*, e non va
bene usare le stesse lettere, almeno finché ... vedremo.
Seguendo Dirac, se <f| è un bra (funzione lineare sui ket) e |z> è un
ket, il valore di f su z, che normalmente verrebbe scritto f(z), viene
scritto <f|z>.
E qui c'è un errore di Dirac: dichiara che <f|z> può essere visto come
un prodotto scalare.
Il che va contro l'uso matematico consolidato. Il termine "prodotto
scalare" (o "prodotto interno") è riservato al *numero* associato a
una coppia ordinata di vettori *dello stesso spazio*.
In altre parole, il prodotto scalare è una funzione VxV --> C (poi al
prodotto scalare si richiedono altre proprietà, ma ora non serve
parlarne).
Qui invece abbiamo due vettori di due spazi distinti: abbiamo una
funzione V*xV --> C.
Procedendo, Dirac percorre una strada equivalente ma diversa da quella
consolidata nella matematica. Il risultato finale è lo stesso, ma non
vedo ragioni per seguirlo.
(Al tempo in cui lo lessi sapevo poco o niente di questa matematica,
quindi non me ne accorsi.)
Seguendo la via tradizionale assumeremo ora che V sia uno spazio di
Hilbert, il che vuol dire un bel po' di cose:
1. In V è definito un prodotto scalare hermitiano, che scriverò (w,z),
temporaneamente senza ket.
Hermitiano significa lineare sul secondo argomento, antilineare sul
primo:
(w,az) = a (w,z)
(aw,z) = a* (w,z).
Inoltre
(w,z) = (z,w)*.
2. (z,z) >= 0, l'uguaglianza avendosi solo se z=0.
3. In V è definita una norma:
||z|| = sqrt(z,z).
Quindi V è uno spazio *normato*.
Non sarebbero finite le proprietà del prodotto scalare e le
conseguenze della sua esistenza in uno spazio vettoriale, ma non
voglio affaticare i lettori con eccessivi tecnicismi.
A questo punto Dirac *assume* che tra V e V* esista quello che
tecnicamente si chiama una anti-isomorfismo.
Il che vuol dire:
- corrispondenza biunivoca (o se preferite bigettiva) tra ket e bra
- che conserva le somme
- che manda il multiplo c|z> di un ket nel multiplo c*<f| del bra
corrispondente a |z>.
Questa assunzione è secondo me la cosa più strana, perché in realtà
questo per spazi a dim. finita è vero banalmente, e per spazi a dim.
infinita, sotto una precisa ipotesi, è un famoso teorema: il teorema
di Riesz (1907).
Il quale dice che per uno spazio vettoriale V su C, a dim. infinita a
dotato di prodotto scalare hermitiano, a qualunque elemento <f|
*limitato* del duale V* corrisponde un preciso elemento |p> di V tale
che per ogni |z>:
<f|z> = (p,z) per ogni |z>.
Chiarisco che cosa significa che <f| è limitato.
Semplicemente che esiste un M reale > 0 tale che per ogni |z>
|<f|z>| <= M ||z||.
Se si definisce quando un bra è limitato, vuol dire che non lo sono tutti.
Non sarebbe difficile dare esempi, ma ve ne faccia grazia.
Lo spazio duale come l'ho definito sopra si chiama "duale algebrico".
Il suo sottoinsieme formato dai bra limitati si chiama "duale normato"
e d'ora in poi ci occuperemo solo di questo.
Dirac lo assume, il che non è vero, nel senso che i vettori duali non
limitati esistono.
Quello che si fa in MQ è di usare solo il duale normato (che im
conseguenza del teorema di Riesz è uno spazio vettoriale, doatato di
prodotto scalare, ecc. ecc.)
Dirac fa di più: sfrutta l'anti-isomorfismo garantito dal teoerem di
Riesz per usare la stessa etichetta per un ket e per il bra
corrispondente.
Quindi a questo punto rimuoerò la distinzione dele lettere da usare, e
scriverò liberamente
<f|g> = (f,g)
dove a secondo membro abbiamo due elementi di V mentre a primo membro
f sta in V* e g sta in V.
Con questo il cap. I del Dirac è praticamente finito.
In realtà c'è un'altra innovazione sostanziale che Dirac ha fatto, ed
è quella d'introdurre i ket "non normalizzabili" e la conseguente
"normalizzazione a delta. Delta di Dirac, ovviamente.
Col che entrano in ballo dei nuovi enti metematici: le distribuzioni
di Schwartz.
Che insieme con gli "autovalori continui" formano forse la parte che
solleva più obiezioni dal punto di vista matematico.
Non che non si possa mettere a posto (in matematica tutto è possibile
:-) ). Ma Dirac se ne guarda bene: con indubbia genialità riesce a
mettere insieme una cosa che funziona, anche se le regole matematiche
sono tutt'altro che chiare.
E come vi ho già detto, ci si può tranquillamente costruire sopra un
intero corso di Fisica Teorica, senza problemi :-)
--
Elio Fabri
Received on Sun May 23 2021 - 21:55:39 CEST